Il fatturato complessivo dei prodotti con la marca del supermercato – “marca del distributore” o MDD, per gli addetti ai lavori – nel 2020 ha raggiunto gli 11,8 miliardi di euro, con una crescita del 9,6% rispetto all’anno precedente. Parliamo di “largo consumo confezionato” cioè di articoli confezionati che troviamo nella grande distribuzione (supermercati, ipermercati e discount). Si tratta del 20% delle vendite: un acquisto su cinque, riguarda prodotti di questo tipo. Valori elevati per l’Italia, ma bassi se pensiamo che questa quota supera il 30% in tutti i Paesi europei, mentre Spagna, Svizzera e Gran Bretagna si avvicinano al 50% a volume.
La crescita, che comunque c’è stata, durante lo scorso anno, non è stata trainata da un aumento dei prezzi, ma dall’incremento dei volumi venduti, e il settore merceologico più attivo è stato quello alimentare. Questi dati emergono dal 17esimo Rapporto Marca by BolognaFiere, curato da Iri, presentato il 25 marzo durante la “digital session” della fiera Marca 2021. Durante questa manifestazione, che si svolge ogni anno, in gennaio, a Bologna, si incontrano i rappresentanti delle catene di supermercati e le aziende che propongono nuovi prodotti. Qui si gettano le basi di molti di quei contratti fra produttori e distributori che permettono poi di trovare sugli scaffali pasta, scatolame, surgelati, carne, uova e biscotti con la marca del supermercato, ma anche detersivi, dentifrici e cosmetici.
A causa delle misure di contenimento anti-Covid-19, quest’anno la fiera è rimandata a giugno, ma dal 15 al 25 marzo si è svolta una “digital session” online a cui hanno partecipato 325 aziende produttrici (per l’80% italiane) e i rappresentanti di 275 catene, di cui 175 straniere. Gli stranieri sono importanti perché il made in Italy è sempre molto apprezzato e l’Italia ha un ruolo di primo piano nella fornitura dei prodotti con la marca del distributore per le insegne internazionali. La diffusione di questi marchi nel nostro Paese, inizia negli anni Ottanta, con lo scopo di garantire ai consumatori articoli di buona qualità a prezzi convenienti, ma la categoria comincia ad acquistare un certo peso negli anni Novanta. Da allora la crescita è stata continua. Quello del prezzo è stato da subito, e rimane tuttora, l’aspetto più importante per fidelizzare i clienti, negli anni però questo mondo è cambiato enormemente. L’assortimento si è ampliato sempre più ed è arrivato a comprendere vere e proprie linee diversificate, come quelle “premium” con prodotti realizzati con ingredienti particolarmente pregiati, le linee bio e quelle salutistiche, con prodotti light o integrali (ne abbiamo parlato qui).
Il trend più attuale è quello della sostenibilità, e questo emerge anche dal Rapporto Marca, che considera tre aspetti: sostenibilità per la comunità, (prodotti tipici del territorio, denominazione geografica), per la persona (prodotti che favoriscono un’alimentazione sana e che rispettano la cura dell’individuo) e per l’ambiente (metodi di produzione certificati, produzione, prodotti e packaging sostenibili). Le vendite di alimenti con attributi che rientrano in tutte queste categorie sono aumentate, in particolare quelle di alimenti Dop, Igp o prodotti con materia prima 100% italiana (emerge anche dall’Osservatorio Immagino).
Bisogna anche notare che, nonostante l’attenzione verso la sostenibilità interessi tutti i settori merceologici, i prodotti con la marca delle catene mediamente crescono di più degli analoghi “di marca”. Le catene in quest’ultimo anno, d’altra parte, hanno incrementato notevolmente l’offerta di prodotti “sostenibili”, puntando l’attenzione sulla riduzione della plastica, sul packaging riciclabile, sull’origine della materia prima, sul tipo di produzione agricola.
L’attenzione dei consumatori, rende quello della sostenibilità un tema molto interessante per le grandi catene, anche se per queste, come per i prodotti “di marca” non manca il rischio di greenwashing. La riduzione della plastica negli imballaggi, per esempio, è sempre positiva, perché permette di ridurre l’utilizzo del petrolio. A volte però non è chiaro dove vadano gettati certi packaging innovativi, e questo è un problema, perché quando la raccolta differenziata è “sporca”, resa impura da materiali eterogenei, interi carichi devono essere eliminati. È estremamente complesso, per chi fa la spesa, valutare i diversi aspetti che definiscono la sostenibilità di un prodotto. Definizione che risulta complessa anche per gli esperti del settore: esistono diversi riferimenti e protocolli, più o meno condivisi, ma non si può parlare di una definizione univoca.
Ben vengano quindi tutti i tentativi di offrire prodotti sempre più sostenibili, in particolare quando sono improntati alla massima trasparenza: non basta una dichiarazione in etichetta, ma è necessaria una spiegazione chiara per chi acquista. Ora però è anche necessario un intervento normativo che permetta ai consumatori di distinguere più chiaramente dove si trova la sostenibilità.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.