Il nuovo governo giallo-rosso ha ripreso l’idea della sugar tax lanciata in Italia lo scorso anno dal Fatto Alimentare e lasciata nel cassetto per l’opposizione della Lega. La nostra proposta era di utilizzare i fondi ottenuti da questa tassa sullo zucchero per contrastare l’obesità all’interno di un programma di educazione globale della popolazione controllando la pubblicità rivolta ai bambini, introducendo l’etichetta a semaforo e promuovendo corsi di educazione alimentare nelle scuole. L’obiettivo del nuovo governo sembra invece quello di far cassa per finanziare scuola e ricerca.
La tassa sulle bevande zuccherate, ed eventualmente su altri prodotti contenenti zucchero, già adottata da diverse nazioni al mondo ha l’obiettivo di ridurre il consumo di quello aggiunto agli alimenti (come saccarosio, fruttosio, glucosio…). È una politica in linea con le indicazioni dell’Oms che fissano un limite all’assunzione degli zuccheri liberi (tutti quelli che non si trovano naturalmente all’interno di frutta, verdura, latte…) al 10% e idealmente 5% delle calorie totali giornaliere. In altre parole gli zuccheri aggiunti a bevande o alimenti dovrebbero quasi scomparire dalla nostra dieta.
La sugar tax già adottata in diverse nazioni al mondo ha dimostrato di essere efficace nel ridurre il consumo di bevande zuccherate, che è associato al rischio di obesità, diabete mellito e malattie correlate. Come mai l’Italia è in ritardo rispetto ad altri paesi nell’adozione di un provvedimento che può avere solo vantaggi per lo Stato, i cittadini e la salute? È lecito ipotizzare che uno dei motivi di questo ritardo sia da ricercare nei legami che caratterizzano una parte importante della comunità scientifica della nutrizione con l’industria alimentare. In Italia questo intreccio di interessi nell’ambito nutrizionale non è certo una novità.
Ben 10 società scientifiche hanno sottoscritto la petizione promossa da Il Fatto Alimentare per l’adozione della sugar tax sulle bevande zuccherate: la Società italiana di diabetologia (Sid), l’Associazione nazionale dietisti (Andid), la Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps), l’European childhood obesity group (Ecog), Slow Medicine, la Federazione italiana medici pediatri (Fimp), l’Associazione nazionale specialisti in scienza dell’alimentazione (Ansisa), la Società italiana obesità (Sio), l’Associazione medici diabetologi (Amd) e la Società italiana di medicina estetica (Sime). Personaggi autorevoli che hanno appoggiato la nostra proposta sono stati Francesco Branca, direttore del Dipartimento di nutrizione salute e sviluppo dell’Oms, Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, e altre centinaia di esperti nel campo della nutrizione (medici, dietisti, biologi nutrizionisti…).
Altre società hanno preferito non aderire all’iniziativa, tra queste citiamo: l’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), l’Ordine nazionale biologi (Onb) e la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg). La stessa Società italiana di nutrizione umana (Sinu), leader in Italia in quanto cura la stesura dei Larn (Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana) che dovrebbe essere la paladina di questa iniziativa in linea con le indicazioni delle più importanti autorità mondiali – Oms, World cancer research fund (Wcrf), World Obesity (WO) – è stranamente assente.
Al riguardo vale la pena curiosare nel sito della Sinu. Tra gli sponsor troviamo Ferrero (Soremartec) e Nfi, una società scientifica privata che è a sua volta finanziata da Barilla (Mulino Bianco), Ferrero e Nestlè nonché decine di altre aziende alimentari. La Sinu non ha alcuna politica di trasparenza e di disclosure sulla questione del conflitto di interesse degli autori che hanno partecipato alla stesura dei Larn, e a quanto pare non c’è alcuna intenzione di cambiare nel futuro. Al contrario l’Oms, il Wcrf, WO e le più importanti riviste medico scientifiche affrontano molto seriamente il problema del conflitto di interessi perché può stravolgere le pubblicazioni.
In Italia il conflitto di interessi è un tabù. Come mai le indicazioni sugli zuccheri riportate dai Larn sono diverse rispetto a quelle dell’Organizzazione mondiale della sanità? Perché i nutrizionisti più presenti in televisione continuano a ripetere il mantra tanto caro all’industria alimentare secondo cui “non ci sono alimenti buoni o cattivi”? Perché si continua ad enfatizzare il ruolo dell’educazione alimentare, la responsabilità dei genitori sulle scelte alimentari dei bambini, altro mantra tanto caro all’industria alimentare, quando i dati a disposizione dicono chiaramente che questa strada non funziona? Come mai si continua a osteggiare qualsiasi intervento delle autorità sul consumo dello zucchero (sugar tax) e l’etichetta a semaforo, che invece viene adottata con successo da diverse nazioni al mondo per la sua chiarezza e semplicità?
Una delle prime nozioni elementari che viene data allo studente che deve occuparsi di nutrizione (in Gran Bretagna, USA, Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Canada, Oms) è la distinzione tra zuccheri aggiunti agli alimenti e quelli naturalmente presenti. In Italia invece gli zuccheri contenuti all’interno di una lattina di Coca-Cola sono considerati come quelli naturali contenuti nella frutta (circa quattro arance). Ci sarà una differenza tra una bevanda gassata e quattro arance, visto che gli zuccheri della frutta sono accompagnati da fibra alimentare, vitamine, minerali e fitocomposti, mentre nelle bibite zuccherate questi nutrienti non ci sono.
In Italia non è chiaramente stabilito un limite per gli zuccheri liberi aggiunti agli alimenti, per cui si può anche superare la quota del 10% fissata dall’Oms. Paradossalmente, poiché gli zuccheri naturali e quelli aggiunti vengono messi “nello stesso calderone”, si consiglia di non mangiare più di tre frutti al giorno perché altrimenti si rischia di superare la soglia del 15% delle calorie giornaliere fissate dai Larn! Mentre per l’Oms la quantità di frutta è flessibile e si può avere il beneficio nutrizionale di assumere anche più porzioni al giorno.
Nei Larn italiani non si forniscono indicazione alla popolazione sul rapporto tra il consumo di zuccheri e la carie dentaria. Le evidenze scientifiche sul ruolo dello zucchero bianco (ma anche il fruttosio e glucosio) nel causare la carie sono solide e chiare da oltre mezzo secolo, ma l’industria dello zucchero è riuscita a manipolare la comunità scientifica e a far dimenticare questo fattore così importante.
La carie inizia già dopo un incremento dello zucchero bianco nella alimentazione dell’uomo del 2-3% delle calorie giornaliere. Proprio per questo motivo che l’Oms suggerisce idealmente di contenere gli zuccheri aggiunti a meno del 5% delle calorie totali. In Italia molti nutrizionisti divulgatori hanno negato e annacquato il messaggio per decenni, facendo dimenticare che lo zucchero è la principale causa della carie. Se così non fosse, sarebbe difficile proporre alla popolazione merendine, gelati, succhi di frutta o biscotti (ricchi di zuccheri liberi) come spuntini a metà mattina o metà pomeriggio quando è difficile lavarsi i denti.
L’ostilità che l’Italia ha verso la sugar tax e il Nutri-Score può essere in parte dovuta all’influenza degli sponsor dell’industria alimentare ai massimi livelli delle istituzioni scientifiche della nutrizione. È necessario allinearsi agli standard internazionali di trasparenza e risolvere il problema del conflitto di interessi. Così facendo potremo finalmente adeguare le nostre linee guida a quelle del resto del mondo e migliorare le indicazioni nutrizionali per la popolazione generale.
Redazione Il Fatto Alimentare, Antonio Pratesi e Abril Gonzalez Campos (gli autori dichiarano di non aver alcun conflitto di interesse).
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Articolo di denuncia ed informazione epocale. Complimenti.
Adoperiamoci per rendere ancora più incisivo questo messaggio diffondendolo a quante più persone possibile.
Dopo aver visto ieri sera un dibattito politico su una nota rete tv direi che questi ragionamenti salutistici rimarranno lettera morta , non uno dei partecipanti di diversi partiti politici si è degnato di spendere una sola parola sugli effetti negativi di questi alimenti , tutti arroccati sul vago principio di non aggiungere nuovi balzelli, inutili chiacchiere tanto poi sappiamo come va a finire su argomenti ben più pesanti per i contribuenti.
Penso che se si farà un qualche tipo di provvedimento sarà soltanto per spillare qualche soldino da spendere altrove , è una situazione deprimente.
A maggior ragione quindi bisogna martellare in qualsiasi canale di divulgazione possibile con articoli come questo perchè la pressione dei produttori di dolciumi è micidiale e perchè la “prevenzione” nel campo della salute è un concetto semisconosciuto a chi deve prendere decisioni.
Sono solo capaci di dire che non ci sono soldi, che bisogna razionalizzare in realtà tagliando , dilazionando , privatizzando il sistema.
Tutto sacrosanto!
Quello che non si vuole capire è che l’unico sistema per modificare/correggere i consumi alimentari è la formazione/informazione alimentare.
L’idea che tasse,balzelli e divieti vari possano supplire alla carente formazione/informazione alimentare è da stato teocratico (pensate forse che in Arabia Saudita non si consumino alcolici nonostante sia previsto il carcere ?).
Educare al fatto che lo zucchero, in questo caso, non è nocivo in se ma in funzione della quantità.
Diversamente dovremmo tassare qualunque cosa, le carni rosse, ad esempio, sono potenzialmente cancerogene, che facciamo ? Una tassa sulla fettina ??
Ok, la sugar tax potrebbe funzionare, vorrei però sottolineare che se si incominciano a tassare le bevande con più del 5% di zucchero, allora si finisce con il tassare anche il latte, che ha un tenore in lattosio che è proprio attorno al 5% ! Fra l’altro non potendosi regolare le bovine in modo da fargli produrre sempre latte al 4.9% di lattosio, si dovrebbero analizzare i singoli lotti.
Ed escludere il latte dalla sugar tax potrebbe essere sanzionato come norma distorsiva del mercato.
Anche i succhi di frutta senza zuccheri aggiunti sarebbero a rischio.
C’è un po’ di confusione. Gli zuccheri liberi da limitare nella dieta secondo l’OMS sono: gli zuccheri “artificiali” aggiunti agli alimenti e bevande più gli zuccheri da miele e succhi di frutta. Gli zuccheri del latte sono esclusi. Anche i succhi di frutta al 100% senza zuccheri aggiunti sono come gli zuccheri della Coca Cola perché sono liberi.
Nessuno si sogna di tassare alimenti con solo un 5% di zuccheri aggiunti. L’obiettivo della sugar tax sarebbe quello di limitare il consumo di zuccheri aggiunti alle bevande in primis. L’introduzione della sugar tax è un messaggio molto potente dal punto di vista EDUCATIVO perché INFORMA il consumatore che l’eccesso di zucchero bianco (e gli altri zuccheri aggiunti) rappresenta un problema per la sua salute.
Giustamente nessun produttore accetterà di buon grado di essere penalizzato nelle vendite da qualche balzello e tenterà di additare e accusare altri prodotti lasciati indenni nonostante contengano la stessa sostanza o altre ancora ritenute complici nell’obesità ed altri disturbi; tutti poi si coalizzeranno per dire che basta fare un pò di ginnastica per smaltire eventuali eccessi .
Toc!Toc! C’è qualcuno dalla parte dei legislatori in grado di capire , al di là delle pressioni dei produttori , cosa fa bene e cosa meno?
Qui da noi viene osteggiata l’introduzione delle etichette a semaforo , sarebbero utili per segnalare se una confezione contiene elementi sbilanciati , la loro funzione sarebbe quella di indicare ai consumatori che non bisogna abusarne fornendo contemporaneamente indicazioni sulla quantita’ consigliata, persona avvisata mezza salvata.
Poi si potrebbe abbassare i limiti attualmente esistenti su zucchero ,e anche grassi e sale e infine introdurre una tassa su quegli alimenti eccessivamente sbilanciati , tutti elementi da regolare scientificamente.
Dopo di che , visto che con le costrizioni non si convince nessuno , bisogna che chi vuol capire usi la propria intelligenza per dare l’esempio e non seguire le mode sempre piu’ deleterie.
segnalo qui l’intervento di Concita De Gregorio sulla “tassa sulle merendine” ; possibile che le associazioni e società mediche e odontoiatriche non abbiano preso posizione per incoraggiare simili interventi legislativi? solo il fatto alimentare batte e ribatte su questo chiodo. Complimenti
dottor Giulio Calderoli
interventi: https://www.la7.it/dimartedi/video/concita-de-gregorio-mi-piace-tassa-su-merendine-penso-sia-giusto-pagare-di-piu-le-cose-che-fanno-25-09-2019-283767