Il Prosciutto crudo di Parma da oggi (13 giugno) non può più essere certificato e marchiato. I quattro ispettori del Comitato di certificazione (Coce) dell’Istituto Parma qualità (IPq), nominati nell’autunno del 2018 su richiesta del ministero delle Politiche agricole (Mipaaft), si sono dimessi. Il Coce ritiene che non ci siano le condizioni per continuare a operare con i controlli. La cosa è molto grave perché gli ispettori hanno evidenziato nel maggio 2019 gravi irregolarità all’interno dell’IPq, che hanno portato a una sospensione per tre mesi. A questa situazione molto critica si aggiunge l’assenza per motivi personali della responsabile qualità dell’istituto. Per capire la gravità, basta dire che l’IPq è l’unico ente che per legge può imprimere il sigillo sui prosciutti. L’altra notizia è che lunedì 17 giugno dovrebbe iniziare una nuova stagione per l’IPq con la nomina del nuovo direttore generale, Fabio Bussacchini. Questa vicenda, che un anno fa abbiamo chiamato Prosciuttopoli, ha riservato diversi colpi di scena e non sembra destinata a finire presto.
La bufera che sta sconvolgendo l’ente di certificazione e che impedirà la marchiatura dei nuovi prosciutti non è casuale. È il risultato di una gestione molto disinvolta e di un’inaccettabile conflitto di interessi con il Consorzio del prosciutto di Parma che è socio per circa il 30% dell’IPq. L’Istituto rappresenta un nodo fondamentale della filiera del prosciutto di Parma, visto che ogni anno riceve 12 milioni da aziende come Citterio, Casa Modena, Rovagnati, Levoni per la marchiatura delle cosce. Ma l’ente certificatore da tempo è nell’occhio del ciclone. Basta ricordare che un anno fa il Mipaaft in seguito a controlli che hanno evidenziato gravi irregolarità ne decide il commissariamento per sei mesi, insieme all’ente certificatore del prosciutto di San Daniele (Ifcq). Il provvedimento è stato deciso perché i due enti certificatori non si sono accorti che 1,2 milioni di cosce destinate ad avere la Dop ( il 10% dei prosciutti Dop a livello nazionale), provenivano da una razza non prevista dal disciplinare. Nonostante ciò l’allegra gestione all’IPq va avanti, e nel mese di maggio 2019 arriva la nuova sospensione decisa da Accredia, dopo la sparizione dei verbali in cui gli ispettori segnalano che altre 2,5 milioni di cosce non sono in regola.
Non era mai successo che un ente certificatore implodesse in questo modo evidenziando irregolarità di tale gravità. Tutte queste vicende rendono inaccettabile l’affidamento ulteriore della certificazione rilasciata dal Mipaaft a questa struttura privata. Il ministero non è però immune da colpe, visto che per anni ha tollerato il conflitto di interessi tra IPq e Consorzio del prosciutto di Parma e tra Ifcq e Consorzio del Prosciutto San Daniele. Secondo molti addetti ai lavori questa commistione è una delle cause che ha portato alla disastrosa situazione attuale.
L’altro aspetto grave è che il Consorzio del prosciutto di Parma da tempo è al corrente di queste irregolarità ma non le ha mai denunciate. C’è una mail datata 3 giugno 2019 in cui il Comitato di certificazione dell’Ipq (ora dimissionario in quanto impossibilitato a proseguire nel lavoro di controllo) annuncia al Consorzio che ci sono 12.500 partite (pari a oltre 2 milioni di cosce) che nell’ultimo semestre del 2018 sono finite nella filiera Dop, pur non rispettando le regole del disciplinare. Nella lettera si parla chiaramente di frode. Nonostante la gravità della notizia il Consorzio tace e non prende alcun provvedimento per arginare la frode.
Anche il Mipaaft è da molto tempo al corrente del malaffare e per questo motivo deve revocare il mandato a IPq. Il ministro Gian Marco Centinaio ha accennato a questa eventualità pochi giorni fa in un convegno proprio dopo la nostra segnalazione. I consumatori non possono essere presi in giro in questo modo e l’immagine del prosciutto di Parma ne esce distrutta. Pochi hanno voglia di raccontare questa storia. C’è un’atmosfera negativa, un silenzio pericoloso per la paura di essere trascinati in un grosso scandalo. Ma Prosciuttopoli va avanti e ogni giorno si aprono nuovi fronti, anche se pochi vogliono raccontare questo scandalo sui giornali. La procura di Parma sta indagando e noi siamo fiduciosi. Resta un’ultima domanda a cui forse qualcuno dovrebbe rispondere: come fanno i consumatori capire se i prosciutti di Parma e San Daniele Dop venduti con i marchi Citterio, Casa Modena, Rovagnati, Levoni sono veri o falsi?
CRONISTORIA DI PROSCIUTTOPOLI
16 aprile 2018 – Il Fatto Alimentare scopre lo scandalo di Prosciuttopoli
Prosciutto Parma e San Daniele: irregolarità nei controlli. Il ministero decide commissariamento degli Istituti di certificazione
18 maggio 2018 – Prosciuttopoli: è impossibile controllare i maiali del Parma e del San Daniele. Per questo la truffa va avanti da 4 anni
17 agosto 2018 – Truffa del prosciutto San Daniele: 103 indagati e 270 mila pezzi sequestrati
18 gennaio 2019 – Prosciuttopoli: coinvolte 1.240.000 cosce di prosciutto San Daniele e di Parma per un valore di 80 milioni
11 febbraio 2019 – Prosciuttopoli: i numeri dello scandalo sono impressionanti, precisa l’Icqrf del Ministero delle politiche agricole
24 maggio 2019 – Coldiretti dimentica lo scandalo di 1,2 milioni di falsi prosciutti di Parma e San Daniele, ma punta il dito contro le etichette in Cile
6 giugno 2019 – Consorzi del prosciutto dop: scandali, truffe e conflitto di interessi
10 giugno 2019 – Il 35% del prosciutto crudo di Parma e San Daniele è falso. Una truffa gigantesca. Consorzi ed enti di certificazione nella bufera
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Come è possibile che nessun quotidiano segnali che da oggi non è più possibile marchiare il Prosciutto di Parma o il San Daniele?
Questo è il vero scandalo (aggiunto).
Rimango basito non tanto da leggere l’ennesima frode in commercio , ma dall’ingenuità dei commenti. Il settore agroalimentare è la nuova informatica degli anni 70 e sarà sempre più presa di mira da investitori senza scrupoli. Quando si permette, senza un minimo controllo serio da parte degli enti di controllo, al controllore di diventare parte del controllato, questo è il risultato. Se apri una piccola finestra e sbirci dentro al sistema ci vedi un universo…ecco allora che scatta il sistema più “ coraggioso”, ovvero chiudere gli occhi.
E’ l’ennesimo scandalo che travolge un prodotto agroalimentare di qualità, di quelli che che con la Dop hanno un valore aggiunto, che crea lavoro, reddito e permette esportazioni milionarie, trainando l’intero comparto.
Secondo me, da consumatore, è un disastro, che la fiducia persa non la si recupera in fretta, altri la pensano diversamente. Agostino Macrì ha commentato il mio post dicendo che “Non sarei troppo catastrofista.” Forse ha ragione lui o forse la memoria del consumatore medio è più debole della mia, ma in ogni caso conosco molte persone che a seguito dei vari scandali hanno smesso di acquistare i prodotti coinvolti…
Esatto, io uno di questi!!! Da tempo
E Coldiretti ha perso la parola?
Come allevatore mi domando: chi pagherà gli enormi danni agli allevatori onesti? Visto che non ci saranno prosciutti marchiati, cosa impedirà che l’italia venga sommersa da prosciutti esteri, visto che non ci saranno più paletti a frenarli(sono tutti smarchiati). In questi ultimi anni non si è voluto tutelare economicamente il suino pesante adatto a produrre il prosciutto dop, era buono ma meno produttivo perché nascono meno maiali. Allora tutti a rincorrere la scrofa danese (può partorire fino a 20-25 suinetti, contro i 14-18 di quello pesante) , la regola prescrive che il verro sia tra quelli accettati dal Consorzio. Però potete capire come le differenze genetiche con i suini esteri di assottiglino parecchio. Fare esami del dna non è facile ne economico. P.S. i suini allevati all’estero, non mangiano quello che mangiano quelli italici, diciamo che i loro regolamenti sono più..elastici.
Forse la soluzione è aggiornare il disciplinare fermo ormai da 25 anni , allontanare dal mercato i furbetti . Questo lavoro dovrebbe farlo il Consorzio che però ha troppe responsabilità in questa storia
Il consorzio dovrebbe ora poter modificare quello che è necessario; i consumatori non hanno un FALSO quando mangiano un prosciutto da verro danese, hanno un prodotto IMPROPRIO, ma che non lede né la salute, né la qualità organolettica se non marginalmente (si veda più avanti per la questione prodotto di élite); potrebbero essere creati due livelli di DOP.
Come è stato detto molte volte, il consorzio si è probabilmente mosso in quella direzione anche spinto dalla questione della quantità di grasso delle cosce secondo il vecchio disciplinare.
LA situazione è comunque complessa e contraddittoria: ad esempio anche in queste pagine viene necessariamente a mancare congruenza – che peraltro è oggettivamente difficile creare vista la complessità della questione – perché da una parte si deve difendere l’etichetta a semaforo necessaria per la salute pubblica e dall’altra ci si trova obbligati (oggettivamente la questione è critica) a battersi perché le cosce restino con tanto grasso da far loro mantenere – in tale sistema – una categoria di maggior danno. Contraddizioni della COMPLESSITA’.
Ci sono ragioni che giustamente impegnano il giornalismo da una parte sulla questione di onestà (ma sarà vero che era solo una questione di reddito e non invece una risposta ad una possibile perdita di appeal dovuta proprio al grasso?) ma dall’altra una quesitone di evoluzione del gusto dei consumatori che privilegia sempre di più prodotti magri e Parma e San Daniele secondo il disciplinare erano ben distanti da ciò che ormai si desidera mangiare!
Direi che invece di mantenere alto il livello di tensione, sarebbe più opportuno aprire un dibattito per il futuro dei nostri due ottimi DOP (o ex tali!) Vorrei che venisse abbandonata l’atteggiamento di colpevolezza criminale per essere declassata a colpevolezza/ingenuità/sventatezza.
Sono propenso più a credere che il tutto sia partito da un ragionamento in direzione positiva (riduzione del grasso E POI “c’era anche peso/produttività maggiori”) invece che con presupposti di partenza truffaldini. Diventa quindi forse più importante ricostruire la storia di come si è cominciato, piuttosto di giudicare già colpevoli per il fatto di aver bypassato un solo elemento del disciplinare; tutti gli altri infatti sono stati mantenuti attivi (NON DIMENTICHIAMO che sono stati mantenuti quelli con MAGGIOR INCIDENZA sul costo finale).
Truffa sarebbe stata se fossero stati fatti produrre e stagionare in un paese terzo!
Poi concordo sul fatto che il consorzio e l’istituto di vigilanza hanno avuto un comportamento colpevole e stupido visto che forse il disciplinare poteva essere cambiato. MA sono anche qui propenso a credere che l’operazione non sarebbe stata così facile perché siamo in Italia e anche se opportuna molti l’avrebbero osteggiata apportando ragioni valide altrettante quanto chi lo avrebbe voluto cambiare. Ma le ragioni di chi lo avrebbe voluto mantenere forse avrebbero reso il Parma e il San Daniele un prodotto così elitario da renderlo assolutamente marginale e forse alla fine ucciso nel giro di dieci anni! La gente infatti non avrebbe comprato ancora per molto un prodotto a caro prezzo di cui scartare un quarto perché costituito da grasso ancorché finissimo, pur sempre grasso!
Oggi a fronte del caos le modificazioni possono apparire più possibili: avremo forse in futuro un prosciutto ufficialmente più magro?
Il malaffare c’è ed è generalizzato a una significativa parte della filiera, che non ha modificato le regole di propria volontà in deroga al disciplinare per inseguire l’etichetta a semaforo ma lo ha fatto in virtù del denaro e dei profitti facili. Ma approfondiremo presto gli aspetti di cui lei ha accennato, perché il problema è complesso ma la truffa è altrettanto chiara e le scusanti sono proprio poche.
Ah, finalmente Roberto l’hai detto. Il vero scandalo è il disciplinare e chi lo gestisce. Non gli allevatori, i macelli, i prosciuttifici o i controllori.
Se una legge è palesemente irrispettabile, la colpa è del legislatore, non di tutti gli altri.
E, Roberto, dillo… I prosciutti di Parma e San Daniele sono sempre stati di qualità anche in tutti questi anni e nonostante un disciplinare indecente.
Altra cosa è l’indagine del seme danese. Quelli sì vanno puniti!
Il disciplinare è redatto dal Consorzio che rappresenta i produttori. Le regole sono quelle e vanno rispettate da tutti fino a quando non cambiano. Chi non le rispetta è fuori e froda i consumatori. Nessuno impedisce di cambiare il disciplinare. Perché non lo hanno fatto? Perché la frode va ancora avanti? La storia è complicata e ne parleremo presto nelle prossime puntate. Non è vero che tutti i prosciutti di Parma e san Daniele sono di qualità. Il sistema fino ad ora è costruito in modo tale che tutte le cosce vengono marchiate, anche quelle di minor peso e minor qualità e quelle ottenute da seme di Duroc danese.
Buongiorno, ho provato a dare un’occhiata al disciplinare della produzione:
– I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi 160 più o meno 10%.
– Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, così come migliorata dal Libro genealogico italiano.
– Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci ed ibridi, purchè provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del Libro genealogico italiano per la produzione del suino pesante.
– Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spotted Poland.
In una riga è ammesso, nell’altra è escluso…non avendo competenze veterinarie su inseminazione, crescita, ingrassamento (mi chiedo, SE si può usare e si arriva al limite dei 176 kg. all’età minima di 9 meesi riuscendo a starci dentro nel dare la coscia di peso corretto, come glielo si può contestare questo fatto?), non capisco, ‘sto maiale “vichingo” si può usare o no?
Poi e ovvio che quando apprendo che controllati e controllori sono gli stessi soggetti mi viene da dire che il “malaffare” è il vero/unico/genuino prodotto Made in Italy, altro che la tradizione millenaria dei prodotti di salumeria!!! Ma tanto di cappello ai pochi agroproduttori onesti.
“Non è crudo, è di Danimarca” (e Peter M. Grosser + Cayenne muti).
Il maiale vichingo non si può usare perché cresce velocemente e dopo 9 mesi ha già raggiunto il peso massimo, ma le carni sono magre e troppo umide per stagionare bene
Questo avvenimento mette in luce quale sia il vero limite delle DOP: se uno scandalo coinvolge un marchio aziendale la fiducia del consumatore crolla per il prodotto di quel marchio, e solo per quello, mentre gli altri produttori (onesti) non hanno danno alcuno, semmai ne hanno un vantaggio avendo uno spazio di mercato in più. Ma se lo scandalo coinvolge una DOP (cioè un marchio collettivo) tutti i produttori ne pagano le conseguenze indistintamente e paradossalmente. Se un’azienda fa un prodotto veramente di qualità probabilmente non le conviene aderire ad una DOP bensì investire i soldi risparmiati non pagando Consorzi, enti certificatori etc. in azioni pubblicitarie finalizzate a fidelizzare il consumatore sul proprio marchio aziendale.
Per la verità mi sembra che tutti gli analisti del mercato globale consiglino di seguire la strada opposta a quella che suggerisce lei.. Un acquirente, specialmente estero, necessita di quantità grandi e standard di prodotti di qualità, quindi marchi collettivi. Non può certo stare dietro a 200 piccoli produttori.. Quello che suggerisce lei è possibile al limite su scala locale, dove magari c’è una conoscenza, una vendita diretta.
Peraltro, lei è convinta che il marchio sia un costo e non un guadagno? Ha presente quanto costano il Parma ed il San Daniele?…. Per fortuna a me il prosciutto dolce non piace, non devo rimpiangerlo. Mi piace il salato, magari moderato come il Norcia, costa circa la metà
Tra l’altro segnalo che per certi prodotti i Consorzi sono obbligatori. Per esempio nel vino, se ricordo, puoi essere nella zona di produzione, ma se non sei nel Consorzio non puoi usare il nome della zona. Lo vendi come “vino da tavola” e stop
Buongiorno a tutti
DOP IGT DOC etc, etc, tutto becchime per i polli… Lo sappiamo benissimo come funzionano le cose in questo paese, come dire… piove, Governo ladro. Mah ! Ogni azienda dovrebbe essere libera di marchiare i propri prodotti, naturalmente facendo riferimento se vogliamo ad un consorzio una associazione o altro, ma deve essere il produttore o comunque l’O.S.A. che deve rispettare le norme esistenti. Certo i disciplinari dei prosciutti Parma e San Daniele sono stati fatti all’epoca e con l’evoluzione dei tempi è chiaro che oggi potrebbero sembrare vetusti, ma io penso che così non è in fondo ci vogliono delle regole specifiche, altrimenti tutti possono fare, e anche le leggi non avrebbero senso. Certo acquistare le cosce a due soldi provenienti dall’estero è molto meno costoso e faticoso che acquistarle o produrle in Italia, per poi vendere i prosciutti come se fossero al cento per cento nazionali. Io penso che il prodotto doc, dop etc. deve essere tale se l’intera filiera si realizza nel paese specifico, altrimenti non hanno senso le leggi e tanto meno i disciplinari.
Il suo discorso ha una grossa pecca le cosce sono di maiali concepiti , allevati e macellati in Italia, da allevatori, macellatori e prosciuttifici italiani. È una storia o meglio una truffa tutta made in italy.
A me sembra strano che il MIPAAAFT non sia assolutamente stato coinvolto nel caso.
Il compito di controllare la gestione della DOP è del MIPAAFT come Autorità Competente, deve controllare l’attività del consorzio dei produttori, che a sua volta controlla i singoli produttori, appone il marchio DOP sui prosciutti e propone modifiche del disciplinare.
Il MIPAAFT non fa direttamente i controlli, ma li affida per suo conto, ad enti di ispezione certificati da ACCREDIA.
Nella scelta e nell’affidarsi a questi enti il MIPAAFT dovrebbe valutare l’accreditamento, l’organizzazione e la proprietà di tali enti: perchè non lo fatto ?
Nel 2018 il MIPAAAFT quali controlli ha effettuato e in che modo, da cui poi è scaturito il commissariamento semestrale degli enti di ispezione. Durante tale periodo quali controlli sono stati effettuati dal MIPAAFT e che risultato c’è stato o ci sarà al termine di tale periodo.
Se il risultato è negativo riguarda o riguarderà solo l’attività presso il consorzio del prosciutto di Parma o anche nei confronti degli altri consorzi DOP presso i quali effettuano attività per conto del MIPAAFT ?
Mi sbaglierò’ e non so nemmeno cosa centri , ma ho la sensazione che in qualche modo ci facciamo fregare dai Cinesi, noi litighiamo per una gusta causa e loro boom!!! … aspettate e vedrete. ..suggerirei di non perdere tempo e fare subito un nuovo disciplinare rigorosissimo. Giuseppe. (Salumiere da 35 anni).
Qui i cinesi non ci sono proprio . Sì alle modifiche del disciplinare
Una truffa è una truffa, senza scuse, il DOP va tutelato.Punto. Un alimento tipico e DOP deve modificare il disciplinare per essere più “vicino” al “semaforo”? No! Se vogliamo mantenere la tipicità dobbiamo avere il coraggio di sostenere il nostro prodotto, quello con cui siamo cresciuti, e anzi, pretendere che la tradizione si perpetui per secoli. Il consumatore che scarta il grasso del prosciutto di Parma o San Daniele o che dovesse acquistare un prosciutto “magro” di altra provenienza ha il diritto di farlo, ma se i Consorzi vogliono mantenere quel cliente consumatore devono imparare a sfatare le leggende metropolitane come quella che dice che mangiare prosciutto significa mangiare un prodotto grasso. Quale e quanto grasso deve mangiare un cristiano? Secondo la SINU una porzione da 50g 2 volte a settimana, secondo altre Società Scientifiche anche il doppio. In 50 g di Parma ci sono 9,2g di grasso, quello visibile apporta circa 7g. Una porzione apporta 134 Kcal di cui 81 da grassi, i DRV europei considerano l’apporto energetico medio in 2000 kcal die, il prosciutto inciderebbe per circa il 7% dell’energia quotidiana. Se invece andiamo a valutare gli acidi grassi saturi ne troviamo circa il 3% e il 6% sono monoinsaturi (quelli dell’olio d’oliva) e polinsaturi. Secondo la SINU i saturi dovrebbero apportare <10% dell'energia quotidiana quindi non più di 200 Kcal. Quindi il punto non è prosciutto burro o pollo e salame, ma saper mangiare e fare le scelte giuste ogni giorno all'interno di una variata e gustosa alimentazione italiana. Senza annoiarvi troppo è evidente che il problema non sta nel grasso o nel semaforo (se pur ingiusto in questo caso) ma nelle credenze popolari che si sono sempre più diffuse anche grazie al fatto che i Consorzi non fanno nulla per difendersi dalle leggende metropolitane sempre più diffuse su internet. Senza offesa, vi dovete svegliare e cominciare a comunicare le straordinarie proprietà del vostro prodotto in modo efficace, se non siete capaci scrivetemi io posso darvi una grossa mano.
Guardate che negli ultimi anni la genetica del suino si è evoluta. Il suino italiano di adesso non è più uguale a quello di solo 10 anni fa. Tra le altre cose è anche più magro. La questione qualitativa non è solo il grasso (che un po’ ci deve essere) ma la tipologia di muscolo. I nostri salumi stagionati a crudo hanno bisogno di una carne più soda e fibrosa, appartenente a un suino di almeno 9 mesi. I suini nordici assimilano meglio il cibo e crescono più velocemente, raggiungendo il peso stabilito anche un mese prima. Avete idea quanto può risparmiare un grande allevamento , per es. con 10.000 suini all’ingrasso al mese? La carne di questi suini danesi però è più chiara e morbida (adatta alla macelleria fresca) Il prodotto sarà un prosciutto più molliccio, che probabilmente avrà bisogno di più sale ( e conservanti?) per stagionare. Se guardate l’etichetta i prosciutti di Parma e San Daniele sono gli unici salumi a non contenere nitriti e nitrati. Per cui serve una materia prima adeguata.
Il vero scandalo è bloccare la filiera produttiva. Questo blocco si ripercuoterà su tutte le aziende coinvolte fino agli allevatori. Cosa si aspetta a ricostituire l’ente e la sua funzione? Vogliono distruggere le aziende italiane? Il ministro del Lavoro e quello delle politiche agricole alimentari e forestali nel cosa stanno facendo? Ossignùr, era meglio se non li nominavo, probabilmente pensano alle loro ferie imminenti
Come detto da me altrove io guardo con timore il fatto di creare organi di controllo che non abbiano nella loro compagine (CDA) anche una parte dei direttamente interessati.
In Italia chi si trova un potere di controllo e quindi di veto in mano, in generale lo gestisce peggio di quanto non possa fare un organismo che sia conclamato essere direttamente interessato; il danno economico infatti è comunque dei produttori in caso di “malfunzionamento”, come si sta vedendo in questi giorni quindi oggi soon i maggiori interessati affiché il tutto riprenda a funzionare.
Se istituiamo un sistema autonomo di controllo, questo non potrà che essere fatto alle dipendenze del governo o dei governi locali. Ora vi immaginate burocrati inamovibili seduti alle loro scrivanie o anche in giro, e con potere di veto? Siete sicuri che tale organo manterrà un atteggiamento cosciente e responsabile verso un sistema economico e produttivo che deve comunque creare utile (fattore che invece non appartiene alla cultura degli eventuali ispettori che lo ignoreranno essendo a stipendio fisso e dipendenti della stato).
Se già un’ISTAT (istituto per le statistiche!) ha potere di multare chi non invia i dati che poi vengono usati per tutto salvo che per informare coloro che li hanno generati, vi immaginate nel giro di poco che cosa si inventeranno di fare eventuali istituti alle dipendenze del governo se saranno sotto il suo diretto ombrello?
Preferisco che venga mantenuto l’attuale istituto di vigilanza – con ovvi avvicendamenti – ma che sia invece sottoposto a regole più chiare e a meccanismi di verifica migliori e che sia chiaro chi appartiene alla lobby degli allevatori, chi dei produttori e chi invece è indipendente (ma che lo sia veramente).
Inserirei ad esempio giornalisti del settore, associazioni di consumatori, GDO e Catene di distribuzione, Slow Food e rappresentanti di paesi che importano il prodotto, solo per citare alcuni possibili esempi di indipendenza comunque portatrice di interessi nel settore!
Ma guai a noi se cade in mano al nemico, a chi non vede l’ora di mettere sotto controllo un settore economico come la politica o a chi entrerà in tale istituto solo perché è a stipendio fisso!
Ci sono tanti enti certificatori privati terzi che fanno il controllo per esempio nel caso del Grana Padano.
Complimenti vivissimi per quessta formidabile inchiesta e poderosa denuncia. Un’altra vergogna che
inciede sul Made in Italy e la sua attendibilità. Altro che ‘sito dell’Unesco’…
Eccellente lavoro.