«I responsabili del Consorzio del prosciutto di Parma stanno rovinando la Dop e sono corresponsabili di questo scandalo. Bisogna affidare i controlli a un ente certificatore esterno». Sono le prime parole del responsabile di un salumificio che fattura oltre 50 milioni l’anno, venuto in redazione a parlare di Prosciuttopoli. Il discorso continua ricordando che le aziende versano per ogni coscia 1,30 euro al consorzio e 0,275 all’ente certificatore Istituto Parma qualità (IPq) e che bisogna cambiare le regole molto in fretta altrimenti salta la Dop. La modifica del disciplinare va fatta per migliorare la qualità, non per avallare scorciatoie e furberie come alcuni vorrebbero.
Per capire le accuse rivolte ai dirigenti del consorzio bisogna fare un passo indietro e cominciare dal disciplinare scritto 25 anni fa. Si tratta di un documento che molti giudicano superato, non più in grado di garantire ai consumatori un prodotto di eccellenza. In un quarto di secolo il maiale è cambiato e bisogna tenerne conto. Una volta gli animali crescevano 3-4 etti al giorno, poi si è passati a 6-7, e adesso certe genetiche arrivano a 7-8. Una volta il suino italiano era molto più grasso e la carne veniva utilizzata solo per i salumi. Oggi le cosce del maiale sono destinate ai prosciutti Dop ed è bene che siano ricavate da animali con molto grasso. C’è però un piccolo problema, il carrè e le altre parti nobili finiscono in macelleria per diventare arrosti, braciole che ai consumatori piacciono se provengono da animali non proprio obesi. Questo è il problema che ha scatenato lo scandalo dei prosciutti di Parma e San Daniele iniziata tre anni fa e non ancora finita, con l’esclusione nel 2018 di 1,2 milioni di prosciutti dal circuito decisa dal Mipaaft.
«Il segreto del prosciutto di Parma è una coscia con una carne né troppo chiara né troppo scura con una fascia di grasso proporzionata alla parte magra e un peso variabile tra 13,5 e 16 kg e una stagionatura lunga. Per ottenere questo risultato gli animali devono appartenere a genetiche del suino “pesante” caratterizzate da una crescita lenta che possono tranquillamente arrivare a 11-12 mesi. Non vanno bene le genetiche come la Duroc danese con un incremento ponderale rapido, in grado di arrivare a un peso di 180-190 kg in nove mesi». Chi parla è un veterinario di Modena che da 20 anni supervisiona la filiera. Il grasso nel suino pesante si forma e si accumula nei tessuti negli ultimi mesi di vita, per questo gli animali non possono essere macellati prima dei 10 mesi. La cosa migliore è arrivare a 11, ma si tratta di una scelta che molti prosciuttifici non si vogliono accollare per via dei costi aggiuntivi. Eppure negli ultimi 30 giorni, il maiale ha un indice di conversione basso, incrementa soprattutto la quantità di grasso e non quella di carne e questo crea le caratteristiche ottimali per le cosce da stagionare. Il bilancio finale garantisce una coscia di ottima qualità per il prosciutto, ma una carne non così apprezzata dai consumatori che comprano arrosti e braciole. Se l’animale è più pesante il prosciutto sarà migliore, ma le rimanenti parti destinate alla macelleria sono considerate troppo grasse e il prezzo scende. In questo equilibrio si gioca la partita.
«Per venire incontro alle esigenze della macelleria – spiega il responsabile del salumificio – una parte di allevatori, in questi anni, ha inseminato le scrofe con semi di Duroc danese o altre razze a crescita veloce, vietate dal disciplinare. L’esito è l’arrivo ai macelli di maiali cresciuti troppo in fretta, allevati per 9 mesi con cosce con poco grasso e carni magre e troppo umide, non adatte ad essere stagionate». La connivenza e il malaffare hanno fatto sì che le cosce irregolari finissero nello stesso nel circuito delle Dop e le altre parti dell’animale destinate alla macelleria strappassero un buon prezzo. L’esito è disastroso. Nel corso del 2018, secondo i dati forniti dal Mipaaft, in seguito a queste furberie “oltre 300 soggetti segnalati all’autorità giudiziaria; 810.000 cosce sono state sequestrate; circa 480.000 prosciutti sono stati esclusi tramite smarchiatura dal mercato delle produzioni a Dop, Ci sono poi oltre 500.000 cosce smarchiate d’iniziativa da parte di singoli allevatori. Si tratta di una frode per un valore complessivo stimato di 80 milioni di euro”.
Ma la vicenda è tutt’altro che risolta. A seguito della sospensione per tre mesi decisa il 16 maggio 2019 da Accredia nei confronti di IPq (ente di certificazione del prosciutto di Parma) per la sparizione di alcuni verbali, e dopo le dimissioni degli ispettori IPq che devono marchiare i prosciutti, molti si aspettano provvedimenti dal Mipaaft. È di questi giorni la notizia che lo stop delle marchiature da parte dell’ IPq sarà prorogato fino alla fine del mese, con danni gravi alla filiera.
«Un altro problema – continua il responsabile del salumificio – riguarda il sale che ha un ruolo determinante nella conservazione. Nelle cosce di suino pesante italiano ricche di grasso, il sale penetra lentamente, e il prosciutto a fine stagionatura risulta più dolce. Con le genetiche a crescita veloce la carne è più magra e più umida, per cui si disidrata maggiormente e concentra molto di più il sale, e quindi la fetta risulterà più saporita».
L’altro elemento su cui riflettere è la mancata selezione dei suinetti appena nati destinati a produrre cosce da avviare alla Dop. Ormai è abitudine marchiare tutti i maialini allevati per fornire cosce di prosciutto Dop. Statisticamente però il 20% degli animali quando viene macellato viene scartato e avviato ad altre lavorazioni. Nelle filiera del prosciutto di Parma la percentuale di scarto si riduce a una cifra pari al 2-3%. Questo è un ulteriore elemento di preoccupazione, perché vuol dire che la qualità finale non può essere eccellente.
In una situazione che definire critica è un eufemismo, per cercare di salvare il prosciutto e garantire al consumatore una qualità eccelsa occorre fare tre cose. Portare il periodo minimo di allevamento a 11 mesi, aumentare il peso minimo dei maiali a 160kg, segmentare la stagionatura per fissare diversi livelli di offerta sul mercato. Un altro elemento indispensabile è eliminare i conflitti di interessi tra consorzi ed enti certificatori e inserire il benessere animale nel disciplinare in modo che diventi obbligatorio come, del resto, avviene in tutta l’Unione Europea. Questo vuol dire vietare il taglio della coda, disporre di spazi adeguati e ridurre le situazioni di stress.
Fare queste scelte vuol dire rivoluzionare l’intero settore, ma è l’unico modo per garantire al consumatore che paga 50 €/kg un prodotto dolce di ottima qualità. In alcuni casi i costi di produzione lieviteranno, perché tenere nei capannoni e allevare un animale che pesa 160 kg un mese di più incide sulle spese ma si tratta di condizioni indispensabili per una vera Dop.
La via di uscita che abbiamo descritto non è certo facile da percorrere. La sensazione è che il Consorzio del prosciutto di Parma non abbia alcuna intenzione di mettersi in discussione, ma cerchi di parare l’ennesimo scandalo pensando di apportare piccole modifiche al disciplinare e silenziare i media come ha fatto fino ad ora, ma questa volta sarà più difficile.
CRONISTORIA DI PROSCIUTTOPOLI
16 aprile 2018 – Il Fatto Alimentare scopre lo scandalo di Prosciuttopoli. Prosciutto Parma e San Daniele: irregolarità nei controlli. Il ministero decide commissariamento degli Istituti di certificazione
14 maggio 2018 – Prosciuttopoli: i falsi prosciutti si possono riconoscere! Dubbi sull’ingenuità della filiera. Forse raddoppiato il numero di cosce irregolari
18 maggio 2018 – Prosciuttopoli: è impossibile controllare i maiali del Parma e del San Daniele. Per questo la truffa va avanti da 4 anni
17 agosto 2018 – Truffa del prosciutto San Daniele: 103 indagati e 270 mila pezzi sequestrati
18 gennaio 2019 – Prosciuttopoli: coinvolte 1.240.000 cosce di prosciutto San Daniele e di Parma per un valore di 80 milioni
11 febbraio 2019 – Prosciuttopoli: i numeri dello scandalo sono impressionanti, precisa l’Icqrf del Ministero delle politiche agricole
24 maggio 2019 – Coldiretti dimentica lo scandalo di 1,2 milioni di falsi prosciutti di Parma e San Daniele, ma punta il dito contro le etichette in Cile
6 giugno 2019 – Consorzi del prosciutto dop: scandali, truffe e conflitto di interessi
10 giugno 2019 – Il 35% del prosciutto crudo di Parma e San Daniele è falso. Una truffa gigantesca. Consorzi ed enti di certificazione nella bufera
13 giugno 2019 – Prosciutto di Parma: dimissioni in massa degli ispettori, stop marchiature. Revocare subito il mandato all’ente di certificazione
16 giugno 2019 – Prosciuttopoli: il Consorzio di Parma ammette “gravi problemi da risolvere”. A rischio la Dop
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
In questa vicenda si evidenziano l problemi che riguardano parte del sistema-italia ovvero 1) cercare scorciatoie 2) le norme sono consigli, non vincoli 3) mai assumersi responsabilità 4) non rispondere, alzare un muro di gomma e confidare nella lentezza della giustizia e della scarsa memoria del consumatore medio.
I consorzi dettano regole che dovrebbero essere vincolanti. Gli Enti di certificazione dovrebbeo vigilare. Il buon imprenditore dovrebbe valorizzare e proteggere il suo prodotto di qualità, invece c’è chi punta al facile guadagno immediato e pazienza se rovina un intero comparto produttivo.
Io lavoro in produzione (non alimentare) e più volte ho avuto modo di constatare che la Qualità non è una serie di timbri di Enti certificatori sulla carta intestata. La Qualità è un valore basilare dell’azienda.
La nostra è una piccolissima azienda non certificata (per scelta) ed i reclami in un anno si contano sulle dita di una mano e si sgonfiano rapidamente, inq uanto non sussistono. Non posso dire altrettando di fornitori supercertificati che ne combinano di tutti i colori.
Quindi nel Corsorzio di Parma sarà sicuramente necessario aggiornare il disciplinare, ma se poi c’è chi non lo rispetto, chi non sorveglia, chi non prende posizione, tra qualche anno saremo daccapo.
il prosciutto di Parma NON Costa 50 euro al Kilo, ma ne costa 30 . Se è in offerta anche meno. Dovrebbe invece costarne 50 per i motivi che ha detto il veterinario…I produttori ( e il mercato …. che è fatto soprattutto dai produttori, ma non solo) stanno distruggendo un prodotto semplicemente perché non lo sanno vendere e perché voglio solo guadagnarci di più e più in fretta.
E’ la stessa storia del Brunello e di Soldera
Il prosciutto crudo di Parma in busta nei supermercati costa dai 45 ai 55 €/kg
All’Unes (visto sabato) il Prosciutto di Parma in busta costava € 44,50/Kg.
Stavo pensando alla separazione netta tra Consorzio e Ente di certificazione e mi chiedevo, “ma se viene separato come sarà composto l’ente certificatore? Sarà la solita macchina burocratica che poi non garantirà nulla se non un potere a se stesso? In Italia creare enti che hanno potere di vita o di morte e che siano dipendenti dallo stato, dopo un tempo iniziale virtuoso, spesso diventano delle macchine di morte e di potere. Dovrebbe essere necessario creare un Ente privato ma controllato da organizzazioni che abbiano una certa reputazione in campo economico e tecnico scientifico e nello stesso tempo non abbiano interessi se non dalla qualità. Ad esempio potrebbe essere costituito sotto l’ombrello di Confcommercio o confederazioni simili, potrebbero esserci i sindacati lavoratori dell’agroalimentare.
In un modo del genere verrebbero garantite imparzialità e funzionalità
Esistono tanti enti certificatori seri , non bisogna creare nulla di nuovo
Io vorrei proprio sapere perché un produttore di prosciutto di Parma si presenta a livello personale ad un giornalista e dà informazioni, giudizi, conclusioni, prospettive, profezie come se fosse il testimone incaricato depositario del sapere di TUTTI i produttori di prosciutto di Parma. Anche io sono un produttore di prosciutto di Parma , e non ho bisogno di qualificarmi con il mio fatturato di vendita, perché penso che quel LUI da 50 milioni valga come me. Se io non mi permetto di andare da un giornalista a caccia di scoop a dare la mia opinione personale o a parlare come rappresentante di un settore, non ha titolo neppure Lui a parlare per me. Aggiungo che mentre io da anni contesto decisioni del Consorzio che non condivido nei luoghi opportuni e con le persone opportune legate alla mia attività senza sparpadellare in giro dati, fatturato qualificante, ed altro, vorrei sapere se l’esimio LUI da 50 milioni di fatturato ha fatto per caso parte del Consiglio di amministrazione del Consorzio negli ultimi 30 anni, e cosa ha fatto -dato che sapeva tutto da sempre- per fermare le cose prima .
E al sig. giornalista aggiungo che noi produttori non possiamo incidere sul prezzo di vendita che da una miriade di varianti di ogni genere, noi facciamo riferimento al nostro prezzo di vendita da stabilimento, e Le posso garantire che è tanto tanto più basso di quello che pensa lei.
Grazie del contributo. Il problema è che non c’è stato un solo produttore di prosciutti che è stato disposto a parlare con la redazione non c’è stato un consorzio , non ha voluto Assica , e nemmeno tutti gli altri. Quando una filiera non vuole dire niente vuol dire che c’è sotto qualche cosa di grave. Lo so che non potete incidere sul prezzo di vendita e che le cosce vengono pagate poco.
Da normale consumatore, una domanda: tolto il rfiferimento al fatturato da 50 milioni all’anno, specificato peraltro dalla redazione a quanto ho capito, giusto per “collocare” il produttore e senza che questo voglia dire “io sono io e voi non siete nessuno”, quello che ha detto il produttore è falso o inesatto?
Me lo chiedo perchè dal commento sembra trasparire solo il fastidio per il fatto che abbia parlato con dei giornalisti esprimendo peraltro una lecita opnione personale di un addetto ai lavori. Se poi quello che ha detto è inesatto, sarebbe stato bello leggere argomentazioni che chiarissero al meglio i fatti.
Credo che in un consorzio che uno fatturi 1 o 50 milioni lo scopo dovrebbe essere unico e condiviso, portare avanti una produzione di qualità, cosa che a quanto pare non è successa.
E sembra anche che il dissenso “espresso da anni” non sia stato recepito dal Consorzio, sennò forse non si sarebbe arrivati a questo punto.
E nel momento in cui il Consorzio si nasconde dietro al muro del silenzio, va da sè che i giornalisti che vogliono informare devono cercare le risposte da chi le vuole fornire.
Da consumatore preferirei leggere produttori che spiegano cosa e perchè sia successo, piuttosto che fissarsi su questioni di lana caprina.
Francamente mi cadono le braccia a leggere questi commenti. Il Parma in vaschetta ….si lo so esiste e la gente lo compra. E secondo voi è un’ eccellenza da pagare 50 al chilo???
Devo fare marcia indietro ha ragione il produttore: diamo al mercato ciò che vuole , è inutile produrre eccellenze se poi al banco la signora chiede il prosciutto magro o ancora peggio lo compra nelle “vaschètta”. suicidiamoci pure.
Produttori che dissento dal consorzio ma rimangono dentro …. ma chi ve lo fa fare …USCITE!!!!
Di cosa ci sorprendiamo, ormai il mercato sta rovinando la qualità in tutti i settori. Salsiccia piena d’acqua, salame con dentro carne scadente proveniente da chissà quale paese. Siamo tutti in balia di un mercato che cerca il prezzo più che la qualità, ovviamente poi ci sono produttori onesti che continuano con un lavoro fatto ad hoc, e altri che pur di guadagnarci fanno queste porcate. E’ inutile puntare il dito verso l’allevatore, il produttore, il consorzio o le istituzioni, il problema è tutto il sistema.
Il consumatore si indigna, ma da domani andrà al supermercato di turno a prendere il prosciutto in offerta.
Una volta si parlava di rapporto qualità/prezzo e i due termini erano inscindibili. Oggi, invece, si parla solo di prezzo mentre la qualità è un mero opzional che purtroppo la gran parte della gente non conosce nè percepisce e l’unico parametro ‘utile e comprensibile’ è il costo del prodotto. Ci sarebbe da fare un ciclopico lavoro educativo ma questo cozzerebbe contro le ‘esigenze ‘ del mercato che, complice anche la crisi economica, deve vendere tutto a tutti e, pazienza se la qualità non è delle migliori. Ma tanto, chi se ne accorge e chi la pretenderebbe mai?
Mi lascia incredulo il commento della produttrice di prosciutti. Pare emerga che se ci sono problemi questi vadano risolti tra produttori. Qui si parla di una Dop, cioè di un prodotto che ottiene tutela da parte di tutta la CE e che crea un notevole affidamento per i consumatori che in cambio pagano un maggior prezzo. Quindi non e’ un problema da gestire internamente ma serve chiarezza e trasparenza e non si può ridurre tutto al solito silenzio italiano.
Ma c’è ancora bisogno delle Dop o un marchio aziendale, fascia premium, potrebbe offrire al consumatore garanzie che oggi i Consorzi non riescono più a dare?
Dispiace dirlo, ma la vicenda del Parma è una bruttissima storia, nota nel settore da prima che lo scandalo scoppiasse, in ogni anello della filiera.
Perchè il problema interessa tutta la filiera e non è questione di chi è più o meno onesto, visto che tutti erano a conoscenza e tutti sono coinvolti. Di certo i macellatori, con il loro ruolo di “playmaker” hanno avuto la possibilità di orientare molte scelte, condivise da tutti gli altri, in perfetta trasparenza e validate con altrettanta disinvoltura da chi era deputato ai controlli.
Il consumatore poi non ci capisce nulla e pensa che il Parma tarocco gli faccia male.
Amen.
Il prosciutto tarocco non fa male è solo falso e viene pagato per vero . È come pagare lo spumante al prezzo dello Champagne.
Mi sembra dai commenti che in molti sapessero e sappiano di quello che succede nella filiera ma che nessuno parli e questo rende forse ancora piu grave quello che sta succedendo. Se a comportamenti da verificare da parte di qualcuno si associa il silenzio di chi sa e non parla la situazione assume contorni ben diversi.
Come consumatrice sono molto preoccupata perchè ho sempre immaginato di essere protetta e tutelata quando acquisto un prodotto DOP, ed il Consorzio di Tutela è il mio referente per eccellenza.
Come professionista ho cercato sempre di promuoverlo soprattutto sui mercati internazionali dove la nostra reputazione ha un valore importante per tutto il nostro Paese.
Tutti i miei Credo sono crollati e quindi mi aspetto che le Autorità competenti riescano a ricreare i giusti equilibri per entrambi i casi, che i nostri produttori comprendano che hanno sbagliato perchè i nostri “gioielli italiani” non possono essere distrutti, così come le loro aziende, la qualità è la forza e la ricchezza del nostro Paese, conserviamola e proteggiamola!!!
Il pensiero che mi gira in testa è: speriamo che tutto questo sia successo solo a questo Consorzio!!
Lo spumante ha ragione d’essere di suo e ce ne sono di ottimi ( anche DOCG ) in Italia e hanno prezzi elevati.
Forse volevi dire un’altra cosa. Qui si parla di TRUFFA, di violazione di un disciplinare che è una Legge.