Dal 2015 il consorzio trentino Melinda custodisce parte delle sue mele dentro le Dolomiti, in celle ipogee che si trovano 300 metri sotto la superficie del suolo e che sono state realizzate all’interno di 15 chilometri di gallerie lasciate dall’attività estrattiva della roccia dolomia nella miniera di Rio Maggiore (Val di Non). Nelle 34 celle – ognuna delle quali lunga 25 m, alta 11 m e larga 12 m –, sono ospitate 30mila tonnellate di raccolto, numero che entro la fine del 2023 dovrebbe arrivare a 40mila tonnellate. Il sistema adottato da Melinda rappresenta il primo e unico impianto per la frigo-conservazione di frutta in ambiente ipogeo e in atmosfera controllata.
Le mele nelle grotte
Le condizioni di partenza dell’ambiente – la bassa temperatura e l’impermeabilità della roccia – consentono di consumare circa il 30% in meno di energia rispetto a quella richiesta dalla tradizionale conservazione nei magazzini in superficie. Per mantenere più a lungo le mele è, infatti, necessario stabilizzare la temperatura a 1 C°, situazione più facilmente raggiungibile partendo dalla temperatura naturale della miniera che per tutto l’anno si aggira intorno ai 10-11 C°. La particolare condizione climatica ha fatto sì che le celle di dolomia ospitino anche bottiglie di spumante Altemasi Trentodoc di Cavit e migliaia di forme di Trentingrana.
Tutela ambientale e del paesaggio
Sul sito di Melinda si presentano i vantaggi delle celle sotterranee, che non si esauriscono con i tagli dei costi per la conservazione, con la riduzione del consumo di energia e con la diminuzione dell’impatto per l’ambiente e il clima, ma riguardano anche la tutela del paesaggio e del territorio agricolo, evitando l’edificazione di nuovi capannoni in superficie. Sebbene la conservazione del territorio sia di estrema importanza, tale obiettivo sembra peccare di strategia comunicativa dato che quello della Val di Non, percepito da molti come contesto naturale, è un paesaggio antropico, reso artificiale proprio dalla coltivazione intensiva di mele.
Il raccolto del Trentino Alto Adige rappresenta, infatti, il 70% della produzione nazionale di mele che nel 2022 è stato pari a 2 milioni di tonnellate (vedi rapporto): spiccare in questa classifica si traduce in valli basate sulla monocoltura. La trasformazione dei luoghi prodotta dalla frutticoltura intensiva significa, nel caso delle mele, un panorama fatto di filari di alberi sorretti da pali di cemento, teli antigrandine, usati per proteggere le piante in caso di eventi di non estrema gravità, e acquedotti, costruiti per far fronte al fabbisogno idrico del frutteto non soddisfatto dalle precipitazioni. Quello che un tempo era un paesaggio colturale variegato è dunque oggi un ambiente, seppur molto produttivo e ordinato, monotono e povero di forme di vita. Tale scenario si spiega facilmente se si pensa che degli oltre 9.500 ettari del territorio provinciale di Trento coltivati oggi a meleto, 6.500 circa sono in Val di Non.
Un po’ di storia
Le mele non sono però un frutto da sempre presente in questa terra. Nella prima metà dell’800 gli alberi delle mele erano pressoché assenti in Val di Non – come nel resto delle valli Trentine – dove, invece, erano prevalenti le coltivazioni di gelso e vite. Quando, nella seconda metà del secolo, delle malattie cominciarono a colpire le colture, alcuni contadini iniziarono a cambiare destinazione ai campi optando per le mele, scelta che si rivelò fortunata poiché il clima della valle (come quello della vicina Val di Sole) si dimostrò particolarmente adatto a quella coltivazione.
Per il solo distretto di Cles (capoluogo della Val di Non) la produzione di frutta nel 1882 è di 1.729 quintali, quantità che a distanza di tre anni risulta raddoppiata: nel 1885 la produzione è pari a 5.000 quintali di cui 3.000 erano di mele. Che la mela sia diventata a tutti gli effetti il simbolo – e il guadagno – di questi luoghi lo dimostra anche il fatto che a tre varietà – Golden Delicious, Renetta Canada e Red Delicious – è stato riconosciuto il marchio Dop, la denominazione di origine protetta che attesta che le caratteristiche qualitative del prodotto dipendano essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui è nato.
Le cooperative
Quella delle celle ipogee è dunque una soluzione che s’inserisce in un contesto complesso fortemente segnato dalla presenza umana. Dal “Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta ‘Mela Val di Non’” si legge che i produttori di “mela Val di Non” sono oltre 5.000 organizzati prevalentemente nelle strutture cooperative di conservazione, lavorazione e vendita, sistema che costituisce per le valli di produzione il sostanziale fondamento economico. Per il modo in cui si è sviluppata l’agricoltura, in diverse zone del Trentino l’ambiente naturale e umano rappresentano oramai un unicum che non si riesce a scindere anche a fronte dei rischi delle monocolture.
Il coinvolgimento totalizzante tra l’aspetto culturale, lavorativo ed economico ha fatto sì che la popolazione abbia instaurato un forte legame non solo con il territorio, ma anche – o soprattutto – con un prodotto che deve rispettare standard dettati dalla grande produzione. In questo contesto, l’equilibrio tra ambiente e agricoltura mostra la propria fragilità e impone di ricordare che non sarà solo un luogo di conservazione a stabilizzare un rapporto reso squilibrato da anni di coltivazione intensiva.
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Tutto bello ma, sarebbe da menzionare il fatto che, la suddetta mela è oggetto di pesticidi di vario genere, come recentemente emerso dalla ricerca di un istituto indipendente tedesco (se non ricordo male, mi sembra di Monaco, dovrei cercare esattamente…), osteggiato con forza da tutte le associazioni dei produttori trentini (e mi pare anche Süd Tirol, o il contrario).
Non proprio una bella notizia (soprattutto a chi come me, una mela al giorno…)
Credo che l’articolo sia stato pubblicato proprio da voi de Il fatto.
Gentilissimo, l’articolo cui si riferisce credo sia questo. https://ilfattoalimentare.it/le-mele-un-paradiso-chimica.html precisiamo però che, come scritto anche nell’articolo, eventuali residui di pesticidi, anche dovessero esserci, sono sempre in quantità inferiore ai limiti di legge.
Bellissimo articolo, io vivo in val di Non e concordo al 100%
D’accordo che i pesticidi siano entro i limiti di legge, ma quanti trattamenti vengono fatti? E quanto ne soffre il resto della biodiversità circostante, ammesso che ancora ce ne sia?