Truffa del prosciutto San Daniele, tutta la filiera sembra coinvolta. 30 mila pezzi sequestrati. Il consorzio non poteva non sapere di Prosciuttopoli
Truffa del prosciutto San Daniele, tutta la filiera sembra coinvolta. 30 mila pezzi sequestrati. Il consorzio non poteva non sapere di Prosciuttopoli
Roberto La Pira 1 Giugno 2018Le indagini sulla vicenda “Prosciuttopoli” portate avanti dalla procura di Torino, hanno coinvolto il prosciutto di Parma, mentre quelle della procura di Pordenone hanno focalizzato l’attenzione sul prosciutto di San Daniele. Quest’ultima Dop è stata solo sfiorata dalla nostra inchiesta perché il consorzio ha sempre rifiutato di rispondere alle nostre domande, salvo poi diffondere, l’11 maggio, un comunicato in cui si dichiara vittima degli allevatori che hanno venduto cosce di maiali non adatti a essere trasformati in prosciutti Dop, in linea con quanto dichiarato dal consorzio di Parma.
Le indagini a Pordenone, condotte insieme ai Nas di Udine e all’Icqf di Udine, sono iniziate verso la fine dell’estate 2016, dopo la scoperta di un falso documento abbinato a un lotto di cosce destinate a diventare prosciutto di San Daniele. Da qui è cominciato il lavoro degli inquirenti che ha portato al sequestro progressivo di 81 mila prosciutti (gli ultimi risalgono ai primi mesi del 2018) e al successivo dissequestro con relativa smarchiatura di 30 mila pezzi venduti come salumi non Dop. La procura di Pordenone nel corso dell’indagine ha individuato una sorta di collegamento all’interno della filiera, che potrebbe delinearsi come una forma di associazione a delinquere.
Per orientarsi in questa nuova tranche della nostra inchiesta ormai giunta alla quinta puntata, va ricordato che anche in Friuli (come è avvenuto in Emilia), la truffa prende forma nelle scrofaie che utilizzano seme di Duroc danese, al posto di quello di suini pesanti adatti a essere trasformati in prosciutti Dop. I suinetti di poche settimane vengono così venduti ad aziende specializzate nell’ingrasso, che accettavano di buon grado i piccoli maiali perché crescono più in fretta e arrivavano al peso forma per la macellazione 30-40 giorni prima rispetto ai suini pesanti. Il sistema trova complicità anche in un macello, dove vengono presentate carteggi falsi per dimostrare che i maiali hanno raggiunto i nove mesi di età previsti dal disciplinare. L’ultimo stadio vede all’opera due grossi prosciuttifici che, pur sapendo della furberia procedono alla stagionatura delle cosce. Secondo la procura di Pordenone ci sono prove per ritenere tutti i soggetti coinvolti consapevoli della truffa in corso.
Come è avvenuto a Parma, anche a San Daniele alcune società coinvolte hanno dichiarato di essere vittime delle scrofaie che hanno usato seme di Duroc danese a loro insaputa, sperando di uscire indenni dallo scandalo. Questa motivazione trova una sponda, nell’impossibilità di risalire attraverso l’analisi del Dna all’individuazione certa della razza dei maiali di origine per la presenza di molti ibridi. Anche la procura di Pordenone ha cercato di formare un pool di tecnici e professionisti per valutare la possibilità di riconoscere visivamente le cosce o i prosciutti provenienti da cosce non adatte, ma il progetto si è arenato per la difficoltà di arrivare a prove inconfutabili valide da un punto di vista giuridico. Nonostante ciò le indagini sono andate avanti, per la presenza di altri elementi acquisiti dagli inquirenti come intercettazioni e documenti che lasciano intuire un accordo tra i vari soggetti della filiera.
In questa narrazione c’è però un elemento contraddittorio. Tutti dicono di essere stati ingannati dai gestori delle scrofaie che però, nel concreto, non hanno vantaggi economici visto che il costo del seme di Duroc danese (*) e di razze di suino pesante è pressoché identico e pure il prezzo di vendita dei piccoli maiali. Al contrario, gli ingrassatori con i suinetti di Duroc danese ottengono evidenti vantaggi economici, riducendo di almeno un mese i tempi di allevamento. Un analogo ragionamento vale per i macelli che trattano animali meno grassi con tagli di pregio più apprezzati dal mercato, e anche per i prosciuttifici che pagano meno le cosce da stagionare.
Come abbiamo già scritto è difficile pensare che i consorzi e diversi prosciuttifici, soprattutto quelli direttamente collegati all’industria di macellazione, fossero all’oscuro di tutto. Stiamo parlando di una truffa che va avanti da anni e che fino ad ora ha coinvolto 300 mila cosce. A noi risulta che gli istituti di controllo e certificazione abbiano più volte segnalato la presenza sul mercato di certificazioni false relative alla genetica. La truffa di Prosciuttopoli è stata facilitata dalla possibilità di dichiarare sui certificati l’origine “prevalente” dei suini, e non la razza precisa. Un altro elemento da considerare è che la tracciabilità relativa all’origine dei maiali, alla razza e ai luoghi dove gli animali sono nati, sono stati svezzati, ingrassati e macellati, viene fornita con un processo documentale cartaceo, che dovrebbe essere controllato con una certa attenzione.
Inoltre alcuni istituti di controllo e certificazione hanno evidenziato l’incremento del numero di cosce macellate con difetti. I problemi riguardavano la scarsa presenza di grasso di copertura esterno e un livello di grasso interno (in corona) insufficiente per garantire i 12 mesi di stagionatura. Se, come dicono alcuni, la coscia di Duroc danese o di altri suini ibridi inadatti non si può riconoscere al macello, è vero che il prosciutto viene identificato facilmente nel corso della stagionatura per il diverso comportamento in fase di salatura e per l’incremento del calo peso durante l’intero processo di lavorazione. L’altro elemento che un consorzio non può ignorare è il costante e progressivo aumento, negli ultimi anni, dei tempi di stagionatura. Questo incremento si rende necessario perché i prosciutti ottenuti da Duroc danese o da altre linee genetiche estere non idonee, essendo più umidi hanno bisogno più mesi per permettere alla carne immatura di stagionare e acquistare un minimo di profumo.
Per interrompere la truffa qualcuno ha proposto di istituire una banca del Dna dei suini pesanti adatti, come abbiamo già scritto (**). L’idea è interessante ma costosa. Una soluzione alternativa più economica consiste nella messa a punto di controlli severi e sistematici relativi alla data di nascita, controllando l’esattezza del tatuaggio che viene fatto sulle cosce degli animali entro 30 giorni dalla nascita, e magari riportare il giorno esatto. Visto che il disciplinare dei consorzi dice che gli animali devono essere macellati dopo 9 mesi quando arrivano a 160-170 kg, chi alleva maiali di razze a crescita veloce dopo 9 mesi si ritrova con animali che pesano 200 kg e quindi non li può vendere per la produzione di prosciutti Dop. In questo modo non bisognerebbe modificare i disciplinari come sostengono alcuni, ma solo applicarli.
(*) La differenza tra Duroc danese e razze di suino pesante italiano è che solo in Italia la selezione genetica nei suini è focalizzata alla messa a punto di suini pesanti per produrre prosciutti Dop e altri salumi con una lunga stagionatura, all’estero si punta su razze di maiali “leggeri” utilizzando linee genetiche adatte alla produzione di carne magra da consumo come il Duroc danese, e solo in seconda battuta di salumi che non necessitano di una lunga maturazione.
(**) Introdurre le analisi di tipo BioGenetico rappresenta un onere aggiuntivo ma garantirebbe un ulteriore elemento di chiarezza e identità scientificamente accertata sulla paternità degli animali (non sulla razza essendo presenti sul mercato molti ibridi). Il test BioGenetico comporta costi aggiuntivi (da 0,50 a 1,0 euro per prosciutto con una campionatura rappresentativa del 5 per mille).
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Per leggere la prima parte dell’inchiesta pubblicata il 16 aprile 2018 clicca qui.
Per leggere la seconda parte dell’inchiesta pubblicata il 3 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la terza parte dell’inchiesta pubblicata il 14 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quarta parte dell’inchiesta pubblicata il 18 maggio 2018 clicca qui.
[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Se oltre a promuovere corsi con il rilascio del patentino di “Classificatore di carcasse”, che mio figlio ha ottenuto frequentando un corso presso un macello nel vicentino, dopo avere conseguito la laurea triennale in Scienze della Produzione animale, si utilizzassero anche queste figure professionali, forse ci sarebbero meno truffe…dimenticavo, mio figlio esercita la professione di magazziniere in un’azienda che produce abbigliamento femminile perchè non ha trovato lavoro nel suo campo, pur essendosi offerto per un tirocinio gratuito presso un prosciuttificio di San Daniele ed avendo presentato curriculum presso l’Istituto per la Certificazione di dop sempre a San Daniele.
Nessun organo di stampa autorevole sta affrontando questa situazione.
Il silenzio piú totale
Una petizione online per smuovere le acque?
È una truffa e sono d’accordo, ma è sulla genetica dell’animale che non ha messo in pericolo nessuno. Se venisse fuori a livello nazionale e internazionale produrrebbe un tracollo generale delle esportazioni di tutti, sia di chi ha lavorato bene e di chi ha truffato.
Per una volta facciamoci furbi e laviamoci i panni in casa come fanno tanti altri stati esteri.
Mamma mia, che brutta pubblicità per due fiori all’occhiello (Prosciutto di Parma e San Daniele) della produzione alimentare italiana, esportati in tutto il mondo.
Capisco bene che si cerchi di non sbandierare troppo ai quattro venti gli esiti di queste inchieste, che gettano certamente una cattiva luce sulla serietà di tanti operatori del settore.
Per fortuna queste frodi non mettono a rischio la vita di nessuno (penso allo scandalo del vino al metanolo di tanti anni fa), ma di certo rischiano di danneggiare seriamente uno dei nostri settori di punta.
Spero che tutte quelle cosce sequestrate non vengano distrutte. Sarebbe un vero peccato.
Potrebbero comunque essere messe in vendita con la scritta “Prosciutto della vergogna”, destinando il ricavato al finanziamento della banca del seme.
Che almeno servano per qualcosa di utile!
I prosciutti vengono smarchiati e venduti come prosciutti crudi non dop
Ma se prendiamo per vero che allo stato attuale delle cose nessuno tra enti di tutela, avvocati e giudici è in grado di riconoscere la non idoneità della materia prima destinata ad una produzione certificata, allora è altrettanto vero che questi stessi attori, in primis gli enti di tutela che sono stato creati e finanziati appositamente, non sono in grado di assegnare correttamente la certificazione.
In base alla tesi adottata dagli imputati si potrebbe arrivare a dire che tutte le cosce commercializzate nella storia della DOP sono affette dallo stesso problema.
E’ come se un consorzio affermasse che: “sì, il marchio io ce lo metto, però non chiedetemi garanzie e non fatevi troppe illusioni”.