Un lettore ci scrive per segnalare che su alcuni prodotti a marchio Lidl non compare l’indicazione dello stabilimento di produzione, chiedendoci se è tutto regolare. Di seguito la lettera giunta in redazione e la risposta della catena di discount
La lettera
Buonasera, di recente sto acquistando sempre più prodotti nei supermercati Lidl, ma leggendo le etichette su alcuni, soprattutto quelli prodotti fuori Italia, non è presente la nazione di produzione e lo stabilimento. È legale?
Grazie, Michele
La risposta di Lidl
Gentile Cliente, abbiamo letto con attenzione la sua richiesta e la ringraziamo per l’interesse verso la nostra azienda e i nostri prodotti. Con la presente vogliamo informarla che, in base alla vigente normativa l’obbligo della sede dello stabilimento trova applicazione unicamente in Italia e non negli altri Paesi dell’Unione Europea. Ecco perché le referenze prodotte in Italia riportano l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione in etichetta a differenza delle referenze prodotte all’estero.
Con riguardo invece all’indicazione di origine o provenienza dei prodotti alimentari la regolamentazione europea, ad oggi, non obbliga all’inserimento di tali indicazioni in etichetta ma unicamente nel caso in cui le rappresentazioni in essa riportate suggeriscano un’origine diversa rispetto a quella effettiva. L’indicazione dell’origine è altresì prevista per determinate categorie di prodotti alimentari per le quali esiste una regolamentazione specifica. Con riferimento ai prodotti da lei indicati e riportati in foto, precisiamo che sono realizzati all’estero e pertanto le informazioni presenti sulle etichette risultano complete e conformi a quanto previsto dalla regolamentazione nazionale ed europea.
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock, inviata dal lettore
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Buongiorno,
ma se il prodotto viene commercializzato in Italia non dovrebbe seguire la legislazione del paese in cui viene commercializzato?
Per altro esiste una regolamento di esecuzione (775/2018) in cui si precisa che se in etichetta manca l’indicazione del produttore e questo può non dare informazione completa al consumatore deve essere inserito.
Per esempio io ho acquistato una crema spalmabile al cacao con chicchi di caffe dove, appunto, non è indicato lo stabilimento di produzione. Io ho pensato subito che fosse fosse prodotta in Italia e ci fosse stato un errore.
Cosa ne pensate?
Il decreto che ha reintrodotto l’indicazione dello stabilimento di produzione sulle etichette (Decreto Legislativo 145/2017), non si applica agli alimenti preimballati prodotti o commercializzati in uno stato estero, come specificato all’articolo 7 (vedi: https://ilfattoalimentare.it/stabilimento-di-produzione-obbligatoria.html)
Il Regolamento di esecuzione UE 775/2018, invece, riguarda l’indicazione di origine dell’ingrediente primario, non la sede dello stabilimento (vedi: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018R0775)
A queste corrette informazioni, vorrei aggiungere che attualmente è obbligatorio indicare lo stabilimento di origine, sotto forma di Approval Number (Bollo CE) sulle etichette du tutti gli alimenti di origine animale ( carne, prodotti ittici, lattiero-caseari ecc) che ricadono nella applicazione del Reg. CE 853/2004 ( Igiene dei prodotti di origine animale). Il Decreto Legislativo 145/2017 non è invece applicabile nemmeno in Italia
Buongiorno,
no è la normativa europea Reg. 1169/2011 che specifica le informazioni obbligatorie che devono accompagnare gli alimenti, e prevede che in etichetta siano inseriti i dati di un responsabile legale, che può essere anche il distributore (catena GDO, importatore, ecc.). I paesi membri dell’UE hanno facoltà di emanare norme più restrittive, ma valevoli solo per i propri operatori. Inoltre andrebbe adottata una procedura di notifica all’UE che spesso le autorità italiane non seguono, per cui ci sono molti dubbi che varie norme italiane siano valide legalmente se un operatore alimentare dovesse ricorrere in tribunale contro una sanzione. I politici italiani si riempiono la bocca da anni con la difesa dell’italianità, sovranità alimentare e via dicendo, ma continuano a emanare disposizioni che hanno l’unico effetto di aumentare i costi e la burocrazia a carico degli operatori italiani, lasciando invariata la possibilità degli operatori esteri di entrare nel mercato italiano con le diciture previste dalla normativa europea. Dato che l’etichettatura degli alimenti è materia unionale, se ne deduce che i politici italiani che si vantano di tali provvedimenti sono parecchio ignoranti in materia o parecchio in malafede. L’Italia dispone di decine di parlamentari europei a Bruxelles, che solitamente brillano soprattutto per le assenze, e di un Commissario europeo, quindi se si ritiene che la legislazione alimentare vada cambiata, ovviamente è a Bruxelles che si deve intervenire. Ma si fa prima ad emanare un decreto che impone nuovi obblighi informativi, magari senza finanziare gli organi di controllo che dovrebbero controllarne l’applicazione, e a vantarsene a fini elettorali immediati, che a esercitare un’azione propositiva efficace in sede unionale.
Strana risposta. Io sapevo che ogni prodotto, alimentare e no, venduto sul territorio italiano dovesse essere conforme alle normative italiane; sbaglio io o è cambiata la legislazione?
Buongiorno,
veda le risposte precedenti di Giulia Crepaldi e del sottoscritto. Nelle materie in cui gli Stati membri hanno conferito la competenza alla UE, la legislazione UE prevale, e a livello nazionale non si possono introdurre disposizioni più restrittive ai prodotti conformi alla normativa UE che provengono da altri paesi. Come tecnico di settore, le posso dire anche che la normativa UE generalmente è molto più chiara e comprensibile di quella nazionale, e non si avvertirebbe proprio il bisogno delle centinaia di decreti nazionali che vorrebbero dettagliare tutto, spesso in contraddizione tra loro. Oltre tutto, la politica italiana ha la pessima abitudine di inserire norme di modifica in provvedimenti che nulla hanno a che fare con l’argomento specifico, spesso per rispondere a qualche urgenza di scadenze non rispettate o simili. Così va a finire che in un “decreto mille proroghe” si infila un articolo sull’etichettatura degli alimenti, tra scadenze fiscali, bonus edilizi e altre amenità. In questo modo gli addetti ai lavori non sanno dove andare a reperire le informazioni necessarie per la propria attività, sparse tra mille provvedimenti e modifiche del tipo “all’articolo X, comma Y, terzo trattino, è aggiunta la seguente parola…”
Buongiorno, in questa seconda replica superata l’eccellenza. In Italia tutto si legifera, in maniera frettolosa, confusa, frammentaria, equivoca, ambigua e quindi ‘interpretabile’ secondo la ‘convenienza’ dei destinatari, e nulla è controllato. Insomma nel paese dove tutto è vietato tutto si può fare.
Abbiamo sempre la facoltà di decidere: di un prodotto voglio sapere tutto il possibile, anche l’ubicazione dello stabilimento. Poi vado a guardare su Google Maps se esiste e quanto è grande, approfondisco con le informazioni di D&B sullo stato di “salute” economica e sul gruppo a cui appartiene. Si tratta di una curiosità personale ma è anche una voglia di sapere chi fa cosa. Se uno si nasconde ci deve essere un motivo, non può essere solo una questione di sicurezza industriale per tenere all’oscuro la concorrenza.
Quindi il prodotto senza informazioni per me rimane sullo scaffale.
Faccio proprio come te: se le informazioni non mi soddisfano non compro, neanche gratis.
infatti: il potere del consumatore è lasciare i prodotti sullo scaffale e non lasciarsi convincere dal basso prezzo o dalla pubblicità, Visto che regole sono sempre più fumose per salvaguardare gli interessi dei produttori a scapito, spesso, della salute dei cittadini.
non mi torna il discorso: ma se vende in Italia non dovrebbe conformarsi alla legislazione italiana? L’unica nostra salvezza è comprare italiano, almeno finchè reggono le regole italiane (mi sa per poco visto le lobby che imperano)