Nell’ambito della campagna e della raccolta firme che Il Fatto Alimentare sta portando avanti per chiedere alla Ministra della salute Giulia Grillo l’introduzione della sugar tax sulle bevande zuccherate, proponiamo un’intervista a Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. L’intervista fa seguito a quelle rilasciate sullo stesso argomento da Francesco Branca dell’Oms e da Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità.
Secondo le ultime stime del rapporto Osservasalute 2016, riferito al 2015, viene considerato in sovrappeso il 35,3% della popolazione adulta, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%). In altre parole poco meno di un italiano adulto su due presenta una situazione di eccesso ponderale. Possiamo considerare il problema obesità una sorta di epidemia da un punto di vista sanitario?
Assolutamente sì, si tratta di un’epidemia che va affrontata. Questa è una delle sfide più grandi per quanto riguarda la salute del mondo e la prevenzione delle malattie croniche. Il problema è legato al benessere, all’industrializzazione, ai trasporti meccanizzati, all’urbanizzazione, agli stili di vita sempre più sedentari e il passaggio a cibi processati e a diete ad alto contenuto calorico. Negli ultimi 30 anni, in molti paesi l’obesità della popolazione è duplicata, o addirittura quadruplicata. Nei prossimi anni, il fenomeno dell’obesità infantile in aumento avrà conseguenze sugli individui e sui sistemi sanitari. L’obesità è una malattia complessa e multifattoriale: ha origini genetiche, comportamentali, socioeconomiche e ambientali e aumenta il rischio di debilitare lo stato patologico e la mortalità. Le pubblicazioni degli ultimi anni dimostrano che ha anche un impatto economico sull’intero globo.
Basta pensare che oggi nel mondo ci sono più persone sovrappeso rispetto a quelle che vivono in stato di denutrizione. Ma non è solo una questione di obesità. C’è anche la sindrome metabolica: diabete, ipertensione, alti livelli di lipidi nel sangue, malattie del cuore e del fegato. Ne soffrono più di 10 milioni di italiani e oggi si muore di più di malattie del cuore e di diabete che non di tumore del polmone, del colon e della mammella messi insieme.
L’eccessiva assunzione di zucchero (o zuccheri aggiunti) attraverso bibite, succhi di frutta, merendine biscotti e snack è un problema per l’alimentazione degli italiani e, soprattutto, per i bambini e i giovani. Secondo uno studio dell’Istituto superiore di sanità (Iss) pubblicato nel 2015 il consumo medio di carboidrati semplici degli italiani è il doppio del valore raccomandato (20-21% rispetto a un valore di riferimento che indica una percentuale inferiore al 10%).
Lo zucchero uccide proprio come alcol e fumo, e lo fa senza che ce ne accorgiamo (che è anche peggio). Una lattina di Coca-Cola contiene tanto zucchero quanto quello presente in quattro cucchiaini da tè e genera acidità che richiederebbe 32 bicchieri di acqua per essere neutralizzata. Il fruttosio in eccesso della Coca-Cola e delle altre bevande zuccherate viene trasformato dal fegato in grasso, creando così resistenza all’insulina – in questo modo il corpo comincia a ignorare l’azione dell’ormone insulina – e da qui si arriva alla sindrome metabolica. (*)
Fruttosio e glucosio hanno fatto anche saltare i soliti schemi, cioè malattie cardiovascolari da una parte e tumori dall’altra. Questo accade perché certi tumori per crescere hanno bisogno di insulina o di fattori di crescita che assomigliano all’insulina e lo zucchero crea le condizioni perché questo succeda.
In alcuni Paesi europei si propone di vietare la pubblicità di certi prodotti destinati ai giovani o l’abbinamento di cibo a gadget o personaggi dei cartoni animati. Questi divieti possono rientrare in una strategia per cercare di arginare il problema dell’eccesso di zuccheri nella dieta dei giovani?
Certo, i divieti possono rientrare in una strategia che aiuta ad arginare il problema. Facciamo parlare i numeri: la tassa sullo zucchero in Messico ha ridotto le vendite di bevande zuccherate del 5% nel primo anno, con un’ulteriore riduzione del 10% nel secondo anno. La tassa sul tabacco in Sud Africa ha contribuito a far diminuire il consumo di tabacco di circa il 40% tra il 1993 e il 2003. O ancora, quando la Finlandia ha ridotto la tassa sull’alcol nel 2003, la mortalità collegata all’alcol è aumentata del 16% negli uomini e del 31% nelle donne. Tasse su zucchero, tabacco e alcol sono state introdotte recentemente anche in molti paesi dell’America Latina, in India, in Nigeria, negli Emirati Arabi e Regno Unito.
In Italia, al contrario di quanto avviene in Francia, nel Regno Unito e in altri Paesi europei, il Crea, i ministeri della salute e delle politiche agricole e altre autorità che operano nell’ambito della nutrizione, come pure le associazioni delle aziende alimentari, hanno un atteggiamento ostile verso la sugar tax e le etichette a semaforo. Lei giustifica questa posizione?
L’argomento più utilizzato quando si parla di scoraggiare il consumo di alcol e sigarette (ma dovremmo metterci a pieno titolo lo zucchero) è questo: “con una tassa su tutto, perfino sulla Coca–Cola, non si limita la libertà individuale?” Vediamo. Chi beve e fuma costa, lo sanno tutti – e vale per chi consuma zucchero in eccesso – e questo sottrae risorse per grandi progetti di salute, come l’assistenza agli anziani per esempio: già questo deve far riflettere. Ma pochi valutano gli “altri” costi. Quante ore di lavoro si perdono in un anno in Italia per malanni da alcol, fumo e zucchero? Quanto costa ai familiari un ammalato di cuore o di diabete? Senza i costi di alcol, fumo e zucchero, ciò che ogni anno abbiamo a disposizione per la salute basterebbe senza tagli né ticket e sarebbe per tutti. Insomma, forse non è vero che “ciascuno deve essere libero di fare quello che gli pare, compreso farsi del male se vuole”. E poi, a pensarci bene, la tassa sulla Coca-Cola un po’ c’è già: è quella che paga ogni anno chi è più attento a favore di chi eccede.
In Italia non esiste una politica in ambito nutrizionale e mancano campagne e iniziative pubbliche per incentivare le persone a condurre un stile di vita salutari. Forse sarebbe il caso di affidare il capitolo nutrizione e sicurezza alimentare a un’agenzia autonoma, come avviene in Francia, nel Regno Unito e in altri Paesi?
L’importante è affrontare il problema dello zucchero nell’ambito di una strategia globale di salute pubblica. Deve essere una preoccupazione costante di chi ci governa. Si può fare tramite un’agenzia autonoma, ma anche attraverso un’azione mirata a contrastare l’utilizzo di tabacco, alcol e zucchero nell’ambito dell’Istituto superiore di sanità.
Per aderire all’appello è sufficiente copiare il modulo (*) su una mail, compilarlo e spedire a ilfattoalimentare@ilfattoalimentare.it
Il sottoscritto (nome e cognome): Professione e/o titolo: Istituto o ente di riferimento: Città di residenza: aderisce alla petizione promossa da Il fatto Alimentare per chiedere al Ministero della salute di introdurre in Italia una tassa progressiva del 20% sulle bevande zuccherate. (*) Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del GDPR (Regolamento UE 2016/679) e del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”. |
(*) Nota:
La resistenza all’insulina (o insulino-resistenza) consiste in una condizione di ridotta capacità di risposta all’ormone insulina – responsabile dell’assorbimento nelle cellule degli zuccheri nel sangue – da parte dell’organismo, che può verificarsi in seguito a una serie di fattori, anche alimentari. In particolare, l’insulino-resistenza si può sviluppare in condizioni di eccesso calorico – sia dovuto a diete ad alto contenuto di zuccheri, che di grassi – come tentativo da parte dell’organismo di proteggersi dall’obesità. Essa infatti dovrebbe neutralizzare l’azione dell’ormone “anabolico” per eccellenza, responsabile dell’accumulo dell’energia alimentare in eccesso sotto forma di grasso. Di conseguenza il pancreas produce quantità sempre più alte di insulina (iperinsulinemia) per riuscire a far penetrare nelle cellule gli zuccheri ematici, i sui livelli aumentano (iperglicemia). L’eccesso di insulina è la conseguenza di una “resistenza” a questo ormone che si genera nei soggetti che seguono un regime alimentare ipercalorico in maniera cronica. (Gavazzeni)
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[sostieni]
Buongiorno Fatto Alimentare,
quello che non mi è chiaro, da consumatore che vorrebbe diventare ancora più critico sulle scelte d’acquisto, è quali sono le indicazioni riguardo al consumo di bevande zuccherate. Ad esempio, quanto succo di frutta posso dare a mio figlio oppure quali quantità mi posso permettere di consumare mediamente da adulto?
Basta leggere le etichette nutrizionali incluse nelle ocnfezioni oppure esiste una guida, un vademecum per avere maggiore consapevolezza nella scelta di acquisto e consumo. O, ancora, sarebbe opportuno contattare un nutrizionista?
Grazie.
Il concetto è che le bevande zuccherate e i succhi di frutta zuccherati non devono rientrare nella dieta abituale del bambino.
I bambini non hanno bisogno di bevande confezionate, perdipiù addizionate di zuccheri semplici. I bambini hanno bisogno di sali minerali e vitamine, perciò di estratti freschi di frutta ma soprattutto verdura.
Rinforzo i pareri ed i saggi suggerimenti riportati con la mia convinzione che un alto spread dei costi tra alimenti, bevande e sostanze dannose (zuccheri, alcool, grassi saturi, fumo), rispetto a quelle sostanzialmente più sane ed equilibrate, sia la via maestra per raggiungere lo scopo, liberando anche risorse per la ricerca ed investimenti per la prevenzione della salute pubblica.
Perché non possiamo contare troppo sull’educazione individuale dei consumatori che hanno acquisito dipendenza di questi eccessi.
Tassare decisamente alimenti, bevande e sostanze dannose si riduce automaticamente anche il margine utile dei produttori e venditori, dirottandoli verso produzioni meno problematiche anche per il loro fatturato.
Penso che le aziende dolciarie dovrebbero cominciare a ridurre lo zucchero nei loro prodotti, cosi’ come hanno ridotto i grassi e introdotto farine integrali e fibre alimentari. L’eccesso di zucchero in biscotti e merendine è solo una conseguenza del fatto che le industrie ci hanno abituato a un gusto molto dolce e non è un’esigenza perché un prodotto sia apprezzato. Bisognerebbe cominciare a creare linee di dolciumi con pochi zuccheri—per esempio non più del 15%— (oltre che pochi grassi) e riabituare i consumatori a un sapore più equilibrato.
Sono d’accordo su tutto; purtroppo c’è ancora qualche ditta produttrice che si ostina a proseguire su strade vecchie, fingendo di non percepire (o facendo di tutto per ostacolarne il corso) che la coscienza dei più sta cambiando: ad esempio, sono disgustata dai recenti spot televisivi sugli ovetti Kinder rivolti ai più piccoli, un corteggiamento suadente e manipolarlo per far leva su questi ultimi, secondo me addirittura passibile di segnazione per mistificazione dell’essenza del prodotto in questione