Ormai è un dato di fatto: le microplastiche sono ovunque, dalle montagne svizzere, alle profondità abissali. Ma microscopici frammenti di plastica si trovano anche nell’acqua che beviamo e nel cibo che mangiamo. Non fanno eccezione gli scampi (Nephrops norvegicus) e i gamberi viola (Aristeus antennatus), due crostacei particolarmente apprezzati in cucina che vivono nelle profondità dei nostri mari. Lo hanno confermato i ricercatori dei Dipartimenti di scienze della vita e dell’ambiente dell’Università di Cagliari e dell’Università Politecnica delle Marche (*), che hanno investigato la possibilità di usare proprio questi due crostacei come ‘sentinelle’ della presenza di microplastiche sui fondali più profondi del Mediterraneo.
Nel corso dello studio, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Pollution, il ricercatore Alessandro Cau e i suoi colleghi hanno analizzato oltre duemila particelle e confermato la presenza di un totale di 483 microplastiche negli stomaci di crostacei pescati in 14 siti al largo delle coste della Sardegna. In particolare l’83% degli 89 scampi analizzati conteneva una media di 5.5 microplastiche, con picchi di addirittura 42 particelle in un singolo individuo, per un totale di 413. Frammenti di plastica sono stati trovati anche nel 66,7% dei 63 gamberi viola pescati, che presentavano in media 1,6 particelle ciascuno, con un massimo di tre per gambero e un totale di 70 microplastiche isolate.
Oltre ai numeri, tra le due specie studiate sono diversi anche i tipi di particelle recuperati e i polimeri da cui sono costituite. Negli scampi, il 72% delle microplastiche rinvenute sono micropscopici frammenti di pellicole plastiche, mentre la maggior parte delle particelle, il 60%, è costituito da polietilene: molto probabilmente, quindi, si tratta dei resti dei vecchi sacchetti di plastica affondati fino ai fondali e di cui è stata documentata la presenza fino a 11 mila metri di profondità negli abissi della Fossa delle Marianne.
Nei gamberi viola, invece, il grosso delle microplastiche isolate sono frammenti irregolari (53%) e filamenti (44%), costituiti principalmente di poliestere (39%) e, ancora una volta, polietilene (24%). Le dimensioni delle particelle rinvenute variano da meno di uno a oltre cinque millimetri (per frammenti tra i 5 e 9,5 mm si parla di meso-plastiche).
La ragione di queste differenze probabilmente risiede nel diverso modo in cui le due specie si procurano il cibo: gli scampi sono crostacei ‘spazzini’ che si spostano poco dalle loro tane, con abitudini alimentari poco selettive, mentre i gamberi viola generalmente predano un numero più ristretto di specie di invertebrati che vivono sul fondale marino e nei sedimenti, spostandosi anche a decine di metri al di sopra del fondo alla ricerca di cibo.
Si stima che nei mari e negli oceani attualmente siano disperse circa 250 mila tonnellate di plastica, molta della quale affonda nelle profondità. Questo studio, quindi, è un’ulteriore conferma che i fondali marini sono un vero e proprio deposito in cui i polimeri plastici persistono grazie alle particolari condizioni ambientali (assenza di luce solare, ridotta presenza di ossigeno e basse temperature) e lentamente si disgregano in microplastiche. Queste particelle, poi, sono ingerite dai pesci e dai crostacei che vivono nelle profondità marine, perché scambiate per microplancton e sedimenti, a cui somigliano per dimensioni.
È attraverso processi come questo che la plastica che immettiamo nell’ambiente finisce per arrivare nei nostri piatti risalendo la catena alimentare. Si stima, infatti, che insieme al cibo ogni anno ‘mangiamo’ almeno 50 mila microplastiche, ma probabilmente sono molte di più. E le conseguenze per la nostra salute sono ancora sconosciute.
(*) Consorzio interuniversitario per le scienze del mare, CoNISMa
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.