diossina

terra dei fuochi inquinamento, contaminazioneLo scorso 13 dicembre, al termine della sua visita in Italia, Marcos Orellana, relatore speciale dell’Onu sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento di sostanze e rifiuti pericolosi, ha rivolto al nostro paese un appello a intensificare gli sforzi per rimediare agli impatti negativi di decenni di industrializzazione. La visita si è concentrata su tre temi principali: siti contaminati, gestione dei rifiuti e pesticidi e le sue tappe hanno toccato i principali siti interessati da queste problematiche, da Porto Marghera, a Venezia, alla zona contaminata da Pfas in Veneto, dall’impianto Ilva di Taranto, alla Terra del fuochi in Campania, senza dimenticare il termovalorizzatore di San Vittore, nel Lazio.

Nel discorso di fine visita Orellana ha toccato molte situazioni oggi al centro delle cronache. “Per la spazzatura di Roma – ha detto – è indispensabile adottare politiche efficaci”, pur prendendo atto che “la regione sta progettando di migliorare la sua capacità di gestione dei rifiuti”. Orellana ha inoltre espresso preoccupazione per la situazione di Porto Marghera: “Un enorme complesso industriale – ha detto – che per decenni ha trascurato la protezione ambientale e ha rilasciato rifiuti contaminanti pericolosi”. Di qui l’invito, a causa della gravità e dell’estensione dell’inquinamento, all’attuazione di un piano di bonifica urgente ed efficace su tutto il sito contaminato, monitorando al tempo stesso lo stato di salute dei residenti e prendendo in considerazione le informazioni sull’eccesso di mortalità, i tumori e le malattie cardio-circolatorie.

Terra dei fuochi ,inquinamento, rifiuti tossici
Non è ancora del tutto nota l’entità della contaminazione della cosiddetta Terra dei fuochi in Campania, ma si sa che comprende un circa 500 siti in 90 comuni diversi

La Terra dei Fuochi  nella regione campana colpisce 3 milioni di persone in un territorio che comprende circa 500 siti contaminati sparsi su 90 comuni (tra il nord-ovest di Caserta e il nord-est di Napoli).  Il nome Terra dei Fuochi si riferisce allo scarico, all’interramento e all’incenerimento illegale di rifiuti industriali alla fine degli anni ’90 e 2000. Una parte dei rifiuti è stata trasportata in Campania dalle aree industrializzate del nord Italia dalle cosiddette ecomafie. Un’altra parte dei rifiuti è stata prodotta dalle industrie regionali locali. In passato, il rischio legato all’esercizio di queste attività illegali era considerato relativamente basso, poiché tali condotte costituivano reati minori, puniti con pene piu’ miti. Diverse industrie e società del paese si erano affidate a queste reti criminali al fine di ridurre il costo dello smaltimento dei rifiuti prodotti. Lo scarico e la combustione illegale di rifiuti pericolosi ha generato livelli molto alti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo in alcune zone. A seguito di un’analisi condotta dalle autorità su 400 ettari di terreno, sul 12% delle terre analizzate l’agricoltura è stata totalmente vietata e su un altro 20% parzialmente vietata.

Tuttavia, l’entità del problema nella Terra dei fuochi non è ancora del tutto nota. Gli studi documentano un aumento della morbidità e della mortalità nelle persone che vivono nelle zone inquinate, oltre che una loro maggiore vulnerabilità al Covid-19. Nonostante le mie richieste, le autorità sanitarie regionali non hanno fornito dati dettagliati che potessero confutare questi risultati. Il governo italiano ha adottato diverse iniziative in risposta al problema della contaminazione, tra cui misure legislative entrate in vigore nel 2014 e destinate a regolamentare la caratterizzazione e la bonifica dei siti contaminati. Tuttavia, mancano le risorse sufficienti per l’effettiva attuazione della legge. Le attività di bonifica non sono ancora state realizzate ed è necessario un maggiore sostegno da parte del governo centrale. La combustione dei rifiuti continua ancora nella regione Campania e soprattutto nella Terra dei fuochi,  anche se a livelli inferiori rispetto ai primi anni 2000. Secondo le informazioni ricevute, i rifiuti vengono bruciati in discariche a cielo aperto anche in altre regioni del paese.

Il relatore ha manifestato preoccupazione anche per i livelli allarmanti di emissioni dell’impianto Ilva di Taranto, classificato come il primo emettitore di anidride carbonica in Italia. “Adesso che lo Stato è diventato uno dei comproprietari dello stabilimento – ha commentato a questo proposito Orellana –, dovrebbe accelerare la bonifica dei siti contaminati, così come la trasformazione dell’Ilva in modo che cessi di mettere in pericolo la salute umana e l’ambiente. Il ministero della Transizione ecologica non dovrebbe ignorare le conclusioni dell’Arpa Puglia”, secondo cui le future attività previste per l’impianto avrebbero un impatto inaccettabile.

Terra dei fuochi, inquinamento acqua
L’inquinamento da Pfas che ha coinvolto una vasta area della regione Veneto riguarda in particolare l’acqua, sia quella irrigua che quella potabile

L’inviato dell’Onu è seriamente preoccupato dall’entità dell’inquinamento da Pfas (anche noti come prodotti chimici eterni perché persistono e non si degradano nell’ambiente) in alcune aree della regione Veneto. Più di 300.000 persone nella regionesono state colpite dalla contaminazione dell’acqua da Pfas compresa l’acqua potabile.  I residenti della zona hanno sofferto gravi problemi di salute, come infertilità, aborti e diverse forme di tumori, tra gli altri.  Per diversi decenni, l’azienda chimica Miteni ha prodotto Pfas a Trissino (Vicenza) e ha rilasciato i suoi rifiuti senza controllo, inquinando le acque superficiali e sotterranee e la catena alimentare, colpendo zone di Verona, Vicenza e Padova. Mentre i responsabili dell’azienda sembravano essere consapevoli dello scarico di rifiuti e dell’inquinamento conseguente, tuttavia non hanno offerto adeguate misure di protezione ai lavoratori, né hanno divulgato informazioni sulla gravità dell’inquinamento da Pfas. Nel 2013, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha informato le autorità regionali della presenza degli inquinanti Pfas. Le autorità regionali del Veneto hanno intrapreso una serie di azioni, come l’installazione di filtri a carbone per purificare l’acqua potabile nelle aree più inquinate e la segnalazione del caso alla procura. Nel tempo, altre misure hanno incluso la revisione delle autorizzazioni delle aziende che usano Pfas per stabilire i limiti di scarico dei Pfas, oltre che investire in un sistema di opere pubbliche per portare acqua non inquinata nella zona.

I residenti della zona hanno sofferto gravi problemi di salute, come infertilità, aborti e diverse forme di tumori. “La dimensione umana del problema ci è stata presentata da una delle madri che abbiamo incontrato durante la visita – illustra Orellana –, che ci ha chiesto se possiamo immaginare che cosa significhi rendersi conto di aver avvelenato i figli attraverso il proprio latte”.Tuttavia, le autorità non hanno informato i residenti delle aree colpite né hanno dato informazioni sull’inquinamento da Pfas e sui rischi sulla salute della popolazione. Alcuni residenti sono venuti a conoscenza del problema della contaminazione tossica nel 2016-2017, quando la regione ha avviato un piano di sorveglianza sanitaria per la popolazione esposta ai Pfas nella critica zona rossa.

Pfas greenpeace
Il problema dei Pfas è stato uno dei temi su cui si focalizzata l’attenzione di Orellana

Le autorità regionali stanno anche monitorando la situazione sanitaria di alcuni abitanti e di alcuni prodotti alimentari in relazione all’inquinamento da Pfas. Tuttavia, questo monitoraggio è limitato alla zona più inquinata, il che solleva serie preoccupazioni per coloro che vivono nelle altre zone colpite circa il livello di inquinamento da Pfas nei loro organismi e la sicurezza dei prodotti alimentari che consumano. Sottolineo che l’inquinamento da Pfas  non si limita però all’attività dell’impianto Miteni. Esso risulta altresi’ dall’attività  di piccole e medie imprese all’interno e all’esterno della regione che utilizzano i Pfas nei loro processi produttivi e scaricano acque contaminate, tra cui per esempio l’industria tessile e del cuoio. Inoltre, vorrei evidenziare che l’inquinamento legato ai Pfas non si limita al Veneto. Tra le altre aree interessate, la contaminazione da Pfas è preoccupante lungo il principale bacino italiano, la valle del Po. Sono particolarmente preoccupato per la produzione di Pfsas da parte della società Solvay, attualmente in corso a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, in Piemonte. Questa operazione potrebbe creare un disastro ambientale simile a quello sofferto dalle comunità colpite in Veneto. Prendo atto della mancanza di regolamentazione dei Pfas a livello nazionale. Invito l’Italia ad adottare le misure necessarie per la restrizione dell’uso di queste sostanze a livello nazionale, e ad esercitare la sua leadership a livello regionale, mentre l’Unione Europea si prepara ad affrontare le gravi minacce per la salute e l’ambiente poste dai Pfas.

Orellana, nelle sue conclusioni ha però notato anche i progressi fatti dall’Italia verso la giustizia ambientale, in particolare con l’adozione della legge 68 del 2015 sui crimini ambientali. Ha tuttavia espresso profonda preoccupazione perché Italia esporta pesticidi messi al bando dall’Unione europea e ha chiesto di porre fine a questo “abominevole doppio standard”. “Le autorità dovrebbero garantire che le industrie utilizzino tecnologie e metodi di produzione che non danneggino la salute dei residenti – ha concluso Orellana. Ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente sano e privo di sostanze e rifiuti tossici”. I risultati e le raccomandazioni derivate dalla visita nel nostro Paese saranno ora presentate al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite nel settembre 2022. Ci si augura che nel frattempo la situazione possa non rimanere invariata.

© Riproduzione riservata Foto: Greenpeace

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

0 0 voti
Vota
2 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
luigiR
luigiR
7 Gennaio 2022 11:10

troppo spesso le istituzioni sono sorde alle legittime richieste di rispetto dell’ambiente e della salute da parte delle comunità locali, perché un carattere anodino le contraddistingue, prese, come sono, dal ricatto occupazionale, nella morsa delle lobby industriali.

Sandro kensan
8 Gennaio 2022 21:15

Forse il problema della fabbrica Miteni è l’ultimo di cui preoccuparsi.

Leggevo tra le varie cose:

«Secondo le analisi, è stato riscontrato che il 56% dei fondotinta e dei prodotti per gli occhi, il 48% dei prodotti per le labbra e il 47% dei mascara testati contengono alti livelli di fluoro, che è un indicatore dell’uso di Pfas nei prodotti.

Questi risultati sono particolarmente preoccupanti se si considera il rischio di esposizione umana combinato con le dimensioni e la scala di un’industria multimiliardaria che fornisce questi prodotti a milioni di consumatori ogni giorno, dice Graham Peaslee, professore di fisica alla Notre Dame. C’è il rischio individuale: questi sono prodotti che vengono applicati intorno agli occhi e alla bocca con il potenziale di assorbimento attraverso la pelle o il dotto lacrimale, nonché possibile inalazione o ingestione. Gli Pfas sono una sostanza chimica persistente – quando viene nel flusso sanguigno, rimane lì e si accumula. C’è anche il rischio aggiuntivo di contaminazione ambientale associato alla produzione e allo smaltimento di questi prodotti, che potrebbe colpire molte più persone.»

Penso che ogni italiano abbia la Miteni dentro casa.