Dal prossimo 22 ottobre torna a essere obbligatoria l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione sull’etichetta dei prodotti alimentari. Si tratta di una vittoria per i consumatori ma anche per le numerose imprese industriali, artigianali e distributive che hanno continuato a riportare l’indicazione sulla confezione nonostante l’annullamento dell’obbligo nel dicembre nel 2014. Il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade (Gift) si erano attivate per promuovere il ripristino dell’obbligo – già vigente tra il 1992 e il 2014 – lanciando una petizione su Change.org.
Torna l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione
Con la reintroduzione di quest’obbligo, i consumatori potranno identificare l’origine degli alimenti confezionati con il marchio delle catene di supermercati e dei grandi gruppi industriali. Dal punto di vista sanitario, la disponibilità immediata dell’informazione della sede dello stabilimento nei casi di allerta, consente alle autorità di ricostruire la filiera e accorciare notevolmente i tempi di indagine. Infine i cittadini potranno fare scelte consapevoli che incidono in misura significativa sull’economia e sull’occupazione nelle filiere agroalimentari, scegliendo prodotti confezionati nel proprio Paese. Pur considerando gli aspetti positivi del provvedimento va sottolineato che l’indicazione dello stabilimento non ha alcun collegamento con l’origine e la qualità della materia prima impiegata in azienda.
Il decreto verrà applicato a decorrere dal 180° giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con la facoltà di smaltire, fino a esaurimento scorte, i prodotti immessi sul mercato o comunque confezionati entro tale data con etichette non conformi (articolo 8).
Il decreto
Il nuovo decreto legislativo sull’obbligo dello stabilimento di produzione datato 15 settembre 2017 n. 145, è stato pubblicato sabato 7 ottobre 2017 (link) e riporta regole ben precise(1).
Il decreto “reca disposizioni relative alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”, in conformità e a integrazione di quanto prescritto dal reg. UE n. 1169/2011. Con l’obiettivo di garantire la “corretta e completa informazione al consumatore e della rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo, nonché per la tutela della salute” (articolo 1).
“I prodotti alimentari preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività devono riportare” in etichetta “l’indicazione della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento”. Tale notizia può venire fornita mediante i documenti commerciali che precedono o accompagnano la consegna delle merci, nei casi di “prodotti alimentari preimballati destinati alle collettività” ovvero “commercializzati in una fase precedente alla vendita al consumatore finale” (art. 3).
Sono esclusi i prodotti alimentari preimballati “legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’UE o in Turchia o fabbricati in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE)” (articolo 7).
Lo stabilimento di produzione
Sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento. La sede “è identificata dalla località e dall’indirizzo dello stabilimento”. L’indirizzo può venire omesso qualora l’indicazione della località risulti di per sé idonea alla “agevole e immediata identificazione dello stabilimento”. Non è viceversa necessaria nei seguenti casi:
a) coincidenza della sede dello stabilimento con quella dell’operatore responsabile per l’etichettatura dell’alimento, (2)
b) presenza in etichetta di marchio di identificazione o bollo sanitario, rispettivamente obbligatori per le carni e i prodotti di origine animale, (3)
c) citazione della sede sul marchio con il quale il prodotto viene commercializzato.
Qualora l’operatore responsabile disponga di più stabilimenti, “è consentito indicare tutti gli stabilimenti purché quello effettivo sia evidenziato mediante punzonatura o altro segno”.
La leggibilità dell’indicazione deve in ogni caso seguire gli stessi criteri (4) stabiliti per le informazioni obbligatorie dal regolamento UE 1169/11 (articolo 4).
L’autorità competente designata all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie è l’ICQRF (Istituto Centrale per la tutela della Qualità e la Repressione delle Frodi), presso il Ministero delle Politiche Agricole(5). “Restano ferme le competenze spettanti, ai sensi della normativa vigente, agli organi preposti all’accertamento delle violazioni” (articolo 6). Salvo che il fatto costituisca reato (6), l’omessa Indicazione della sede dello stabilimento (7) comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 15.000 euro. Il mancato rispetto dei criteri di leggibilità prescritti dal regolamento UE 1169/11 per le informazioni obbligatorie è invece soggetto a sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento da 1.000 euro a 8.000 euro (art. 5).
Il passo successivo che auspichiamo è ottenere l’estensione dell’obbligo di citare la sede dello stabilimento alle etichette di tutti i prodotti alimentari realizzati in UE, per rafforzare gli obblighi di rintracciabilità e ottimizzare la gestione delle crisi di sicurezza. (8) Oltreché per favorire le scelte informate d’acquisto da parte dei consumatori europei, e valorizzare le rispettive filiere. In questa direzione, l’Italia dovrà farsi avanti sui tavoli di Bruxelles e di Strasburgo.
Note
(1) V. d.lgs. 145/17, in Allegato d.lgs. 145/17
(2) Cfr. reg. UE n. 1169/2011, articoli 8.1 e 9.1.h. Tale ultima previsione, si ricorda, prescrive di indicare in etichetta il nome o la ragione sociale (e non soltanto il marchio, si noti bene) dell’operatore responsabile per l’informazione al consumatore
(3) V. reg. CE 853, 854/2004 (regolamenti c.d. Igiene 2 e Igiene 3)
(4) Vedasi in particolare l’altezza minima dei caratteri di cui al reg. UE 1169/11, articolo 13 e Allegato IV
(5) Alcune perplessità in merito alla sottrazione di competenze sui controlli in materia di etichettatura alle Autorità sanitarie sono già stati espressi (vedi articolo)
(6) Con particolare riguardo al delitto di frode in commercio di cui all’articolo 515 del codice penale, ndr
(7) Al pari del difetto di precisazione del singolo impianto, in caso di impresa che disponga di più stabilimenti
(8) Tale misura dovrebbe venire introdotta attraverso un emendamento al c.d. General Food Law, reg. CE 178/02, articolo 18
Dario Dongo (Gift) e Roberto La Pira
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Io sono personalmente contrario, questo decreto non è solido e lascia spazio a enormi ambiguità e spazio a camuffamenti da parte di chi ha interesse a farlo. Farò un esempio per spiegarmi:
Olive varietà leccino, coltivate e lavorate in Toscana (potevo scrivere qualsiasi regione italiana votata all’olivicoltura), messe in vaso da azienda di Imperia (località rinomata per la coltura dell’oliva). Risultato Marchio di azienda Imperia, stabilimento indicato di Imperia…origine dell’oliva e della lavorazione completamente diversa, tutte le informazioni conformi al decreto presenti sul vaso portano il consumatore a pensare che l’oliva sia ligure quando non è così.
Mi fermo con gli esempi ma credo di aver reso l’idea.
Non sono contrario all’intento del decreto, ma a come è stato scritto.
Concordo quella invece che relativa a stabilimento di produzione Vs Confezionamento e vero che daranno info sui casi di allerte, ma non danno info al consumatore sulle origini del prodotto (ferma restando la necessità di sapere l’origine delle materie prime)
Ritengo prioritaria l’origine della materia prima, su tutte le altre utili indicazioni aggiuntive, compreso lo stabilimento di trasformazione o confezionamento, che interessa maggiormente la tracciabilità e la filiera produttiva per tutti i controlli.
Naturalmente è utile sapere se un prodotto italiano viene trasformato all’estero e poi reimportato per sole ragioni di economicità produttiva, ma sono casi isolati e poco probabili.
Mentre constatiamo spesso e purtroppo il caso opposto, di chi trasforma in Italia materia prima estera e poi commercializza il prodotto trasformato come falso made in Italy, senza una chiara ed evidente indicazione sulla provenienza d’origine.
Non è il caso evidente del caffè, del tè, ne quello del cioccolato che tutti sanno da dove vengono le materie prime ed i produttori indicano vantandone le migliori origini, ma di tanti altri alimenti solo trasformati, o addirittura solo confezionati in Italia con marchio italiano.
Inutile per tutti i derivati di origine animale per i quali è sufficiente la bollatura sanitaria, quindi sostanzialmente inutile a priori se non a scopo propagandistico.
E per gli alimenti prodotti e confezionati extra UE..rimane lo stesso obbligo? Mi pare non ci siano indicazioni in quel senso.
Grazie
Il decreto dice che sono esonerati gli stati UE, la Turchia e gli stati EFTA (Art. 7). Quindi in teoria l’extra UE ricade nell’ambito di applicazione. Vedremo.
Se capisco bene allora, per fare un esempio i Francesi possono mantenere le proprie etichette e non dover adempiere al decreto (in quanto esonerati), evitando cosi dei nuovi costi per l’investimento sulle nuove etichette, e possono vendere in Italia. Se fosse cosi si crea una barriera per i prodotti di aziende italiane vs quelle Europee. Credo che questo decreto dovrebbe essere esteso a chiunque voglia commercializzare prodotti alimentari in territorio italiano altrimenti è un decreto monco e penalizzante per le aziende italiane.
…infatti i rappresentanti che abbiamo votato per bruxelles “devono darsi da fare”!