AGGIORNAMENTO 12 MARZO 2019
Pochi giorni dopo la pubblicazione di questo articolo il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), ente di ricerca alle dirette dipendenze del Mipaaft, ha pubblicato un’indagine condotta in modo rigoroso secondo cui lo spreco degli italiani sarebbe di circa 370 grammi alla settimana. Per leggere il nostro articolo clicca qui .
Difficile credere che nelle famiglie italiane nove anni fa il 30% circa della spesa finisse in pattumiera. Qualsiasi persona di buon senso non ci avrebbe creduto, ma le cose sono andate diversamente. I dati, pur essendo privi di fondamento e frutto di un’indagine di mercato inconsistente, vengono rilanciati da La Repubblica il 25 ottobre del 2010. Il quotidiano indica come fonte Coldiretti che a sua volta ha ripreso le cifre fornite da una piccola associazione di consumatori, Adoc.
L’indagine però è priva di validità scientifica, non distingue i nuclei familiari per area geografica e non rappresenta un campione valido di intervistati. Purtroppo da questo improbabile documento nasce la leggenda metropolitana degli italiani spreconi, supportata indirettamente da autorevoli esperti un po’ distratti come Andrea Segrè, docente dell’Università di Bologna e promotore di Last minute market. Il professore, intervistato ripetutamente, non smentisce mai il dato.
Lo stesso Segrè intervistato da noi nel 2012 sosteneva che in Italia lo spreco alimentare domestico fosse del 27% e, per giustificare i dati, parlava di stime europee e di valutazioni complessive, senza chiarire la metodologia seguita. Questo piccolo particolare, considerato un elemento fondamentale per qualsiasi ricercatore, non viene preso in considerazione dai media e la campagna contro lo spreco prende il via. Persino il rapporto di Barilla Food and Nutrition Center “Lo spreco alimentare: cause, impatti e proposte”, datato 2012, riporta una tabella citando come fonte Andrea Segrè, da cui emerge che il 35% dei prodotti freschi comprato dalle famiglie italiane (latte, uova, carne) finisce nei rifiuti, seguito dal 19% del pane e dal 16% di frutta e verdura.
Per capire la scarsa attendibilità dei numeri vale la pena riportare le dichiarazioni di uno stretto collaboratore di Segrè, Luca Falasconi, della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, che nell’ottobre 2013 in un’intervista a Il Fatto Alimentare dichiarava «Nessuno ha fatto un’analisi statistica validata calcolando a livello familiare l’entità dello spreco e del cibo in pattumiera. Esiste un’inchiesta inglese dove si stima che il 33% del cibo viene buttato, ma in Italia non ci sono stime di questo tipo. Il valore riferito dall’Adoc non ha riscontri statistici validi e non può essere proposto come la verità. Ipotizzare in Italia valori simili a quelli inglesi non è serio».
Nonostante ciò la favola del 27-30% di spreco domestico si ingigantisce progressivamente e diventa una questione nazionale. Per rimediare alla situazione arrivano finanziamenti da enti pubblici nazionali e internazionali e si avviano progetti per sensibilizzare gli italiani. Un ruolo importante in queste iniziative spetta all’Osservatorio Waste Watcher di Last minute market presieduto da Andrea Segrè e considerato il punto di riferimento nazionale.
La realtà però era molto diversa come documentava un’indagine (1) condotta nella primavera 2012 dalla Fondazione Sussidiarietà, con Marco Melacini, Paola Garrone e Alessandro Perego del Politecnico di Milano con il contributo del Gruppo Nestlé. Lo studio basato su un panel di seimila famiglie della Nielsen, stimava lo spreco domestico all’8%, per un valore di circa sette miliardi di euro l’anno. Una differenza considerevole rispetto al dato del 27-30% di Segrè e di Adoc. Lo spreco domestico quindi non è mai stato il 27-30% ma si avvicina all’8%. Per fortuna anche Andrea Segrè nel frattempo ha corretto il tiro e ha scoperto di avere fatto confusione. Pochi hanno voluto credere ai numeri di una ricerca universitaria seria ripresa anche dal Presidente del consiglio di allora Mario Monti, che non era certo uno sprovveduto. Molti hanno preferito i valori forniti da Adoc, rilanciati da Coldiretti e suffragati da esperti che non avevano dati validi a disposizione.
Martedì 5 febbraio durante la sesta giornata nazionale di prevenzione allo spreco alimentare verranno forniti i numeri aggiornati sullo spreco alimentare domestico che, come avviene da tempo, ricalcano in buona sostanza quelli del Politecnico di sette anni fa con piccole variazioni.
Per giustificare le fesserie del passato si dice che in questi anni le abitudini degli italiani sono cambiate. Non è così. Nel 2010 in Italia c’era già la crisi economica ed era impensabile ipotizzare che due delle sei borse della spesa settimanale al supermercato di una famiglia finissero nei rifiuti, come sostenevano i guru e gli “esperti”. Da noi si è sempre sprecato poco, le eccedenze in cucina vengono rielaborate il giorno dopo friggendo in padella la pasta avanzata, riscaldando il risotto del giorno prima, surgelando il pane e facendo polpette e frittate.
Questa lettura nove anni fa era però troppo semplice. Si è preferito costruire un percorso virtuoso contro lo spreco alimentare domestico, basato su dati improbabili, che però ha incontrato il favore di tutti. Certo in questi anni si è fatto molto nelle collettività, nei supermercati e anche nelle aziende alimentari per limitare e ridurre lo spreco e razionalizzare la distribuzione del cibo, e questo messaggio ha funzionato in parte. Le fonti di spreco sono però ancora tante anche se pochi affrontano questi problemi in modo organico. Ogni anno decine di milioni di litri di latte fresco di alta qualità che le catene dei supermercati restituiscono ai produttori due giorni prima della scadenza e che viene destinato inevitabilmente nella filiera dei mangimi animali. Ci sono altri prodotti alimentari che in prossimità della scadenza potrebbero essere venduti con il 50% di sconto anziché finire nella spazzatura. C’è poi il grande spreco dell’acqua minerale consumata in modo esagerato dal 90% della popolazione. Ne beviamo quasi 13,5 miliardi di litri l’anno (224 litri a testa) quando si potrebbe tranquillamente dimezzare i consumi visto che l’acqua di rete nella maggior parte dei casi è ottima. Ma il discorso dello spreco è stato focalizzato soprattutto nell’ambito familiare dove nella stragrande maggioranza dei casi il problema è marginale.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
A me vien da pensare che il vero problema sia l’incapacità di certi di dire: “ho sbagliato”, per cui meglio insistere nell’errore, piuttosto che ammetterlo.
Comunque sia, nella mia famiglia non sprechiamo il 30%, ma neanche il 3% – vedi: https://paoblog.net/2019/01/03/alim-107/. Ecco il diario del 2018
Anche quest’anno ho preso nota di cosa buttiamo (e perchè); preciso che la nostra famiglia è composta da 2 persone.
– Gennaio: 40 grammi di patatine (avanzate dalle feste natalizie) + 5 arance (ho comprato una cassetta da 7 kg e queste erano pesantemente danneggiate, con muffa)
– Febbraio: Niente
– Marzo: Niente
– Aprile: Circa 300 grammi di cavolo nero
– Maggio: Niente
– Giugno: 4 fichi, un paio di albicocche e 3 banane.
(I fichi e le albicocche erano troppo duri e lasciandoli in frigorifero risultavano immangiabili; abbiamo provati a lasciarli fuori un giorno e sono ammuffiti. Io compro solo banane bio, ma purtroppo all’Esselunga [diversamente da Unes] le confezioni sono di 6 banane, per cui va da sè che alcune le ho tenute per la settimana successiva, ma non sono durate.)
– Luglio: 1 panino + 1 fico
– Agosto: Alcuni fichi (non acquistati, ma regalati dal vicino) + 1 mini anguria Bio (veramente acerba)
– Settembre: Niente
– Ottobre: 2 hamburger (dimenticati sul fornello e quindi bruciati)
– Novembre: 2 cachi
– Dicembre: 2 arance (erano in pessime condizioni all’acquisto, ma essendo sul fondo della cassetta, va da sè che non le abbiamo viste) + 1 caco (dimenticato in frigorifero) + 1 panino + 300 grammi di zucca (non vista nel frigorifero troppo pieno a Natale)
Dott. La Pira: LA RINGRAZIO!!! Da anni con il mio semplice buonsenso avevo bollato di bufala questa cosa, ma non ero riuscito a scovare da dove veniva fuori. Avevo ipotizzato che nello spreco fosse stato conteggiata tutta la parte che “qualcuno” adesso con la moda magari riusa a fine alimentare, ma che di solito si butta (ad esempio i gambi dei carciofi, o le bucce degli agrumi), ma che le persone buttassero il 30% pur considerando gli yogurt scaduti… e altri alimenti che talvolta può succedere di fare scadere, mi pareva fuori dal mondo!!! E ci hanno fatto pure delle leggi partendo da questa bufala!
Credo debba girare il suo articolo alla trasmissione Geo… trasmissione carina e che seguo, ma con sempre maggiore insofferenza per quella parte di “informazione romantica” che ci vendono come sacre verità, come appunto lo spreco alimentare, i grani antichi, le virtù salutari del vino e di alimenti vari…
E’ già molto difficile valutare i reali consumi alimentari, cioè quello che si mangia veramente e chi lo mangia, figuriamoci quello che si butta. Le abitudini alimentari si valutano in vario modo e quasi sempre con indagini osservazionali come quelle di Okkio, ma come sappiamo un’indagine validata dovrebbe comportare un diario alimentare controllato. Credo però che La Pira dovrebbe aiutarci a capire perché Segré che è anche (mi pare) presidente FICO (forse la più grande produttrice di rifiuti di cibo del mondo) è interessato a insistere con questo “spreco”, e perché altre istituzioni lo seguono.
Segrè da almeno 20 anni segue questo tema e quindi il suo interesse è abbastanza logico. Il problema vero è che lui ha di fatto assecondato ricerche di mercato improbabili con numeri assurdi e molti, forse troppi, lo hanno seguito senza verificare le fonti.
Temo che fossero le famiglie “di una volta” a riutilizzare gli avanzi.
Purtroppo conosco famiglie giovani che fanno la spesa di fretta e senza programmazione, poi si ritrovano col frigorifero pieno di cibo che non consumano e che gettano nella spazzatura appena scaduto (o anche prima).
Per non parlare di quello che vedo spesso nei bar: genitori che prendono la brioche al bimbo, e quando il bimbo dopo 2 o 3 bocconi non la vuole più, la gettano nel cestino.
Credo che non fossimo, ma siamo diventati spreconi.
molto interessante, verificare i dati è un’ottima indispensabile pratica,ahimé in disuso.
solo una cosa: quello dell’acqua minerale è probabilmente uno spreco di soldi, ma non uno spreco alimentare. l’acqua minerale non credo sia mai “buttata via”. Per cui come mai lo inserisce qui?
Inserisco qui lo spreco di acqua minerale perché è vero che probabilmente si beve quasi tutta, ma essendo un prodotto spesso inutile nella dieta quotidiana esistendo una valida alternativa gratuita o quasi, lo spreco economico e ambientale è talmente esagerato e assurdo che non può essere ignorato come invece fanno quasi tutti in Italia
Grazie signor La Pira, ho letto con molto interesse questo articolo, con il quale concordo. Credo che per risolvere il problema degli sprechi alimentari non basti far riflettere le persone sulla loro condotta personale.
E’ vero che oggi il cibo sprecato raggiunge numeri tali da essere insopportabili dal punto di vista etico ed economico-sociale, ed è anche vero che ognuno di noi dovrebbe fare attenzione a buttare via meno possibile in casa, in mensa o al ristorante. Però mettere l’accento sugli sprechi domestici piuttosto che sul sistema produttivo e distributivo può distorcere il problema, e non di poco.
E’ un po’ quello che avviene per il problema sociale dei consumi eccessivi di zuccheri e cibi spazzatura: mentre le raccomandazioni delle società scientifiche indipendenti invitano ad affrontare il problema attivando politiche di controllo del marketing (come limitazioni alle pubblicità, tasse sul junk food o etichette a semaforo) le compagnie produttrici insistono sulla educazione del singolo e sulla responsabilità individuale. Ma non è il sistema sociale che indirizza gli acquisti e i consumi delle persone (e quindi anche gli sprechi)? E non è la grande distribuzione che incentiva il consumo (e con gli sconti anche l’acquisto oltre le necessità) di prodotti alimentari, con una disponibilità sugli scaffali nettamente superiore alla nostra capacità di mangiarci tutta quella roba? Sicuramente, viviamo in un contesto in cui l’offerta di cibo è esagerata, è quindi è inevitabile che una parte considerevole di questo cibo venga buttata. Ho trovato interessanti a questo riguardo le teorie di Tristram Stuart.
E’ sconsolante e insopportabile constatare che evidentemente tutto questo cibo non è accessibile a tutti, ma anzi aumentano le famiglie che faticano a mettere in tavola un pasto decente tutti i giorni.
Molto probabilmente quel 30%nasconde tutto lo spreco della grande distribuzione ,carne confezionata in scadenza e tutti i prodotti freschi a scadenza breve
In realtà si tratta esclusivamente dello spreco domestico.
Non so a quali dati ci si voglia riferire, ma gli unici report che conosco sono quelli della FAO e quelli di Eurostat. Il 30% è responsabilità del consumatore come dice Domenico. Certo il consumatore è quello che gestisce tutto ciò che è consumabile (che stia sul bancone o in mensa o a casa nostra) ! Di tutto questo 30%, e nei paesi occidentali, quasi la metà si spreca a casa. In Italia quasi 60 kg annui pro-capite. Dati del 2011.
Il problema vero è capire come sono stati ottenuti i dati.La ricerca del Politecnico di cui parliamo era corretta ed è stata confermata dalle ricerche serie effettuate dopo con anni di colpevole ritardo.
Avendo lavorato spesso da giovane nei ristoranti, ritengo che sia in questo genere di attività’ che si concentri la maggior quantita’ di spreco alimentare…molto spesso veramente esagerata…
Ho trovato ora su “La Repubblica” on line un articolo dedicato allo spreco alimentare dal titolo: “Piatti del giorno dopo, surgelati e dispensa intelligente: così si evitano gli sprechi alimentari”.
Proprio come avete detto qui sopra è una sarabanda di numeri e percentuali, di difficile comprensione ed impossibili da accettare.
Copio e incollo:
….
Tra gli alimenti più colpiti svettano verdura e frutta fresca, seguite da pane fresco, cipolle e aglio, latte e yogurt, formaggi, salse, sughi e in generale i prodotti a breve scadenza, che arrivano fino al 63%. I meno sprecati, invece, sono i surgelati: solo il 2,5%. ….
Ma a che cosa si riferisce quel 63%?, Dovrebbe essere la percentuale sullo scartato, ma non è precisato.
ancora:
….
è proprio nelle nostre case che lo spreco alimentare assume il peso più rilevante (oltre il 50%): la maggior parte del cibo acquistato finisce direttamente dalla tavola al cassonetto dell’immondizia, perché cucinato in quantità eccessiva o non consumato entro la data di scadenza (nel 46% dei casi). ….
Seguono poi altre cifre che a mio parere non hanno alcun coordinamento tra di loro e con i dati sullo spreco.
Mi spiace questa cosa, perché considero La Repubblica un giornale abbastanza serio, tanto più che il suo gruppo editoriale edita anche “Le Scienze”.
Vorrei anche aggiungere che ci sono tanti modi di sprecare, come dice qui sopra il Dr. La Pira.
Acquistare cibi freschi fuori stagione o provenienti dall’altro capo del mondo è uno spreco di risorse legato all’alimentazione.
Per quanto riguarda il mio rapporto con lo spreco comincerò col dire che ho una certa età e che sono nato in una famiglia contadina dove lo spreco era inammissibile, e non solo quello alimentare. Questa educazione mi ha lasciato un’impronta indelebile che mi condiziona anche adesso che non mi manca nulla e che posso scegliere fra tantissime cose (anche troppe). Ho la fortuna di poter coltivare un orto ed anche questo mi sembra una forma di sostanzioso antispreco alimentare. E da pensionato con un po’ di tempo libero ho pensato bene di dotarmi di un mulino domestico: compro il grano, lo macino, setaccio la farina e ci faccio il pane, mentre la crusca va a ruba tra i parenti come integratore di fibre.
Un complimento a Paoblog per il suo impegno e la sua precisione.
Ciao
Signor La Pira, credo che la citazione del 2013 del Dottor Falasconi dai lei riportata sia un po’ datata. Personalmente, sto seguendo i lavori del Professor Segrè e dei suoi collaboratori e mi sembra che riportino sempre (almeno per gli studi recenti) le modalità di raccolta dati riguardo allo spreco a livello domestico. Se lei è in grado di fornirmi dichiarazioni o dati più recenti che smentiscano le mie fonti, allora sono disposta a mettere in discussione le mie idee. In caso contrario, continuerò a fidarmi delle notizie recenti.
Tendo a precisare di non aver nessun contatto o conoscenza personale con il Professor Segrè. Sono solo interessata alla tematica degli sprechi.
Il problema è che i dati di allora del 27-30% di Segré erano fasulli e sono stati usati per avviare progetti ricerche ecc. Lo spreco domestico di allora era quello indicato dal Politecnico di Milano che è molto vicino a quello di adesso. Ciò non toglie che la riduzione dello spreco deve essere un obiettivo
Interessante questo “errore di valutazione” al quale in tanti esperti del settore hanno dato credito.
Quello che posso dire, da Dietista che lavora da oltre 20 anni nel settore mense scolastiche, è che purtroppo gli scarti nelle mense scolastiche sono piuttosto elevati. A mio avviso il problema potrebbe essere prevenibile con due semplici, mosse (al momento non facili da attuare):
1. ridurre gli spuntini di metà mattina (e quindi far fare colazione ai bambini a casa e quindi mandarli a letto presto la sera)
2. accettare menù strutturati in modo diverso, evitando di fornire ogni giorno il pasto completo (primo, secondo, contorno, pane e frutta) che per i nostri giorni, per bimbi che hanno già mangiato molto durante l’intervallo di metà mattina, risulta davvero eccessivo.
Quello che dice è assolutamente vero, abbiamo scritto diversi articoli sullo spreco veramente esagerato nelle mense scolastiche e i motivi sono diversi. Le soluzioni esistono ma solo poche scuole potano avanti questi progetti che, quando sono messi in pratica, funzionano e lo spreco si riduce drasticamente
Incuriosito ho cercato qualche documento. Vi invito a prendere in considerazione il report della FAO del 2011. Riassumo, anche con il rischio di sbagliare,ma siate buoni.
Il 30 % del cibo che viene prodotto viene buttato via nella filiera produzione->distribuzione->consumo. Nei paesi occidentali il consumatore finale (dettagliante,mense,famiglie) ne butta via un terzo. In Africa e nel sud-est asiatico non si permettono questo lusso.
Che importanza ha se si butta la brioche al bar o se si butta la scatola di tonno all’uscita dal supermercato solo perché ammaccata oppure, e mi fermo, se si butta in cucina ciò che resta nel piatto ? In tutte queste fasi noi siamo “il consumatore” e sprechiamo il 30 % di quanto potrebbe essere utilizzato per nutrirci!
Un altro documento lo produce la Commissione Eu-Eurostat. Intorno al 40 % viene sprecato a casa: in Europa 180 kg annui pro-capite. In Italia 149 kg . Se il 40 % lo sprechiamo a casa vuol dire che noi buttiamo via 60 kg di alimenti consumabili.
Ribadisco il concetto , la campagna in Italia è partita con l’input che il 30% della spesa domestica alimentasre finiva nella spazzatura e questo ha creato stupore e quindi si sono attivate mille strade per ridurre lo spreco. Ma il dato di partenza era gonfiato e fasullo e frutto di una ricerca improbabile che nessuno ha mai esaminato! Basterebbe chiedere a Segrè la ricerca. Lui stesso da noi intervistato non ha saputo rispondere.
nel commento precedente mi sono spiegato male.parlare di spreco familiare in modo scorretto per non parlare di spreco commerciale