Prosciuttopoli: i falsi prosciutti si possono riconoscere! Dubbi sull’ingenuità della filiera. Forse raddoppiato il numero di cosce irregolari
Prosciuttopoli: i falsi prosciutti si possono riconoscere! Dubbi sull’ingenuità della filiera. Forse raddoppiato il numero di cosce irregolari
Roberto La Pira 14 Maggio 2018Di fronte alla truffa multimilionaria che ha coinvolto la filiera del prosciutto crudo di Parma e di San Daniele, le aziende coinvolte nello scandalo hanno optato per il silenzio stampa, sperando che la vicenda potesse passare inosservata. La situazione è cambiata dopo i nostri articoli su Prosciuttopoli, così il Consorzio del prosciutto di Parma per bocca del direttore Stefano Fanti pochi giorni fa a Cibus è intervenuto. La truffa è stata descritta come l’iniziativa di uno sparuto gruppo di allevatori, minimizzando sui numeri e dichiarando il Consorzio vittima di un imbroglio. La narrazione di Fanti risulta poco convincente per gli addetti ai lavori che la descrivono in un altro modo.
La storia inizia nel 2014, con un gruppo di almeno 140 allevatori che vendono suini destinati alla lavorazione per i prosciutti di Parma e di San Daniele provenienti da razze non riconosciute come adatte. L’operazione è resa possibile da macelli che ‘ignorano’ l’imbroglio, istituti di certificazione ‘distratti’ e prosciuttifici ignari di stagionare decine di migliaia di cosce provenienti da razze non ammesse dai disciplinari. Quando la procura di Torino conclude le indagini nel gennaio 2017 ed emette gli avvisi di garanzia nei confronti degli allevatori, gli altri soggetti della filiera si mostrano sorpresi e si dichiarano vittime. Le responsabilità ricadono anche sui due istituti di certificazione ‘negligenti’ (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni) che non hanno controllato la genetica dei suini. Le accuse contro gli istituti che dovevano controllare sono molto serie e hanno fatto scattare il loro commissariamento per sei mesi da parte del Ministero delle politiche agricole. Si tratta di un provvedimento severo anche se, vista la gravità delle accuse, le intenzioni del Ministero erano di revocare l’incarico. Questo non è stato possibile perché non ci sono altri istituti in grado di continuare a certificare, oltre ai prosciutti, altre 30 Dop italiane nell’ambito di carni e salumi.
La narrazione ufficiale continua con i più famosi prosciuttifici italiani che truffati ora chiedono i danni, ma la distinzione tra vittime e carnefici non è così netta come si vuole far credere. La verità è che per anni sono state macellate cosce di maiali provenienti da scrofe inseminate con seme di Duroc danese non adatte a diventare prosciutti Dop, ma troppi fanno finta di non saperlo. Il Duroc danese è un maiale dall’aspetto ‘gonfio’ (come il fisico dei un bodybuilder) che cresce in fretta, con poco grasso e una massa muscolare ricca di acqua, inadatta per i prosciutti, che infatti provengono da cosce di suini obesi, con una muscolatura più tenace e molto grasso sottocutaneo. Il disciplinare prevede la macellazione dopo almeno 9 mesi, quando gli animali arrivano a 160 kg (con una oscillazione del 10% fra 146 e 176 kg). Ma i maiali di Duroc danese crescono in fretta, già dopo 8 mesi pesano troppo tanto che qualcuno cambiava le date di nascita per farli risultare più vecchi, altri li macellavano quando raggiungevano il limite dei 176 kg, per farli sembrare più grassi e camuffare la scarsa presenza di adipe sottocutaneo. Questi maiali presentano però dei vantaggi, non vanno bene per essere stagionati a lungo, ma sono molto apprezzati perché i tagli nobili come la coppa o il carré sono più voluminosi e rendono di più ai macellatori.
I prosciuttifici, per bocca del Consorzio di Parma, dicono che era impossibile distinguere le cosce di Duroc danese dal suino italiano pesante. Questa affermazione desta più di una perplessità. È vero che nelle condizioni operative degli impianti di stagionatura non è agevole distinguere le caratteristiche di ogni pezzo e nemmeno fare l’analisi del Dna a ogni coscia, ma esistono altri sistemi per accorgersi che la materia prima non è adatta. I tecnici dell’Anas (Associazione nazionale allevatori suini, ente senza fine di lucro specializzato nel miglioramento genetico e nella valorizzazione tecnico-economica dell’allevamento dei suini e dei prodotti derivati, compresi i prosciutti) hanno le idee molto chiare su come individuare le cosce non adatte. Le cosce derivate da razze non ammesse e non adatte sono più voluminose, perdono più acqua e peso durante la stagionatura e presentano una massa muscolare che fatica a maturare in prosciutto. Di fronte a questi elementi, descritti con meticolosità nei rapporti dell’Anas nel 2015 e 2016 e in alcune pubblicazioni scientifiche universitarie, è lecito dubitare di chi dichiara di essere stato ingannato. L’altro elemento da considerare è che dalle cosce di maiali ‘snelli’ inseminati con Duroc danese, si ottengono prosciutti di qualità mediocre che non passano l’esame di una Dop. La resa è nettamente inferiore e a livello organolettico la carne risulta ancora immatura. Difficile pensare che tutti questi elementi fossero sconosciuti ai veterinari degli enti di certificazione, a quelli che operano nei macelli e nelle aziende di stagionatura.
Questi problemi venivano segnalati dall’Anas già nel giugno 2015 a Expo in una lettera che non lascia spazio ad ambiguità. “Gli allevatori hanno perso di vista i riferimenti chiave dei disciplinari DOP ed hanno cercato di adeguarsi alla situazione, adottando talvolta comportamenti elusivi delle prescrizioni dei disciplinari DOP. L’insufficienza qualitativa della materia prima è documentato dai dati dell’attività di controllo di IPQ e INEQ e più in generale dalla significativa quota di prodotto che non viene salato per DOP. …. Il settore della trasformazione tipica lamenta una perdita di distinzione qualitativa della materia prima che rischia di rendere sempre meno attraente la lavorazione delle cosce dei suini certificati italiani rispetto a cosce di importazione. Alla luce di quanto sopra è necessario invertire la tendenza in atto e ridare dignità a un processo produttivo che, dall’allevamento alla trasformazione, faccia leva sulla qualità”.
C’è un ultimo elemento da considerare. La frode secondo la procura di Torino è iniziata nel 2014, ma nessuno si è accorto di nulla. Questo vuol dire che per anni sono stati venduti centinaia di migliaia di finti prosciutti di Parma e di San Daniele a prezzi variabili da 37 a 60 euro al kg! Il ragionamento è molto semplice. Se la stagionatura dura 12-13 mesi circa e i sequestri e le smarchiature dei prosciutti localizzati nei magazzini decise dalla procura di Torino sono iniziate nel gennaio 2017, significa che una quantità simile è stata venduta nel biennio 2015-2016.
Se è vero quanto sostenuto da Stefano Fanti, vale a dire che le aziende aderenti al Consorzio di Parma con un’esperienza trentennale non sapevano di acquistare cosce con poco grasso e una conformazione muscolare sospetta – la vendita al dettaglio di almeno altri 300 mila finti prosciutti è quasi una certezza. A questo punto è però lecito avanzare perplessità sull’effettiva capacità dei prosciuttifici di saper fare il proprio mestiere. Un’analoga posizione è stata presa dal Consorzio San Daniele che si dichiara parte lesa e in un comunicato si schiera con gli istituti di controllo, che non potevano verificare con i mezzi a loro disposizione la razza dei maiali. Per questo motivo il consorzio rinnova loro la fiducia, a dispetto del provvedimento di commissariamento di sei mesi deciso dal Mipaaf. Il consorzio non prende in considerazione l’ipotesi dei finti prosciutti Dop venduti negli anni precedenti, come se la truffa fosse iniziata con l’avvio delle indagini della procura di Torino nel 2016. Dal comunicato emerge infine la completa ingenuità degli aderenti che non si erano accorti e questo è grave perché i prosciutti ottenuti da cosce di Duroc danese secondo gli esperti non hanno le caratteristiche per diventare prosciutti Dop.
In questa storia c’è un altro elemento curioso. Due mesi dopo l’annuncio dell’inchiesta da parte della procura di Torino, le aziende aderenti ad Assica (associazione di imprenditori che comprende le maggiori industrie di macellazione e alcuni prosciuttifici) dichiarano di essere vittima della truffa e scrivono all’allora Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina chiedendo la convocazione di una riunione (che non c’è stata) e auspicando la formazione di un fondo assicurativo contro le probabili perdite reddituali dei produttori. Insomma i macelli e alcuni prosciuttifici ingannati si portano avanti e chiedono risarcimenti.
Un mese fa, quando abbiamo iniziato la nostra inchiesta su Prosciuttopoli, eravamo solo noi a porre il problema. In questi mesi Coldiretti, pur conoscendo la questione e avendo partecipato all’incontro con i soggetti della filiera presso la Procura di Torino, ha diffuso centinaia di comunicati stampa, per esempio sulla Pasquetta degli italiani e sulla Festa della mamma, ma si è dimenticata di una truffa di 90 milioni di euro sui prosciutti italiani. Anche i Consorzi hanno cercato di ignorare la vicenda. Dopo la nostra inchiesta, decine di testate online, compreso Il Sole 24 ore e La Repubblica, hanno rilanciato la notizia della truffa. Adesso tutti cercano di scaricare le responsabilità su altri (gli allevatori), anche a costo di fare la figura degli ingenui, come si evince dalle parole di Stefano Fanti del Consorzio di Parma. Un’analoga posizione è stata presa dal Consorzio del San Daniele che si dichiara parte lesa. In un comunicato si dice che gli istituti di controllo non potevano verificare con i mezzi a loro disposizione la razza dei maiali e per questo si rinnova la fiducia anche se il Mipaaf li ha pesantemente censurati commissariandoli per sei mesi. Il consorzio non prende in considerazione l’ipotesi dei finti prosciutti Dop presumibilmente venduti dal 2015 al 2016, come se la truffa fosse iniziata con l’avvio delle indagini della procura di Torino. Dal comunicato emerge infine la completa ingenuità degli aderenti al Consorzio che non si erano accorti di nulla anche se i prosciutti ottenuti da cosce di Duroc danese secondo gli esperti non hanno le caratteristiche per diventare prosciutti Dop.
In realtà, i soggetti penalizzati da Prosciuttopoli sono i consumatori e i tanti allevatori onesti che hanno sempre usato razze di maiali consentite, i macelli che hanno deliberatamente rifiutato gli animali non adatti a diventare prosciutti Dop, i prosciuttifici che, per assicurare la qualità del prodotto, non hanno seguito facili scorciatoie. (3 continua).
Per leggere la prima parte dell’inchiesta pubblicata il 16 aprile 2018 clicca qui.
Per leggere la seconda parte dell’inchiesta pubblicata il 3 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quarta parte dell’inchiesta pubblicata il 18 maggio 2018 clicca qui.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Vista la facilità con la quale ci si imbatte in prosciutti di queste DOP asciuttissimi e per nulla apprezzabili, penso proprio che i numeri reali della truffa siano molto maggiori.
Poi all’estero penso vengano inviati questo tipo di prosciutti…anche perchè noto che il Parma in vaschetta, in altri paesi, si trova a 35-40 euro al chilo (in Germania in un Lidl l’ho visto addirittura a soli 30 euro al chilo), quindi come in Italia o addirittura meno!! Ed è quasi sempre asciutto infatti.
In un negozio online tedesco ho visto ora un pezzo da 1,900 kg a soli 53 euro, ovvero circa 27 euro al chilo appena! Assurdo.
Dunque, vorrei fornire un altro piccolo contributo verso la chiarezza in questa intricata vicenda.
Cito dall’articolo qui sopra: ” Il Duroc danese è un maiale dall’aspetto ‘gonfio’ (come il fisico dei un bodybuilder) che cresce in fretta, con poco grasso e una massa muscolare ricca di acqua, inadatta per i prosciutti, che infatti provengono da cosce di suini obesi, con una muscolatura più tenace e molto grasso sottocutaneo”. Da questa descrizione sembra che il Duroc danese sia una razza iper-muscolare, e non è così, pur essendo a sviluppo muscolare superiore rispetto alla MEDIA dei suini di altri tipi genetici ammessi per le produzioni DOP. Inoltre, sembra che i suddetti tipi genetici ammessi siano delle palle di lardo, ci mancherebbe altro!
Rifiuto inoltre di avallare la dichiarazione secondo cui le cosce in questione sarebbero riconoscibili in sede di macellazione e/o prosciuttificio: sono sì riconoscibili le cosce che hanno caratteristiche non idonee (tropo magre ma anche troppo grasse, con muscoli rigonfi, fuori taglia, con carne PSE, etc…) ma CERTAMENTE NON LE CAUSE DELLA LORO NON IDONEITA’, che possono essere genetiche (non necessariamente perchè Duroc danese, ovviamente!!!) ma anche nutrizionali, …
Mi permetto inoltre di dissentire dalle dichiarazioni riportate nell’articolo a proposito di ANAS, che viene descritta come “Associazione nazionale allevatori suini, ente senza fine di lucro specializzato nel miglioramento genetico e nella valorizzazione tecnico-economica dell’allevamento dei suini e dei prodotti derivati, compresi i prosciutti”. Senza fini di lucro? No guardate, le ONLUS sono un’altra (encomiabile) cosa, ma ANAS è stata già additata di conflitto di interessi dalla Autorità Garante per la Concorrenza, in quanto al contempo tenutaria del Libro Genealogico e delle sue regole, e operatrice nella produzione e commercializzazione di genetica suina. Nella vicenda di alcuni anni fa legata alla Giunta di Appello di INEQ, che ho descritto in questa stessa sede, le nostre richieste di delucidazioni ad ANAS sulle caratteristiche dei tipi genetici, ammessi e non, hanno avuto come unica risposta l’invito a consultare la Rivista di Suinicoltura: che riporta in effetti gli indici selettivi degli “intoccabili” verri ANAS, nella maggior parte dei casi fautori, nelle propria discendenza, di riduzione della adiposità e aumento dello sviluppo muscolare: servono altri commenti?
Grazie per l’attenzione
Luisa A. Volpelli – Docente universitario – UNIMORE
Resta il fatto che le cosce di Duroc danese prima, dopo o durante il percorso seguito all’interno della filiera si possono riconoscere e non dovevano essere certificate come prosciutto di Parma e di San Daniele.
Nei tempi attuali si rivela sempre piu’ importante la conoscenza nel settore alimentare ed in particolare nel
campo delle carni,
dal consumo di alimenti di origine animale: vedi nel caso prosciutto sia cotto che crudo.
particolare attenzione dovra’ esser posta sia da parte della linea commerciale al dettaglio: quasi sempre
improntata alla visione monetaria e non sempre alla conoscenza vera dei valori nutrizionali.
Il commercio dei prosciutti sia cotti che crudi richiede una buona conoscenza nutrizionale ed alimentare.
Inoltre e’ opportuno che gli organismi di controllo vengano periodicamente cambiati nei soggetti con
trollori al fine di avere verifiche possibilmente piu’ attendibili, grazie: Cortina d’Ampezzo: Toni Pian.
Buongiorno, a mio avviso sarebbe anche opportuno sapere se i maiali (ancorché “italici”) da cui poi provengono i tagli che vanno nei prosciutti certificati, vengano o no alimentati con mangimi che contengono olio di palma, come ho motivo di ritenere avvenga. Questo componente così inviso a moltissimi consumatori non appartiene certo alla tradizione (e mi risulta che in Spagna e Portogallo seguitino a non usarlo), non viene mai citato nei documenti dei produttori, ma da parte di addetti ai lavori so come esso sia ritenuto indispensabile… in un prodotto della tradizione… solo io ci vedo una contraddizione? Grazie e buon lavoro, continuate così
Vorrei chiedere la signor Lorenzo Tommaso che fonti ha lei per “ritenere che ciò avvenga”? Vogliamo smetterla di mettere nero su bianco dei “sentito dire”? Sono in gioco i posti di lavoro di molte persone, accidenti! Crede forse che i maiali per le DOP vengano alimentati a merendine e biscotti?
Se questa è una chat seria, almeno chi scrive si qualifichi, come ho fatto io.
Sempre grazie per l’attenzione
Luisa A. Volpelli. Docente universitario. UNIMORE
Quando vai al supermercato e senti la signora Rossi che …… mi dia del crudo di Parma o San Daniele magro o mè lo’ puo’ sgrassare per bene ?…beh il mercato vuole questi prosciutti ci sono piu’ da 20 anni cmq è vero in disciplinare non è ammesso il Duroc Danese ma è una questione di soldi per i diritti potremmo fare il dna al Duroc Anas magari scopriamo che 80% è genetica danese e i suini che adesso macelliamo sono gran parte ibridi fatti in Nord Europa non Anas cugini del danese o con le stesse caratteristiche o quasi, poi se vogliamo applicare alla lettera il disciplinare Dop ci sono da guardare anche il peso delle cosce italiane e l’alimentazione………tasti che nessuno tocca studia meglio
Vorrei ancora rispondere al dott. La Pira, visto che dopo averglielo detto a voce, evidentemente, non ci ha creduto
“Resta il fatto che le cosce di Duroc danese prima, dopo o durante il percorso seguito all’interno della filiera si possono riconoscere….”
Non è vero, per quelle che sono le mie conoscenze. O altrimenti lo dimostri, non basta dichiarare come verità quello che lei pensa.
Luisa A. Volpelli – Docente Universitario – UNIMORE
Gentile Volpelli nelle interviste che ho fatto ho ricevuto parerei contrastanti che mi sono limitato a riportare. Diverse persone mi hanno detto che a fine stagionatura e anche in altri stadi della filiera si può capire se la coscia è di una razza adatta a diventare un prosciutto Dop. Può anche provenire da animali ottenuti da altri incroci. I prosciutti di razze non adatte danno comunque risultati deludenti a fine stagionatura. Se non c’è la possibilità di riconoscere queste cosce e mancando un dna di riferimento (come abbiamo scritto in questo ultimo articolo dell’inchiesta http://www.ilfattoalimentare.it/prosciutti-controlli-prosciuttopoli-maiali.html) vuol non potendo individuare in modo certo l’origine del seme la frode in teoria potrebbe andare avanti.
Non è assolutamente la stessa cosa dire che si possono riconoscere le cosce non adatte a fornire prosciutti di qualità, e che si possono riconoscere le cosce di una determinata razza, Duroc o qualunque altro. Nel primo caso, le non idoneità sono tante, così come tante sono le cause che le producono, e possono appartenere a tipi genetici tradizionalissimi e collaudatissimi! Nel caso invece di attribuzione di una coscia a un determinato genotipo, se si ha motivo di mettere in dubbio le abbondanti documentazioni cartacee (sorta di “pedigree”) che accompagnano le partite, si può ricorrere alla mappatura genetica…. complicato e costoso, eh!?!
Sempre grazie per l’attenzione, e a chi documenta quello che scrive….
Luisa A. Volpelli – Docente universitario – UNIMORE
A completamento di quanto detto dalla Prof.ssa Volpelli nei vari interventi e che condivido in pieno, credo sarebbe anche opportuno guardare al consumatore che, martellato continuamente sul fatto che il grasso faccia male, sceglie senza indugio il prosciutto “più magro e più dolce”, due cose comunque in contraddizione….
A. Rossi
…da tempo mi chiedevo, ma quel per me disgustoso sapore di “freschino”,
più o meno presente in tutti i prosciutti (anche di famose origini) che si trovano
nei banchi dei supermercati della mia città (Torino) da cosa trae origine???
Mi è stato detto dalla scarsissima stagionatura..ma ora vuoi vedere
che una parte di responsabilità ce l’ha anche la genetica???
Già, perchè i prosciutti stagionati toscani, umbri, per non parlare dei famosissimi
iberici, hanno il sapore , il profumo, la consistenza dei prosciutti di…una volta??
Complimenti per l’articolo ed in generale per la Vs.preziosa opera di informazione.
Enrico Villata
Se tornare ai prosciutti di una volta vuol dire mangiare prosciutti dal grasso giallo e rancido (difetti che causano lo scarto delle cosce DOP sin da quando sono cosce fresche appena macellate) forse non è il caso di tornare al passato. I prosciutti toscani e umbri sono fatti con cosce tendenzialmente più magre di quelle utilizzate per le altre DOP e hanno concie diverse. Si usa il pepe e sale in quantità maggiori (infatti devono essere mangiati con il pane cosiddetto”sciapo”, senza sale per mitigarne il sapore più deciso).
Come sempre è una questione di gusti individuali.
Sarebbe interessante chiedere a coloro i quali sono incaricati del “declassamento” dei 300.000 prosciutti di fare una valutazione organolettica seria degli stessi per evidenziare e certificare se certi difetti sono da ricondursi ad una matrice genetica oppure no.