Ogni anno mangiamo in media 50 mila microparticelle di plastica, ma probabilmente ne assumiamo molte di più. Se poi beviamo tutti i giorni acqua minerale i numeri schizzano alle stelle. La prima stima sulla quantità di microplastiche – particelle di dimensioni inferiori ai cinque millimetri – che ogni persona ingerisce con la dieta è stata fatta da un gruppo di ricercatori canadesi dell’Università di Victoria. Il lavoro pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology ha calcolato quante particelle finiscono nei piatti di un consumatore americano medio.
Per calcolare quanta plastica mangiamo insieme al cibo, gli autori dello studio hanno usato i dati di 26 ricerche sul contenuto di microplastiche in diversi alimenti e bevande. Il risultato è che ogni adulto assume circa 52 mila particelle in un anno (46 mila per le donne). Numeri un po’ più bassi per i bambini, che ingeriscono annualmente tra le 41 mila (maschi) e le 38 mila (femmine) particelle.
Cifre da capogiro, che però rappresentano solo una piccola parte delle quantità assunte ogni anno, perché i dati a disposizione riguardano solo il 15% delle calorie introdotte. Stimare l’apporto del restante 85% della dieta non è possibile, ma gli autori ipotizzano che il numero totale potrebbe essere nell’ordine delle diverse centinaia di migliaia di particelle. Gli studi condotti finora, hanno conteggiato solo le microplastiche presenti in alimenti come pesce, frutti di mare, miele, zucchero, sale, birra e acqua.
Ed è proprio l’acqua a fare una grande differenza nell’apporto di particelle di plastica, dato che la minerale ne contiene fino a 22 volte di più rispetto a quella del rubinetto. Secondo lo studio, chi usa acqua in bottiglia può ingerire fino a 130 mila microplastiche in più! Un numero enorme se comparato con le 4 mila annue presenti nell’acqua del rubinetto. Questa cifra sull’acqua minerale dovrebbe essere molto più alta in Italia, considerando che siamo i primi consumatori di acqua in bottiglia al mondo di minerale al mondo.
Gli effetti delle microplastiche sulla salute umana sono ancora poco conosciuti e per questo motivo, secondo gli autori dello studio, si dovrebbero prendere opportune precauzioni. La proposta è di ridurre la produzione e l’uso di plastica nella filiera alimentare in modo tale da mettere un freno alla contaminazione. Un modo semplice per diminuire l’esposizione e quella di rinunciare all’acqua in bottiglia. Una scelta che fa bene anche all’ambiente, visto che solo in Italia ogni anno si consumano 14,8 miliardi di litri d’acqua.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Lo studio non specifica i tipi di contenitori interessati e le tecnologie di produzione e di imbottigliamento/ condizionamento. Si fa riferimento genericamente a “plastica” senza citarne il tipo per classe di alimenti. Ritengo che si debba essere molto più precisi prima di generalizzare e che debbano essere fatti studi più accurati perché potrebbero essere diffuse notizie e paure più o meno giustificate.
Giusto il commento di prima. Occorre essere più precisi su cosa sono chimicamente, dove vanno a finire nel nostro corpo e che effetti possono avere. Occorre più ricerca sull’argomento.
Ma scusate la notizia la date così come se niente fosse? E’ gravissimo, bisognerebbe vietare subito l’acqua nella plastica, è anche consigliata per le preparazioni dei pasti dei neonati! Le associazioni dei consumatori non dicono nulla a riguardo?
Ciò che non si evince con precisione dall’articolo è se l’acqua “minerale” in sé è in rapporto di 22:1 rispetto a quella del “rubinetto”, oppure se è l’acqua in bottiglia (di plastica?) ad avere questo livello così elevato. In quest’ultimo caso sarebbe interessante fare un paragone anche con le acque minerali in bottiglie di vetro.
Concordo con una maggiore informazione chimica e fisiologica per gli effetti sulla nostra salute.
Diversamente è terrorismo mediatico sulla agroalimentare di cui sinceramente non ne sento il bisogno