Continua il dibattito sull’agricoltura biologica che da qualche giorno infiamma le pagine de Il Fatto Alimentare. Dopo la pubblicazione dell’articolo “All’agricoltura biologica solo le briciole dei finanziamenti europei e italiani”, firmato da Beniamino Bonardi, abbiamo ricevuto numerosi commenti che accusavano il bio di “inquinare tanto quanto il convenzionale”, di “non essere sostenibile” e che invece bisogna “affidarsi alla scienza” (qualsiasi cosa significhi…). Abbiamo allora chiesto a Roberto Pinton, segretario di AssoBio, di rispondere ad alcune delle critiche mosse dai lettori, in un secondo articolo pubblicato poco dopo. Non è stato sufficiente a placare gli animi. Le polemiche che sono seguite riguardavano principalmente: i dati ISPRA sulle sostanze ritrovate nelle acque, la tossicità del piretro e del rame usati (anche) nell’agricoltura biologica, il passato e il futuro del Bio. Ancora una volta ci viene in aiuto Roberto Pinton che insieme a Daniele Fichera di FederBio, analizzerà nel dettaglio alcune delle specificità tecniche che caratterizzano e distinguono l’agricoltura biologica da quella convenzionale.
Per quanto riguarda l’affermazione che l’ISPRA ricerca solo certe molecole nell’acqua, va precisato che le indagini 2016 (ultimo dato disponibile) hanno riguardato398 sostanze, cercate su 17.275 campioni prelevati da 4.683 punti di campionamento (nelle acque superficiali si sono trovati pesticidi nel 67%dei 1.554 punti di monitoraggio; nelle acque sotterranee nel 33,5% dei 3.129 punti. Il rapporto precisa che gli effetti nocivi delle sostanze sipossono manifestare anche a concentrazioni molto basse e che il risultato complessivo indica un’ampiadiffusione della presenza e della contaminazione).
Dal monitoraggio sono escluse 42 sostanze classificate pericolose; solouna di questeè utilizzabile anche(e non “solo”) in agricoltura biologica; si tratta delle piretrine.
Non è quindi esatta l’affermazione che il monitoraggio coordinato dall’ISPRAnon ricerchi le molecole delle sostanze autorizzate in agricoltura biologica: tutt’al più ne trascura una soltanto, per cui non è affatto opportuno“lasciar perdere i dati ISPRA”, quasi fossero una spesa inutile.
Veniamo alle “pericolosissime” piretrine.
Sono sostanze ad azione insetticida ottenute dalla macinazione dei capolini di alcune composite del genere Chrysanthemum(prevalentemente Chrysanthemum cinerariaefoliumo Tanacetum cinerariifolium). Si tratta di un insetticida noto sin dall’antichità, chiamato nel tempo “Polvere persiana” (arrivava in Occidente portato dalle carovane lungo la Via della seta) e poi “Polvere dalmata”;da un secolo e mezzo è presente nelle case sotto forma di zampironi – le spirali repellenti per allontanare le zanzare – e, più di recente, nei diffusori elettricia piastrine o a carica liquida.
Le piretrine si caratterizzano per un effetto rapido nei confronti di alcuni insetti (afidi, cavolaia, tignole, eccetera), una bassa tossicità e una persistenza limitata: luce e temperatura elevata ne causano una degradazione veloce. Non hanno effetto sistemico e funzionano solo per contatto.
Il loro uso agricolo è autorizzato su agrumi, barbabietola da zucchero, cereali, foraggere leguminose, fragola, frutta a guscio, girasole, olivo, ortaggi, patata, pomacee, vite e poi su floreali, ornamentali, forestali e vivai, derrate immagazzinate e disinfestazione delle sementi.
Dato che non sono particolarmente selettive, in agricoltura biologica si usano come estrema ratio e soltanto per contenere un attacco dei fitofagi che non sia bilanciato da una densità adeguata di ausiliari (insetti utili), che si ha tutto l’interesse a salvaguardare.
Le piretrine possono esser nocive per la fauna acquatica: correttamente la scheda tecnica riporta quindi la raccomandazione di opportune misure alle quali l’operatore è tenuto ad attenersi, per evitare che il prodotto contamini acque di superficie o defluisca negli scarichi; qualora dovesse succedere, vanno avvisate le autorità competenti.
Vanno poi seguite le istruzioni ovvie e intuitive che il lettore riporta: il prodotto a base di piretrine va conservato fuori dalla portata dei bambini e lontano da alimenti o mangimi e da bevande, non si deve mangiare o bere durante l’applicazione. Si tratta di avvertenze normali, che si trovano anche sugli zampironi o nelle piastrine a uso domestico che sono in libera vendita oppure sui detersivi che si hanno sotto il lavello (e invece andrebbero conservati in un armadio alto, se ci sono bambini in casa).
La difesa delle colture in biologico deve rispettare l’art. 12 del Reg. 834/07: “la prevenzione dei danni provocati da parassiti, malattie e infestanti è ottenuta principalmente attraverso la protezione dei nemici naturali, la scelta delle specie e delle varietà, la rotazione* delle colture, le tecniche colturali …”
Nella produzione convenzionale (non biologica)nessuna norma stabilisce un obbligo di “prevenzione” per ridurre l’impiego di fitosanitari. Sempre lo stesso articolo indica che”in caso di determinazione di grave rischio per una coltura, l’uso di prodotti fitosanitari è ammesso solo se tali prodotti sono stati autorizzati per essere impiegati nella produzione biologica”.
Le piretrine cui fa riferimento il lettore sono autorizzate per l’impiego in agricoltura biologica, per esempio contro Aphis pomi(l’afide verde del melo, un insettino di 2 o 3 millimetri che colonizza germogli e la pagina inferiore delle foglie, che punge per nutrirsi, portando all’accartocciamento delle foglie, alla deformazione dei germogli, allo sviluppo di funghi che si nutrono dell’abbondante melata prodotta dall’afide).
Sono autorizzati contro l’afide verde del melo ben 170 prodotti fitosanitari (a base di 24 sostanze attive); di questi, 51 sono autorizzati anchein agricoltura biologica (ma a base di 6 sostanze attivesoltanto). La sostanza attiva più registrata contro l’afide verde del melo è la deltametrina(presente in ben 38 prodotti fitosanitari registrati), che in agricoltura biologica è vietata.
Nella tabella sono riportate le differenze tra piretro e deltametrina:
Deltametrina | Piretro |
PROPRIETÀ TOSSICOLOGICHE | PROPRIETÀ TOSSICOLOGICHE |
DL 50 orale acuta ratto da 135 a 5000 mg/Kg | DL 50 orale acuta su ratto da 584 a 900 mg/Kg |
DL 50 orale acuta cane > 300 mg/Kg | No |
DL 50 dermale acuta ratto > 2000 mg/Kg | DL 50 dermale acuta su ratto > 1500 mg/Kg |
DL 50 dermale acuta coniglio > 2000 mg/kg | DL 50 dermale acuta su coniglio > 5000 mg/Kg |
Irritazione dermale (coniglio): non irritante | |
Irritazione oculare (coniglio): leggermente irritante | No |
CL 50 (4 h) inalatoria acuta ratto 2.2 mg/l | No |
Tossicità per gli uccelli | Tossicità per gli uccelli |
DL 50 orale acutaAnas platyrhynchos > 4640 mg/kg | DL 50 su Anas platyrhincos > 10000 mg/Kg |
CL 50 (8 gg) Anas platyrhynchos > 8039 mg/Kg dieta | No |
CL 50 (8 gg) Coturnix coturnix > 5620 mg/Kg dieta | No |
Tossicità per i pesci e altri organismi acquatici |
Tossicità per i pesci e altri organismi acquatici |
CL 50 (96 h) Salmo gairdneri 0.91 µg/l | No |
CL 50 (96 h) Lepomis macrochirus 1.4 µg/l | No |
CL 50 (48 h) Daphnia 3.5 µg/l | No |
Tossicità per le api | Tossicità per le api |
DL 50 orale 79 ng/ape, contatto 51 ng/ape | No |
STABILITÀ | STABILITÀ |
Stabile all’aria e alla luce del sole. È più stabile in ambiente acido che alcalino. |
Instabili alla luce e rapidamente idrolizzati in ambiente alcalino con perdita dell’attività insetticida. |
LMR | LMR |
Mele 0,2 mg/kg | Frutta 1 mg/kg |
INTERVALLO DI SICUREZZA | INTERVALLO DI SICUREZZA |
Melo, pero 3/7/30 giorni a seconda del formulato commerciale |
Melo, pero 1 giorno |
Il confronto in termini di tossicità, sicurezza e impatto non è particolarmente complicato.
Il rame
I prodotti fitosanitari registrati (non le molecole, ma i formulati commerciali, in parole povere i prodotti delle diverse marche), come da elenco reperibile dal sito del Ministero della Salute a fine dicembre erano 3.527.
671 formulati (il 23.49%) erano ammessi anchenella produzione biologica; pure in questo caso si tratta di “marche”: per intenderci, 97 prodotti sono costituiti da ossicloruro di rame (in assoluto il sale di rame meno fitotossico) di marche diverse, 44 sono idrossido di rame, 28 poltiglia bordolese (cioè solfato di rame e calce), 33 prodotti sono costituiti da Bacillus Thuringiensis, e così via.
Anche se in questi giorni qualcuno sembra scoprire con inorridito candore che in agricoltura si usa il rame (magari cercando di far passare l’idea che si tratti del più tossico veleno sul Pianeta, inventato dai produttori biologici e da questi usato in gelosa esclusiva), i sali di rame si usano in tutta l’agricoltura e ciò sin dall’antica Roma, con l’idrossido di rame si divertivano gli alchimisti e la poltiglia bordolese si chiama così perché nel lontano 1880 tra i vigneti del Bordeaux se ne scoprì l’efficacia contro la peronospora (da allora, ovviamente, si diffuse nel mondo).
Sono 743 i prodotti fitosanitari registrati contro la peronospora su uva da vino; 239 tra loro ammessi in agricoltura biologica (ripetiamo, si tratta delle “marche”).
Di questi 743 prodotti, ben 343 (il 46%) prevedono il rame, da solo o in associazione ad altre sostanze attive (mancozeb, cimoxanil…). I sali di rame, quindi, sono molto usati anche nella produzione convenzionale, da soli (cui far seguire trattamenti con altre sostanze non ammesse in agricoltura biologica) o già premiscelati a queste sostanze.
Questi 743 prodotti commerciali sono basati su 86 sostanze attive registrate. Solo 5 di queste sostanze attive sono autorizzate in agricoltura biologica: tre sono a base di rame (rame, rame + zolfo, rame + olio minerale), le altre due sono olii essenziali di arancio dolce ottenuti da spremitura a freddo (funziona, devitalizza le zoospore riducendone il potere infettante). C’è anche un induttore di resistenza che è una frazione inerte derivante dal lievito di birra non OGM, che è una delle 10 sostanze attive su 465 riconosciuto dall’Ue come sostanza a basso rischioed è efficace su oidio, peronospora e botrite, i principali patogeni della vite, ma anche su cucurbitacee, fragole, pomodori, insalate.
In sostanza, a parte gli oli essenziali di arance e il lievito di birra, in agricoltura biologica si può usare soltanto sali di rame.
La differenza sull’uso del rame tra agricoltura biologica e convenzionale sta nel fatto che in biologico finora (e da anni) c’è stato il limite massimo di 6 kg per ettaro per anno (chi segue la scuola biodinamica, poi, non utilizza rame sulle colture orticole e, in caso di necessità, può usarne 3 kg per ettaro per anno in frutticoltura e viticoltura), mentre in agricoltura convenzionale un limite viene finalmente imposto solo dal gennaio 2019.
E fatta salva la concessione di deroghe: in agricoltura integrata le Regioni stabiliscono un tetto basso per i fitosanitari “pesanti”, ma poi tutte concedono deroghe “eccezionali” – che sono invece di routine- che permettono di superare legalmente il numero di trattamenti con anticrittogamici sistemici: staremo a vedere se lo stesso accadrà per il rame.
Tossicità
A seconda della formulazione commerciale, l’intervallo di sicurezza per i prodotti a base di rame autorizzati è dai 5 ai 20 giorni (e va tenuto presente che il rame non ha effetto sistemico e agisce solo per contatto: un normale risciacquo lo elimina completamente dalla buccia).
Per altri prodotti fitosanitari non ammessi in agricoltura biologica, ma solo in quella convenzionale, andiamo alle stelle: per il Propineb(uno storicofungicida ditiocarbammato, la cui autorizzazione è stata revocata, ma che si può usare per “scadenza scorte” fino a giugno 2019) l’intervallo di sicurezza è di 56 gg.
È di 42 gg per il fungicida ad ampio spettro Folpet, così come per il fungicida sistemico Benalaxyl, di 40 gg per la miscela sistemica Dimetomorf-Folpet, di 28 gg per il Fosetil Alluminio(unfungicida sistemico ad ampio spettro, introdotto 40 anni fa)e per Mancozeb (altro fungicida sistemico in uso da una quarantina d’anni che il Centro ricerche per la prevenzione del cancro della Fondazione Ramazzini di Bologna qualifica come cancerogeno multipotente, capace di aggredire vari organi e tessuti), tra 10 e 28 gg per il Cimoxanil, un fungicida citotropico che è in grado di penetrare nei tessuti in poche ore dal trattamento.
In merito ai LMR (livelli massimi di residui)i dati sono variabili a seconda della formulazione commerciale; per il rame il LMR è di 50 mg/kg, mentre per il Mancozeb (la sostanza più autorizzata dopo il rame, 112 prodotti in purezza o in miscela con altre sostanze attive) si scende drasticamente a 5 mg/kg; vanno segnalate anche le altre sostanze Cimoxanil e Benalaxyl (0.3 mg/kg), Dimetomorf(3 mg/kg), Folpet(20 mg/kg).
La pesante differenza dei LMR testimonia a sufficienza da sola il diverso livello di tossicità.
Confronto tra le avvertenze di sicurezza di un rameico e di un prodotto a base di Mancozeb
POLTIGLIA CAFFARO 20 DF NC NEW | MANCOZEB MANICA 75 WG | ||
H317 | Può provocare una reazione allergica cutanea. | ||
H319 | Provoca grave irritazione oculare. | H319 | Provoca grave irritazione oculare. |
H361d | Sospettato di nuocere al feto. | ||
H400 | Molto tossico per gli organismi acquatici. | ||
H410 | Molto tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. | H411 | Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. |
EUH401 | Per evitare rischi per la salute umana e per l’ambiente, seguire le istruzioni per l’uso. | EUH401 | Per evitare rischi per la salute umana e per l’ambiente, seguire le istruzioni per l’uso. |
Infine, dei 2856 formulati registrati soloper l’agricoltura convenzionale, 1443 appartengono alle prime tre classi di pericolosità (Tossico, Corrosivo, Pericoloso per l’ambiente) secondo la codifica europea dei simboli di pericolo per le sostanze chimiche, cioè il 50.53%.
Dei 671 formulati ammessi anche nella produzione biologica, ad appartenere alle prime tre classi sono 223 (33.23%). In relazione al commento che rileva l’improprietà del citare i nomi scientifici(“per spaventare e basta”), si tratta, invece, di una necessità quando si parla di molecole: come detto sopra, il fungicida Mancozeb è la sostanza attiva di 112 prodotti in purezza o in miscela: se avessi citato le 112 “marche” autorizzate con cui è commercializzato il prodotto (che da qualsiasi parte lo si pigli, sempre Mancozeb rimane), magari un altro lettore avrebbe potuto contestare che il mio scopo era allungare la lista “per spaventare e basta”…
Rassicuro anche il lettore che paventa una contrarietà dei produttori biologici al ricorso a varietà resistenti alle avversità ottenute da incroci: non c’è alcuna contrarietà a incroci che non siano OGM o CRISP, come dimostra l’ampia diffusione, per esempio, di meli resistenti sia estivi che autunnali che superano l’emergenza fitoiatrica della ticchiolatura, conrilevanti vantaggi tecnici, ecologici, salutistici ed anche economici, offrendo standard paragonabili a quelli delle varietà classiche per pezzatura, colorazione, sapore, consistenza e, in genere, produttività.
A chi serve questa polemica sterile?
Bella domanda. Fino a quando il progetto “Cambia la terra” promosso da FederBio non ha presentato i dati elaborati dall’Ufficio studi della Camera dei deputati (su un totale di fondi europei e italiani di circa 62,5 miliardi destinati all’agricoltura la parte che va al biologico – che pure “pesa” per il 15.5% dell’intera superficie agricola nazionale – è di 1,8 miliardi, solo il 2,9% delle risorse) non c’era stata una particolare belligeranza. Poi la Camera ha approvato a larga maggioranza il disegno di legge che qualifica l’agricoltura biologica come “attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale, in quanto settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e sulla salvaguardia della biodiversità, che concorre alla tutela della salute e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra (…) e fornisce in tale ambito appositi servizi eco-sistemici, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (…)”e indica con chiarezza “Lo Stato favorisce e promuove ogni iniziativa volta all’incremento delle superfici agricole condotte con il metodo biologico (…)”.
Poi in molte regioni e province gli agricoltori aderenti alle organizzazioni professionali hanno scelto come loro presidenti colleghi biologici, due terzi del territorio del Franciacorta sono già biologici o in conversione, così come 800 ettari sui 5.100 ettari a meleto in Val Venosta, il Consorzio Vino Chianti Classico ha nominato all’unanimità presidente il titolare di un’azienda biologica e così via.
Il tutto ha fatto drizzare qualche orecchio: se il biologico aumenta il suo peso anche in viticoltura e frutticoltura (i comparti agricoli che si vorrebbe più dipendenti dall’agrochimica), se gli agricoltori scelgono di mettere alla loro testa imprenditori biologici, qualcuno comincia a preoccuparsi.
E così uffici stampa hanno cominciato a frullare comunicati, volonterosi ex venditori di mezzi tecnici in pensione si son sentiti sollecitati a postare in ogni blog raggiungibile, qualche attempato ex barone universitario nostalgico del DDT si è rimesso in pista, una senatrice a vita e altra umanità assortita si son dati alle lettere aperte con lo stesso leit-motiv: gli agricoltori biologici avvelenano il Pianeta perché si ostinano a usare il rame (invece di qualche buon fungicida sistemico sospettato di nuocere al feto), perché non vogliono usare un erbicida che la struttura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità deputata alla valutazione dei rischi cancerogeni ritiene “probabilmente cancerogeno per la specie umana” o insetticidi qualificati come “tossico per insetti utili, animali domestici, pesci e bestiame”, quindi sono arretrati.
Come sarà tra vent’anni?
Non ho la sfera di cristallo, però la memoria mi funziona ancora bene.
Nel 1991 ho partecipato come rappresentante italiano alla conferenza dell’ONU sull’agricoltura biologica. Nel suo intervento il collega tedesco azzardò “Il nostro obiettivo è il 20%”: qualcuno fece un salto sulla sedia, qualcuno sghignazzò.
Son passati tre decenni, nei quali la superficie biologica dell’Austria è arrivata al 21.9% del totale, quella dell’Estonia al 18.9%, quella della Svezia al 18%, la nostra al 15.5%, quella della Lettonia al 14.3%, quella della Svizzera al 13.5%.
Il peso del biologico sul mercato alimentare danese è al 13.3%, su quello svedese è al 9.8%, su quello svizzero è al 9%, su quello tedesco è all’8.6%.
Non siamo ancora al 20%, ma la tendenza verso la crescita è netta e costante, tra consumatori e giovani agricoltori si diffonde sempre più la consapevolezza della necessità di produzioni agricole sostenibili, e chi vuole sghignazzare sghignazzi pure.
Mi funziona anche la memoria a breve: nell’ottobre scorso ho partecipato a una conferenza a Bruxelles assieme a (tra gli altri) player globali come Arla, Cargill, Danone, DSM Nutritional Products, Fonterra, Friesland Campina, Lantmännen, Nestlé, Unilever.
Una delle relazioni s’intitolava “Come arrivare al 50%”.
Giuro, nessuno è saltato sulla sedia e nessuno ha riso, stavano tutti prendendo appunti.
Anziché sprecare energie a difendere un business as usual che diventa più indifendibile ogni giorno che passa, mi parrebbe più ragionevole cercare di mettere a valore questa tendenza, diventandone un positivo protagonista.
Ma ognuno sta nei panni suoi.
Roberto Pinton (AssoBio) e Daniele Fichera (FederBio)
* Segnaliamo un articolo appena pubblicato dal titolo “Sovescio batte concime”
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Per par condicio mi auguro possiate dare lo stesso spazio alla nutrita parte di mondo scientifico e della ricerca che mette in evidenza molto chiaramente i punti deboli del sistema biologico. Tanto per citare qualcuno On.Prof. Elena Cattaneo, Prof.Luigi Mariani, Prof. Attilio Scienza, Prof. Bruno Mezzetti…….
Concordo totalmente.
I fautori del bio hanno troppo spesso posizioni “talebane” di totale chiusura all’altrui pensiero.
Totalmente lontani in modo pregiudiziale dal miglioramento genetico.
Superiori in modo superficiale.
Bellissimo articolo molto completo e dettagliato!!
Attaccare il mondo bio e biodinamico è come criticare la Croce Rossa.
Rimedia ai danni che ci facciamo con le nostre mani e gli eccessi dell’imprudenza generale.
concordo con il commento di Giuseppe!
Complimenti agli autori per gli interventi mai superficiali e sempre ben documentati, esposti con garbo e con il giusto linguaggio che in ogni circostanza (ed in modo particolare su queste pagine di approfondimento) dovrebbe essere pacato, educato, rispettoso delle tante legittime opinioni esistenti (ma purtroppo viviamo in un mondo dialettico sempre più orientato all’insulto insensato, al dileggio gratuito, sempre più ostaggio di odio e di violenza verbale). Complimenti in modo particolare a Il Fatto Alimentare che contribuisce quotidianamente (ed in molti campi di interesse) ad informare con imparzialità, con professionalità e con coscienza sociale tutti coloro che, assetati di sapere, si predispongono come me ad ascoltare, SENZA preconcetti, ogni informazione utile per effettuare poi le proprie scelte alimentari consapevoli.
Buona giornata a tutti.
Ringrazio per l’esaustività della risposta e rimango convinto del valore e dell’efficacia di questo approccio all’agricoltura. Mi rimangono però due dubbi:
-le verifiche sul campo si fanno? con quali risultarti? e, soprattutto, cosa si può realisticamente controllare delle procedure e dei trattamenti?
-il prodotto in vendita coltivato con metodo bio può essere, sin dalla prima fase successiva alla raccolta, lavorato in modi e tempi che snaturano l’intrinseca qualità, o peggio addizionato con sostanze legali per le quali peraltro non si è tenuti ad alcun vincolo di etichettatura. Quali strategie/obiettivi si pongono Assobio e Federbio?
Sono sempre stato fautore dell’agricoltura biologica e dal 1980 ero iscritto alla prima associazione di agricoltura biologica “Suolo e Salute”, il cui presidente era il prof. Francesco Garofalo, fitopatologo all’Università di Torino. Ero iscritto solo come sostenitore, perché non avevo un’azienda agricola, ma un appezzamento di terra da coltivare per consumo familiare. I limiti imposti all’agricoltura biologica sono ben lontani da quelli dell’agricoltura convenzionale e perciò preferisco i prodotti della produzione biologica. Certo l’agricoltura convenzionale ha un “peso politico”, che influenza i rappresentanti del popolo in Parlamento, tuttavia ritengo utile un confronto con le argomentazioni contrarie, soprattutto se provenienti da uomini e donne di scienza: forse si rafforzerebbero le tesi degli agricoltori biologici.
Suggerisco a tutti coloro che non sono “addentro” alla materia Bio VS convenzionale,un metodo certamente poco scientifico : individuate nella vostra zona di residenza 1 agricoltore biologico e 1 convenzionale,contattateli,fategli visita se ve lo conedono e chiedetegli se vi fanno fare un giro nel campo in loro compagnia.Dopo fategli tutte le domande che vi vengono in mente riguardo i metodi di coltivazione,chiedete per es. quanto ritengono importante la salvaguardia della biodiversità e quant’altro vi viene in mente,ma, sopra ogni cosa osservate le persone e ancor piu importante l’ambiente che con il loro lavoro e i loro imput si sono creati nel tempo.Annotatevi le impressioni sia quelle realtive all’ambiente vistato ma anche quelle realtive alle persone(gli operatori) incontrate. Noterete,forse,che bio o biodinamico non è solo una questione di pratiche agronomiche differenti,ma una visione altra che va ben oltre il non usare formulati tossici e dannosi.
Condivido appieno il servizio ma purtroppo la verità è che non ci si può fidare delle valutazioni che danno i vari governanti ( italiani ed europei) perchè spesso influenzate dalle lobby
Siamo arrivati al dunque. Se giganti come Danone, Nestlé, Unilever, Cargill e compagnia bella prendono appunti sul biologico allora siamo messi bene. Tanto vale restare al convenzionale se passare al biologico significa lasciare che ste multinazionali prendano il controllo pure del biologico. No grazie FederBio e AssoBio. Io ci sto se biologico significa sostenibilità ambientale e sociale, non solo un nuovo modo di fare profitto per i vecchi e ritriti magnaccia.
Ringrazio il Fatto Alimentare per questa disamina, credo completa o molto interessante. Spiegata e dettagliata in maniera comprensibile anche per i non addetti
Nulla toglie anche al diritto di replica, cosa che permetterebbe di avere visione completa.
Io nel mio personale, acquisto biologico (soprattutto da acquisto diretto verso i produttori), per cui un po’ mi sono sempre documentato, però mi piacerebbe sentire anche “l’altra campana”.
Grazie
Seguo il dibattito da anni, sono un operatore del settore e amo l’approccio scientifico serio. Quello che è scritto nell’intervento è serio. Parziale comunque, confronta il migliore biologico con l’agricoltura ‘chimica’ come non esistesse quello che oggi è la norma: il ricorso ad interventi chimici mirati, ridotti, con minime dosi, pochissime molecole ammesse, tempi di carenza molto prudenti, residui innocui per la salute (non lo dico io, ma chi ha competenza).
E poi la sostenibilità ambientale COMPLESSIVA, non solo basata su argomenti di titoli di articoli scientifici. Nessun cenno. Avendo inziato 20 anni fa a lavorare mettendo a confronto i due modi di fare agricoltura, anche dal punto di vista di indicatori di impatto ambientale, mi limito a dire che comprendo il motivo della dimenticanza.
Mi dispiace non sia possibile assistere a dibattiti tra scienziati, di diverse scuole di pensiero o radici culturali, senza dover leggere l’intervento di operatori economici costretti a creare il mercato in cui operano e prosperano facendo collage della scienza che piace, non della stessa scienza nella parte che piace meno (meno utile).
Vi prego di pubblicare interventi competenti, equilibrati, trasperenti e leali.
Grazie
Buon giorno,
interssante l’articolo, ma come chimico suggerisco di fare attenzione anche ai titoli, per non dare sempre l’idea che la chimica è negativa! Purtroppo anche la NATURA è chimica.
Per chi è interssato consiglio questo bell’articolo pubblicato su Nature Chemistry Vol. 6, 2014: A chemical-free paper.
Desideravo ringraziare il signor Roberto e il signor Daniele per l’esauriente risposta a coloro che sono scettici sul bio. Io sono convinto di arrivare alla tomba in buona salute, e questo non è poco, mi alimento solo di cibo bio (nel limite del possibile), ho un mio orto che coltivo anche con i Micro organismi effettivi (EM) e alla mia età mi sento molto meglio dei giovani di oggi che mangiano spazzatura. Io non convinco nessuno e nessuno riesce a convincermi a cambiare la mia alimentazione. Avevo letto tempo fa un articolo che in America, dove c’è una lotta estrema contro l’obesità causata da alimenti zuccherati, le multinazionali dello zucchero avevano creato una commissione che decidesse una volta per tutte di dire se lo zucchero fa male o no. Ebbene tale commissione arrivò alla conclusione che non faceva male, però analizzando i personaggi della commissione, si seppe che i 3/4 di loro erano a libro paga delle multinazionali dello zucchero. Questo vuol dire che ciascuno di noi deve pensare con la propria materia grigia.
Bio e “Convenzionale”: uno di quei rari casi in cui si sa chi sono Buoni e chi i Cattivi (ivi compresi nomi blasonati, che se non ci fossero, andrebbero comprati …).
Grazie Fatto alimentare e complimenti agli autori dell’articolo!
concordo pienamente con quanto specificato nell’ articolo. Il biologico ha molti nemici e me ne accorgo frequentando i vari consorzi agrari quando chiedo prodotti compatibii con l’ agricoltura biologica o quando vado da rivenditori dozzinali di frutta e verdura che non volendo investire in innovazione non hanno un banchetto di biologico e tendono a sminuirlo o a ridicolizzarlo.
Compro bio per la mia salute, quella della mia famiglia e di mia figlia, per il rispetto per il pianeta e per i tanti produttori biologici onesti che si sono impegnati a fondo e che a differenza dei detrattori da tastiera aggiornano continuamente la loro professionalità .
Voglio innanzitutto ringraziare la Redazione per l’attenzione dedicata all’argomento che valuto di grande importanza.Da molti anni seguo e pratico un approccio all’alimentazione ed alle coltivazioni naturali di grande attenzione.Ritengo che l’approccio a queste tematiche non può essere altro che “Scientifico” e quindi sempre scevro da posizioni integraliste e non scientifiche.Onore e merito al dibattito sereno ed informato.
Ringrazio per l’esaustività dell’articolo.
Personalmente non credo che quanto “BIO”, che sia biodinamico o biogologico o bio, sia in assoluto non dannoso o non contaminato da falde acquifere, e che i terreni siano perfettamente “atossici” (mi sono sempre domandata fino a quale profondità si analizzi un terreno classificato bio), o che i venti o piogge non portino inquinamento.
Non sono nemmeno tanto fiduciosa negli organismi certificatori che spesso hanno rapporti con le aziende.
Credo però che possano essere un’alternativa concreta per il contenimento dell’assunzione di sostanze non naturali e identificate certamente come non propriamente salutari. Un pò come comprare una crostata dal fornaio sotto casa o farla in casa con marmellate e farine comprate.,come l’alternativa alla crostata industriale.
Inoltre credo che per ridurre intossicazioni sia di sostanze presenti in natura che artificiali è necessario consumare a rotazione dei prodotti di provenienza geografica diversa e/o di produttori diversi.
Non compro ad esempio tutte le settimane patate del Fucino (tanto per dirne una … oppure alto viterbese, ecc.), o dello stesso produttore, perchè credo che così non assumo indirettamente sempre le stesse sostanze minerali, vitamine, inquinanti indiretti, ecc. presenti nel terreno e assorbite dal tubero, e probabilmente cambiando produttore difficilmente utilizzeranno i stessi prodotti (concimi , ecc.), i terreni si troveranno in località con situazioni ambientali diverse, ecc.
Insomma il mio è un atto di fiducia