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La storica azienda Carapelli Firenze S.p.A., dal 2006 proprietà del gruppo spagnolo Deoleo Global , è stata condannata a pagare una multa di oltre 230 mila euro per aver commercializzato in Francia, nel 2017, un olio d’oliva erroneamente etichettato come “extravergine”. Il Tribunale di Firenze, come riporta il Corriere Fiorentino, ha emesso la sentenza lo scorso 30 gennaio e ha respinto il ricorso della società contro la sanzione inflitta dal Ministero delle Politiche Agricole. L’indagine è partita nel novembre 2017 su segnalazione delle autorità francesi, che avevano rilevato “difetti di rancido” nell’olio venduto da Carapelli. Gli ispettori ministeriali italiani, dopo aver prelevato campioni dello stesso lotto per analisi, hanno confermato l’irregolarità del prodotto. Secondo la sentenza, i risultati ottenuti dal laboratorio di Perugia del Ministero delle Politiche Agricole non lasciavano dubbi: l’olio non rispettava i parametri richiesti per la classificazione come “extravergine”.
Carapelli e le contestazioni
Non è la prima volta che Carapelli si trova al centro di controversie sulla qualità del proprio olio. Già nel 2010, uno studio dell’Università della California “Davis Olive Center” aveva evidenziato etichettature errate nei prodotti dell’azienda. Nel 2016, l’Antitrust aveva inflitto una multa di 300 mila euro per pubblicità ingannevole, poiché l’olio extravergine “Bertolli Gentile”, “Sasso Classico” e “Carapelli Il Frantolio” contenevano, in realtà, semplice olio vergine d’oliva.
![Bottiglie di olio extravergine di oliva di varie dimensioni](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2021/06/Depositphotos_34496527_s-2019.jpg)
Le indagini condotte in quell’occasione dai carabinieri del NAS avevano portato alla condanna della società spagnola Deoleo Global, confermando che i prodotti non potevano essere venduti come “olio extravergine d’oliva”. Nel 2022, il TAR del Lazio ha dichiarato estinto il ricorso presentato dalla Carapelli contro la sanzione.
Le implicazioni per i consumatori
Questo nuovo episodio solleva nuovamente il problema della trasparenza nel settore dell’olio d’oliva, un mercato in cui le frodi possono ingannare i consumatori e compromettere la fiducia verso i marchi storici. La sentenza può inoltre rappresentare un monito per le aziende affinché garantiscano il rispetto degli standard di qualità previsti dalle normative europee.
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Giornalista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione