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prosciutto di parma marchiatura foto consorzioLe cosce di maiali di Duroc danese, o di altre razze non adatte a ottenere prosciutti di Parma e di San Daniele, si riconoscono, perché la carne troppo umida non regge la stagionatura e per le diverse dimensioni della noce di grasso al centro del prosciutto. Questa tesi è contestata dai Consorzi di tutela e da tutti i grandi marchi del settore che nella vicenda di Prosciuttopoli si proclamano vittime, ingannate dagli allevatori. In realtà, la maggior parte dei soggetti della filiera sapeva della presenza sul mercato di un numero elevatissimo di cosce di Duroc danese e di altri ibridi non adatti a diventare prosciutti Dop. In mancanza di prove concrete ognuno ha pensato di gestire a suo favore la situazione difendendo i propri interessi. Per gli allevatori era importante ingrassare i maiali velocemente e arrivare al peso standard un mese prima del previsto. I macelli gradivano i maiali cresciuti in fretta perché ‘più magri’ e quindi con tagli pregiati come la coppa e il carré, più apprezzati dal mercato. I prosciuttifici pagavano meno le cosce e non avevano interesse a denunciare il malcostume per il rischio di smarchiare migliaia di prosciutti in stagionatura.

In questa situazione gli istituti di certificazione giravano a vuoto, non avendo competenze specifiche sulla genetica e non potendo denunciare la truffa (questo tipo di verifiche non sono previste dal piano di controlli affidato loro dal Mipaaf). Il loro lavoro presso gli allevamenti si limitava al controllo della documentazione cartacea  autocertificata dove compare la razza degli animali o una genetica compatibile con il disciplinare. A questo punto l’istituto di certificazione dà il nulla osta e le cosce di maiale dopo la macellazione proseguono il percorso nei magazzini di stagionatura per diventare prosciutti Dop. Si tratta di una procedura confermata dal Mipaaf che, nel dispositivo di attuazione della sentenza di commissariamento degli istituti di certificazione, prevede la necessità di un controllo del tipo genetico tramite la verifica dell’auricolare dei verri direttamente nei box di allevamento e della documentazione relativa ma nessun esame del Dna.

maiale macello carne
Le ispezioni sulla razza dei maiali destinati alla produzione di prosciutti degli Istituti di certificazione si limitavano al controllo dell’autocertificazione

Il panorama è disarmante perché, in assenza di un’analisi genetica, gli allevatori più scaltri hanno utilizzato maiali non adatti, falsificando i documenti e ingannando tutti gli altri soggetti della filiera privi di strumenti adeguati per accertare la truffa. Gli stessi Consorzi che per legge sono tenuti a tutelare i prodotti, sono venuti meno al compito in modo clamoroso, non accorgendosi della frode in corso da anni e non avendo previsto procedure di controllo in grado di verificare la genetica degli animali. C’è da chiedersi cosa hanno fatto di serio i Consorzi negli ultimi quattro anni da quando è iniziata la truffa per proteggere le Dop?

La situazione è paradossale perché gli strumenti analitici di controllo non esistono ancora, e la truffa potrebbe continuare senza intralci di sorta. Si può tranquillamente dire che da parte di molti soggetti manca una seria volontà di controllare la filiera. L’accusa è grave ma i riscontri vanno in questa direzione.

In definitiva, lo scandalo dei prosciutti è stato possibile, perché i dati sulla razza dei maiali e sulla data di nascita sono forniti da un’autocertificazione dell’allevatore che nessuno controlla, perché non si vuole sborsare denaro in analisi costose e perché mancano gli strumenti adatti. Fare l’analisi del Dna ha un costo, ma è l’unico modo per dare certezza alla filiera sull’origine e sulla razza degli animali e, quindi, sulla qualità del prosciutto. C’è però un altro aspetto importante da considerare.

prosciutto di parma stagionatura cosce appese prosciutti
L’unica soluzione per evitare altre frodi è istituire una banca dati genetica delle razze autorizzate per la produzione di prosciutti Dop

Il Dna della razza Duroc danese (non autorizzata a diventare Dop) assomiglia molto al Duroc italiano (vocato a essere trasformato in prosciutto), per cui il margine di errore dell’esame genetico per l’attribuzione di una coscia all’una o all’altra razza non è sufficiente per garantirne l’origine precisa. Il tutto è complicato dal fatto che esistono ormai molte razze ibride che confondono ancora di più la decodifica del dato genetico. Questo aspetto complica la situazione. Che fare? L’unica soluzione percorribile è realizzare una banca dati nazionale con il Dna dei verri riproduttori Duroc italiani, insieme alle razze degli ibridi e quelle di suino pesante considerate adatte a diventare prosciutto Dop. Una volta realizzata una lista positiva genetica, i controlli diventano semplici e nessuno può fare il furbo. In questo modo i prosciuttifici potranno pretendere dagli allevatori una certificazione ufficiale sull’autenticità.

prosciutto di parma fette
I consorzi del prosciutto di Parma e di San Daniele proclamarsi vittime, ammettono di non controllare la filiera

Il problema interessa anche le catene di supermercati come Conad, Esselunga e Coop, che vendendo prosciutti di Parma e di San Daniele con il proprio marchio sono a tutti gli effetti responsabili dell’autenticità delle dichiarazioni in etichetta, della qualità del prodotto e, quindi, della corretta razza dei maiali. Oggi però è praticamente impossibile per le catene certificare con certezza la genealogia con tanto di referto di laboratorio.

L’evidenza dei fatti dice che l’autocertificazione degli allevatori non basta, e si rende necessario il ricorso all’analisi genetica dei verri riferita a una banca dati nazionale. In questa storia i consorzi del prosciutto di Parma e di San Daniele continuando a proclamarsi vittime di un sistema, ma in questo modo ammettono di non essere in grado di controllare la filiera come invece dovrebbero fare come compito istituzionale. Forse sarebbe meglio ammettere l’esistenza di un problema grave e ragionare intorno a un tavolo con gli altri soggetti della filiera per risolverlo. (4 – continua)

Per leggere la prima parte dell’inchiesta pubblicata il 16 aprile 2018 clicca qui.

Per leggere la seconda parte dell’inchiesta pubblicata il 3 maggio 2018 clicca qui.

Per leggere la terza parte dell’inchiesta pubblicata il 14 maggio 2018 clicca qui.

Per leggere la quinta parte dell’inchiesta pubblicata l’1 giugno 2018 clicca qui.

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luigi
luigi
18 Maggio 2018 14:30

il profitto viene sempre prima delle proprie responsabilità di fronte al mercato.

Giovanni Tempesta
Giovanni Tempesta
19 Maggio 2018 10:41

Ho letto con interesse l’articolo e vorrei fare alcune precisazioni. DNA. L’unico discorso sensato è la banca nazionale. Ma chi la detiene? Il Ministero che di fatto non esiste e si disinteressa dei problemi della suinicoltura? Anas che non ha mai fatto nulla per la suinicoltura?
Fare il DNA sui suini in allevamento non ha il minimo senso se non per avere la certezza che i suinetti marchiati siano davvero i figli dei riproduttori o del seme in azienda. Non è possibile a prescindere dire che quei suinetti sono stati prodotti con seme vietato perché tutta la popolazione è “sporcata” dal duroc Danese.
QUALITA’. Dire che una coscia danese si distingue da quella DOP non è veroa. A differenza nostra i danesi hanno lavorato e speso molto sulla genetica e hanno fatto un suino per noi. E le cosce danesi, se non sono meglio, sono come quelle italiane. Grasso? Magro? Quelle cosce hanno un corretto rapporto grasso/magro.
DANNO. Dite che da 4 anni gli allevatori usano il Duroc danese. Sono 20 anni perché il disciplinare di produzione della DOP è inadeguato e fa chiudere le aziende.
ISTITUTI. Ipe e Ineq hanno contrastato, insieme ad Anas, le nuove genetiche estere senza giustificazione. E’ nota a tutti la questione della giunta di appello dove il comitato ha dato ragione agli allevatori ed è stato licenziato.

ezio
ezio
19 Maggio 2018 12:08

Per fare una sintesi della situazione reale anche in base ai diversi contributi degli addetti ai lavori, di cui questo ultimo di Giovanni Tempesta rappresenta già una verità esaustiva, possiamo dire che la certificazione DOP dei prosciutti è solamente un simbolo qualitativo legato al territorio di lavorazione e stagionatura.
Mentre le origini della materia prima sono incerte e difficilmente tracciabili, almeno da una ventina d’anni e per diverse ragioni non tutte speculative ma anche qualitative.
Tanto da indurre nella filiera e nelle certificazioni l’andazzo scoperto.
Ora ritengo sia opportuno rivedere il disciplinare, sanando il sanabile anche pregresso, perché quando “così fan tutti” richiede una presa d’atto per farsene una ragionevole ragione.
Cosa serve essere fiscali in questo caso specifico, quando quasi tutto il made in Italy è caratterizzato maggiormente dal saper fare piuttosto che dalle materie prime italiane?
Sarebbe ingiusto castigare ed obbligare alla purezza solamente i prosciutti, quando moltissimi altri prodotti nazionali godono di più ampie libertà d’impiego.
Ribadisco il mal comune equivalente al mezzo gaudio, mentre per il gaudio intero serve altra mentalità italiana verace e collaborativa, disciplinari coerenti e mezzi adeguati, non semplici scartoffie di facciata.

Sergio
Sergio
19 Maggio 2018 13:55

Signor La Pira,vorrei sottolineare un aspetto molto importante che è questo,le cosce indipendentemente da provenienza genetica sono sempre state selezionate sia dagli enti di controllo sia dai proprietari degli stabilimenti di produzione vale a dire il prosciuttificio,non capisco come ora possano dire che le coscie non erano di qualità almeno uguali alle altre,mi sembra un voler scaricare responsabilità su una categoria alla quale tutto hanno imposto un tipo di animale geneticamente non ammesso,infine le ricordo che i signori prosciuttifici stanno pagando le cosce dop meno del vero valore di mercato,forse le cause della crisi sono altre,grazie

aldo amico
aldo amico
19 Maggio 2018 17:09

Ma ai finì della salubrità del.prodotto finale.non è stata fatta alcuna considerazione.
È questo in definitiva l’interesse primario del consumatore .

Simone serafini
20 Maggio 2018 09:52

Il vostro lavoro è sempre così prezioso!
Avanti così !!!!

federico
federico
21 Maggio 2018 14:09

Contributo da Parma: 20 anni è tutta da verificare….credo siano 40 almeno. Questo quello che si dice ( e non si dice qui) prove non ce ne sono.
Qui c’è da ripensare un po’ tutto il sistema a partire dai disciplinari. Pur non avendo molte competenze mi sembra che emerga un problema: oggi è molto molto complicato e difficile certificare alcune cose. Anche alcuni vini ( Brunello) hanno avuto problemi con “l’autenticità” delle uve.
All’estero come fanno (mi viene in mente il prosciutto Jabugo)? E soprattutto Per garantire l’unicità di un prodotto cosa è davvero importante: il clima, l’ambiente, il territorio, le competenze l’origine delle materie prime?
La pasta e il pomodoro , piatto simbolo dell’Italia: il pomodoro lo abbiamo importato nel 1500 e la pasta la facciamo col grano americano che vien meglio. Però Pasta e conserve di pomodoro nostre sono inimitabili.

Maurizio
23 Maggio 2018 21:55

Mi sembra di sognare: una bestia ha 4 cosce quindi una tracciabilita facilissima!!!!! X prosciutti dop igp ecc ecc x animali coinvolti di un certo tipo. Non servono analisi genetiche per avere evidenza oggettiva di frodi macroscopiche. Come la bufala napoletana…. x bestie che producono latte y ton di prodotto spacciato per tale che però sono 100999999999 volte superiori al latte possibile. Oppure x ton di senatore cappelli certificato nel seme e y ton di farina prodotta che non quadrerebbe nemmeno facendo la moltiplicazione del pane e dei pesci su ogni singolo chicco di semente certificata. Ma siamo alle solite: tutti a vantare il Made in italy ma senza partire alla base da matrici certificate. Nel grano oltre il 50% di seme è home made ma tutto ciò che si definisce prodotto in Italia è top di gamma. Così frodare è semplice!!! I controlli verificano le autocertificazioni dei produttori e basta??? Hahaha aggiungiamo che la certificazione dei sistemi qualità viene pagata da chi produce che salda chi controlla e facciamoci un altra risata. La qualità.. quella vera è un altra cosa

Luca CODELUPPI
Reply to  Maurizio
31 Maggio 2018 15:37

Comunque se come dice lei in Italia si usano materie prime non originali e visto che il prodotto finale è invece della stessa qualità apparente, forse ci meritiamo la palma di chi sa come si fanno le cose visto che il risultato finale non sembra differire da quello tradizionale: il DOP non è nella razza o nel DNA dei suini ma nel DNA degli Italiani!

Stavo comunque pensando che stanno riscrivendo i DSM per arrivare al DSM-5: se chiedessimo di inserire tutti i cavillatori di queste discussioni? Chessò, inserire chi pensa di voler fare la prova DNA sui maiali macellati e nello stesso tempo potere tenere basso il loro costo. Chi pensa che la purezza del maiale vada difesa ad ogni costo e si concederebbe pure che il prosciutto di Parma e S. Daniele diventassero più costosi del caviale iraniano. Chi pensa che sia impossibile per un prosciuttificio non accorgersi che la noce di grasso di un prosciutto ancora intero sia di forma diversa da quella che dovrebbe essere e pure giudica disonesto chi non ha preso tutti i suoi prosciutti stagionati fino a due anni prima e non li ha buttarli via autodenunciandosi e così suicidando la sua attività!
Ebbene tutta questa gente con uno scarsissimo senso della realtà e con la mania del giustizialismo, secondo me andrebbero inseriti nel prossimo redigendo DSM-5!
Non giudico le opinioni in difesa di questo o quel principio: ognuno è libero di pensare quello che preferisce, ma il fatto che qualcuno pensi siano applicabili i più estremizzati principi di intolleranza e purezza della razza e che quel qualcuno pensi pure che avrebbero dovuto esserlo fin dal passato!
Mi riferisco a commentatori, non al giornalismo che fa il suo dovere ponendo delle questioni che a volta sono di sostanza e a volte anche solo di forma!
Chi acquista al 99.9999% dei casi non lo fa per la qualità ma perché acquistando quello specifico prodotto ritiene di certificare a se stesso di meritare quella qualità! ma questa è roba da DSM-4, roba passata e non ha a che fare con la razza dei maiali da cui provengono i prosciutti ma solo con la razza umana!

Milli
Milli
Reply to  Maurizio
1 Giugno 2018 16:13

Tanto per cominciare i suini hanno 2 cosce e non quattro.

usfimc
usfimc
29 Maggio 2018 11:05

A mio parere ci sono solamente due maniere per venire a capo della vicenda.

1 Si fa la cosiddetta banca del DNA
Ma lo si deve fare per i riproduttori maschi e femmine. Infatti al momento è normata solamente la genetica maschile. Ma il maiale che fornisce le cosce che vanno al macello è figlio di un verro e di una scrofa. Ed entrambi concorrono a tutte le caratteristiche prima del coscio fresco, poi di quello stagionato. Le possibili combinazioni tra tipi genetici maschili e femminili sono molte (lascio ai genetisti di mestiere il calcolo) e tutte dovrebbero essere valutate (a mio parere al macello ed a fine stagionatura) per esprimere un giudizio di conformità o meno. Perchè (è un esempio), una caratteristica negativa del verro (trasmissione agli eredi di scarso grasso di copertura) potrebbe essere equilibrata da quanto apportato dalla scrofa.
Procedure preliminari lunghe, costose e continuamente in divenire in quanto i tipi genetici cambiano ed evolvono. Quasi impossibile, a mio parere, da attuare.

2 Si possono utilizzare all’inizio tutti i tipi genetici che si vogliono.
Si giudica solo il prodotto finale. Prima in fase di classificazione delle carcasse (ma nel caso dei prosciutti DOP prestando particolare attenzione alle cosce).
Poi in fase di valutazione “classica” delle cosce fresche nel momento della fase di passaggio tra macello e prosciuttificio. Infine sul prosciutto in fase di stagionatura ed alla fine della stessa anche con valutazione organolettica.
Il vantaggio sarebbe che quasi tutte queste verifiche di fatto sono già svolte (a campione in alcune fasi, pezzo per pezzo in altre) dagli organismi di controllo in applicazione del Disciplinare e di conseguenza i costi in più sarebbero limitati.
I tempi di valutazione di un tipo genetico (padre più madre) sarebbero di un paio d’anni. Le combinazioni genetiche non valide per la DOP verrebbero di fatto escluse dal mercato (chi si azzarderebbe a mandare in stagionatura prosciutti che potrebbero essere scartati dopo 15 mesi ?) e costringerebbero gli utilizzatori di queste a correggere il tiro (ma in ogni caso non sono uscite con il marchio della DOP). Si potrebbero mettere dei paletti in entrata sulla percentuale minima di soggetti per partita di suini che devono rispondere ai prerequisiti del disciplinare per limitare di fatto le possibili combinazioni genetiche in uso, che verrebbero comunque puntualmente registrate per opportune analisi statistiche.
Il vantaggio sarebbe che non entra e non esce nulla dai prosciuttifici che non sia rispondente ai vigenti dettami del Disciplinare (salvaguardia del prodotto DOP).
Nel lungo periodo si hanno praticamente gli stessi risultati del primo approccio (valutazione dei tipi genetici sul campo), con costi decisamente inferiori e su numeri statisticamente più rilevanti. Alcuni tipi genetici (singoli o in compartecipazione) potrebbero essere esclusi in maniera assoluta dal sistema. Si utilizzerebbe ad ogni modo a campione l’analisi del DNA a scopo di estrema salvaguardia di tutto.

G. Tempesta
G. Tempesta
Reply to  usfimc
31 Maggio 2018 16:56

Buonasera.
Tra le due soluzioni proposte, la seconda è certamente la più logica. Primo perchè il suino italiano è altamente “contaminato” da verro danese, secondo perchè il prodotto che interessa è la coscia destina a Parma e su questa va concentrata l’attenzione. Ovvio comunque che ogni tipo di valutazione vanno concentrate sul fresco, qundo cioè la coscia è o non è destinata al circuito tutelato.
A questo punto cadrebbero tutte le contraddizioni del caso (vedi lettera di Pitruzzella) e tutti sarebbero contenti. Ricordo peraltro che il disciplinare prevede il controllo su tutte le cosce di soli due indici: spessore sottonoce e peso rifilato. Quindi sarebbe anche il caso di riformare il disciplinare ormai vecchio e defunto. Grazie

G. Tempesta

Luisa Antonella Volpelli
Luisa Antonella Volpelli
31 Maggio 2018 09:25

Buongiorno.
Mi permetto ancora alcuni commenti in questo blog. Cito dall’articolo e ribatto con la mia opinione.
“Le cosce di maiali di Duroc danese, o di altre razze non adatte a ottenere prosciutti di Parma e di San Daniele, si riconoscono, perché la carne troppo umida non regge la stagionatura e per le diverse dimensioni della noce di grasso al centro del prosciutto. “. Falso, l’ho già detto più volte, e non solo io; su questo stesso blog, si legga il sig. Tempesta.
“Per gli allevatori era importante ingrassare i maiali velocemente e arrivare al peso standard un mese prima del previsto”…… per poi cosa farsene di questi maiali, che hanno un timbro auricolare che ne attesta l’età, e che non possono essere esitati ai circuiti tutelati “un mese prima”?
“In questa situazione gli istituti di certificazione giravano a vuoto, non avendo competenze specifiche sulla genetica e non potendo denunciare la truffa (questo tipo di verifiche non sono previste dal piano di controlli affidato loro dal Mipaaf).” Falso. Quando hanno voluto, gli istituti (INEQ e IPQ) hanno controllato ed eliminato le genetiche “sgradite”. Parlo per competenza, la Giunta d’Appello mi ha visto suo membro fin dalla fondazione, 15 anni prima che mi cacciassero via senza tanti complimenti per aver espresso, appunto, parere favorevole a un tipo genetico considerato non idoneo dagli Istituti.
“Gli stessi Consorzi che per legge sono tenuti a tutelare i prodotti, sono venuti meno al compito in modo clamoroso, non accorgendosi della frode in corso da anni”. Ne parlavano TUTTI, e secondo voi i consorzi non se ne sono accorti? Ma andiamo……
“In definitiva, lo scandalo dei prosciutti è stato possibile, perché i dati sulla razza dei maiali e sulla data di nascita sono forniti da un’autocertificazione dell’allevatore che nessuno controlla”. Ribadisco, quando hanno voluto hanno controllato. Non con il DNA, è vero, ma tanti tipi genetici sono stati tolti ugualmente dai circuiti.
“Il Dna della razza Duroc danese (non autorizzata a diventare Dop) assomiglia molto al Duroc italiano (vocato a essere trasformato in prosciutto), per cui il margine di errore dell’esame genetico per l’attribuzione di una coscia all’una o all’altra razza non è sufficiente per garantirne l’origine precisa. ” Appunto. E secondo voi invece le cosce si possono riconoscere, perchè perdono più acqua e hanno la noce di grasso diversa…. ma andiamo!!
“Il tutto è complicato dal fatto che esistono ormai molte razze ibride che confondono ancora di più la decodifica del dato genetico. Questo aspetto complica la situazione. Che fare? L’unica soluzione percorribile è realizzare una banca dati nazionale con il Dna dei verri riproduttori Duroc italiani, insieme alle razze degli ibridi e quelle di suino pesante considerate adatte a diventare prosciutto Dop. Una volta realizzata una lista positiva genetica, i controlli diventano semplici e nessuno può fare il furbo. In questo modo i prosciuttifici potranno pretendere dagli allevatori una certificazione ufficiale sull’autenticità.” In Italia la genetica “ufficiale” è gestita da ANAS. Già ho detto che il garante per la concorrenza ha fatto un richiamo ad ANAS perchè controlla le genetiche “altre” e vende le proprie. Nella pluricitata (mi scuso della noia) vicenda della ingloriosa fine della passata Giunta d’Appello, era stata richiesta collaborazione ad ANAS: la riposta è stata “consultate la Rivista di Suinicoltura”.

Grazie per l’attenzione
Luisa A. Volpelli – UNIMORE
volpelli@unimore.it

G. Tempesta
G. Tempesta
Reply to  Luisa Antonella Volpelli
31 Maggio 2018 17:01

Gentile Luisa,
condivido in pieno la sua disamina. L’unica cosa che non mi è chiara nel dettaglio è il discorso della Giunta di Appello. Nel senso, che cosa vuole dire che è stata allontanata per avere espresso parere favorevole a un tipo genetico? O è idoneo o no lo è, o sbaglio?
Grazie

G. Tempesta

ezio
ezio
31 Maggio 2018 11:51

Se la discriminante qualitativa tra la il nostrano ed il geneticamente diverso danese più magro, è il % di grasso e acqua, volendo basterebbe fissare limiti e paletti nel disciplinare per questi due parametri facilmente analizzabili e certificare solamente quelli idonei, prima, ma anche successivamente all’immissione in commercio, con sanzioni e ritiri della certificazione.
Sempre se è sufficiente e se c’è la volontà “economica/commerciale” di farlo, ma visto l’andazzo penso che non sarà possibile ne accettato, vista la portata degli interessi in gioco in tutta la filiera, certificatori compresi.

Gianluca Fregolent
Gianluca Fregolent
3 Giugno 2018 14:40

Leggo ed ho letto gli articoli, ma dal mio punto di vista leggo l’ennesimo tentativo di delegittimare tutto e tutti per continuare a fare quello che si vuole.. per rispondere a Tempesta i controlli li ha fatti lICQRF che è organo tecnico del MIPAAF. I riscontri delle violazioni sono stati possibili grazie alle banche dati dellANAS. Quindi le banche dati ci sono e sono a disposizione di chi le vuole utilizzare. Le indagini hanno messo in evidenza che i controllori sapevano ed hanno tenuto un atteggiamento superficiale. Per questo motivo abbiamo posto sotto osservazione IPQ ed FCQ e se non dimostreranno di essere in grado di dare attuazione al piano de controlli si procederà alla revoca del mandato. Dire che negli ultimi 4 anni il sistema non è controllato è a mio avviso ideologicamente falso. Il sistema era sicuramente fuori controllo prima delle nostre azioni di controllo. Concordo sul fatto che i consorzi, preso atto dei fatti e degli attori, avrebbero potuto fare qualcosa di più… una provocazione ma se, come sostiene Tempesta, si sapeva cosa accadeva da 20 anni perché non ha denunciato il tutto alle Autorità. Per denunciare qualcuno ci vogliono le prove e solo LIQRF le ha evidenziate nonostante l’atteggiamento omertoso di molti.. gli atti sono a disposizione presso le procure di Pordenone e di Torino. Il Pm è a disposizione anche di sa come sono andate le cose e volesse aggiungere qualche elemento a quelli già noti. L’INTERESSE DELL’ ICQRF è quello di tutelare la dop ed i molti operatori onesti non di delegittimare tutto. Gianluca Fregolent DIRIGENTE ICQRF NORD EST