Lo scandalo di Prosciuttopoli che ha coinvolto due tra i prodotti Dop più famosi al mondo, il prosciutto di Parma e quello di San Daniele segnalato da Il Fatto Alimentare un anno fa, comincia ad avere un seguito giudiziario. Il filone torinese delle indagini, seguito dal procuratore della Repubblica Vincenzo Pacileo, si è concluso il 17 maggio con il patteggiamento per 10 imputati variabile da pochi mesi ad oltre un anno di reclusione più una multa (altri patteggiamenti erano stati fatti in precedenza), e di 6 società per responsabilità amministrativa complessivamente ad alcune decine di migliaia di euro. L’inchiesta, estesa in tutto il Nord Italia, aveva portato gli inquirenti a circa duecento iscrizioni nel registro degli indagati.
Per rendersi conto di quanto fosse ramificato lo scandalo basta dire che nel rapporto 2018 dell’Ispettorato centrale repressione frodi , Prosciuttopoli viene definita tra le operazioni più importanti nella lotta alla criminalità agroalimentare condotte nel corso dell’anno. Stiamo parlando di oltre 300 soggetti segnalati all’autorità giudiziaria; 810.000 cosce sequestrate; circa 480.000 prosciutti esclusi, tramite smarchiatura, dal mercato delle produzioni Dop; oltre 500.000 cosce smarchiate d’iniziativa propria da parte di singoli allevatori.
Lo scandalo prosciuttopoli, pur avendo coinvolto una quantità enorme di cosce della filiera del prosciutto crudo di Parma e di San Daniele, è un argomento dimenticato. La questione ridicola è che i Consorzi di tutela si sono sempre dichiarati vittime di un imbroglio, minimizzando l’entità di una truffa dai contorni giganteschi che tutti nel settore conoscevano. La storia inizia nel 2014, con un gruppo di almeno 140 allevatori che vendono suini destinati alla lavorazione per i prosciutti di Parma e di San Daniele provenienti da razze non riconosciute dal disciplinare come adatte. L’operazione è resa possibile da macelli che “ignorano” l’imbroglio, da istituti di certificazione “distratti” e da prosciuttifici che sostengono di non sapere di stagionare centinaia di migliaia di cosce provenienti da razze non ammesse dal disciplinare.
Quando la procura di Torino conclude le indagini nel gennaio 2017 ed emette gli avvisi di garanzia nei confronti degli allevatori, i Consorzi che dovrebbero controllare la filiera si mostrano sorpresi e si dichiarano vittime. Le responsabilità ricadono anche sui due istituti di certificazione “negligenti” (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni) che non hanno controllato la genetica dei suini. Le accuse contro gli istituti sono molto serie e fanno scattare il commissariamento per sei mesi da parte del ministero delle Politiche agricole, revocato all’inizio del 2019.
La narrazione ufficiale continua con i nomi dei più famosi prosciuttifici italiani che chiedono i danni, anche se la distinzione tra truffatori e truffati non è così netta come qualcuno vuole fasre credere. La verità è che per anni sono state macellate cosce di maiali provenienti da scrofe inseminate con seme di Duroc danese, non adatte a diventare prosciutti Dop, ma troppi hanno fatto finta di non saperlo. Il Duroc danese è un maiale dall’aspetto “gonfio” (come il fisico di un bodybuilder) che cresce in fretta, con poco grasso e una massa muscolare ricca di acqua, inadatta per la lunga stagionatura dei prosciutti Dop.
Le cosce dei prosciutti di Parma e di San Daniele devono provenire da cosce di suini obesi, con una muscolatura più tenace e molto grasso sottocutaneo. Il disciplinare prevede la macellazione dopo almeno nove mesi, quando gli animali arrivano a 160 kg (con un’oscillazione del 10% fra 146 e 176 kg). Ma i maiali di Duroc danese crescono in fretta, già dopo otto mesi pesano troppo, tanto che qualcuno cambiava le date di nascita per farli risultare più vecchi, altri li macellavano quando raggiungevano il limite dei 176 kg, per farli sembrare più grassi e camuffare la scarsa presenza di adipe sottocutaneo.
I prosciuttifici, per bocca del Consorzio di Parma, dicono che era impossibile distinguere le cosce di Duroc danese dal suino italiano pesante. Queste affermazioni destano più di una perplessità, e non tutti sono d’accordo, come abbiamo già scritto. Si vorrebbe fare credere che gli aderenti ai Consorzi, siano stati così distratti da non accorgersi che oltre 1,2 milioni di cosce non erano adatte a diventare prosciutti Dop per via della resa inferiore e per il livello organolettico insufficiente. Difficile pensare che la truffa sia passata inosservata ai veterinari degli enti di certificazione, agli operatori dei macelli, alle aziende di stagionatura e alle grandi marche che vendono al dettaglio.
C’è un ultimo elemento da considerare. La frode secondo la procura di Torino è iniziata nel 2014, ma nessuno si è accorto di nulla per anni. Questo vuol dire che sono stati venduti ai consumatori centinaia di migliaia di finti prosciutti di Parma e di San Daniele a prezzi variabili da 37 a 60 €/kg! Il ragionamento è molto semplice. Se la stagionatura dura 12-13 mesi circa e i sequestri e le smarchiature dei prosciutti nei capannoni di stagionatura decise dalla procura di Torino sono iniziate nel gennaio 2017, significa che una quantità rilevante di cosce è stata venduta nel biennio 2015-2016. In questa storia i perdenti sono i consumatori, i tanti allevatori onesti che hanno sempre usato razze di maiali consentite, i macelli che hanno rifiutato gli animali non adatti a diventare prosciutti Dop, i prosciuttifici che non hanno seguito facili scorciatoie.
Per leggere la prima parte dell’inchiesta su Prosciuttopoli del 16 aprile 2018 clicca qui.
Per leggere la seconda parte pubblicata il 3 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la terza parte pubblicata il 14 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quarta parte pubblicata il 18 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quinta parte pubblicata l’1 giugno 2018 clicca qui.
Per leggere la sesta parte pubblicata il 17 agosto 2018 clicca qui.
Per leggere la settima parte pubblicata il 18 gennaio 2019 clicca qui.
Per leggere l’ottava parte pubblicata l’11 febbraio 2019 clicca qui.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Nell’inchiesta di Report di ieri (Lunedì 20 Maggio 2019), il tecnico esperto in inseminazione ha dichiarato che le prime avvisaglie di incroci risalgono addirittura al 2008
Nella nostra inchiesta abbiamo indicato un periodo diverso . Le nostre fonti sono quelle degli addetti ai lavori non di un singolo tecnico.
Buongiorno Dottor La Pira, lunedì la trasmissione Report ha trasmesso servizio in merito allo scandalo.
Da come mi è parso di aver capito, tracce di questa frode risalgono al 2008 (come riferito dal rappresentante del NAS, ndr) e che sono stati segnalati alla Procura della Repubblica anche gli organismi di controllo. Concordo con Lei quando dice che la notizia non ha avuto molto risalto, come mai?????
Cordiali saluti
Da un anno seguiamo lo scandalo da noi denominato Prosciuttopoli e abbiamo pubblicato già sette articoli. Report l’ha ripresa solo pochi giorni fa. La notizia è stata rilanciata poco, anche un anno fa, perché il mondo agricolo e i Consorzi hanno cercato di minimizzare lo scandalo.
Premesso che il tecnico inseminatore al quale Report ha affidato la narrazione della storia é reo confesso e ha già patteggiato la pena. Quindi a casa mia viene definito “Delinquente” e in quanto tale non degno di molta credibilità. O per lo meno prima di divulgare le sue affermazioni andrebbero verificate. Cosa che Report non fa, altrimenti metà dei servizi non starebbero in piedi.
Non c’è nessun prosciuttaio indagato e tantomeno condannato.
La tesi del reo confesso è che i prosciuttai non solo sapessero ma richiedessero quel tipo di suino. Bene, allora qualcuno può spiegare perché non è stato cambiato il disciplinare per accettare quella genetica per il verro? Qualcuno può spiegare perché ancora oggi non si vuole inserire quella genetica tra quelle ammesse?
La risposta è perché i prosciuttai non la vogliono!!
Almeno fino a quando gli industriali prenderanno il controllo del Consorzio del Prosciutto di Parma queste modifiche non ci saranno.
Cambiare un disciplinare è molto complicato e poi il prosciutto ottenuto con inseminazione di Duroc Danese non è adatto a una stagionatura lunga. e Il prodotto finale non ha le caratteristiche merceologiche e organolettiche di un vero prosciutto Dop.
Perché non diffondere i nomi degli onesti?
Non ci sono nomi di marchi di aziende alimentari che vendono prosciutti nell’inchiesta
Certo siamo un paese strano, a cui piace complicars la vitai con regole fin troppo contorte.
Lungi da me l’idea di giustificare chi ha truffato e imbrogliato le carte.
Nella serata di report è stato spiegato che l’autentico Parma DOP nei secoli scorsi si otteneva da maiali autoctoni di razza nera che impiegano almeno 2 anni per arrivare al peso ottimale, diversamente dalle varietà più “moderne”, Duroc, Landrace e altre che impiegano meno di metà tempo ma che sono state inserite in disciplinare per ovvi vantaggi commerciali. Qualcuno ha deciso di tirare ulteriormente acqua al proprio mulino inserendo il “danese”, vietato, ma qualcuno dei tanti decantati “sommelier del gusto” si è accorto delle scarse qualità organolettiche di questi prosciutti di ultima generazione? I casi sono due: o la differenza tra un DOP originale e un taroccato “danese”è marginale oppure se le differenze sono abissali il consumatore standard capisce gran poco e compra per moda, quindi è meglio si rivolga a un prodotto senza marchio, perlomeno risparmia.
Altra cosa che non sapevo e che trovo “curiosa” è il peso degli animali per la DOP. Sapevo che erano necessari animali da 160 Kg minimo, per avere misure e maturità delle carni adeguate, non sapevo ci fosse un limite massimo di 176 kg. Mi vien da ridere pensare che sarebbe una truffa fare un Parma con maiale da 185 Kg, di razza permessa, dove il maggior peso sarebbe indice, di solito, di maggior qualità della carne e di maggior percentuale di grasso, appunto ricercata nel PARMA.
Curioso che mentre per PARMA e San Daniele vi sia un disciplinare alquanto restrittivo, ma comunque aggirato, per un’altra DOP nostrana come la Bresaola della Valtellina, prodotto da carni bovine, sia permesso l’utilizzo massiccio di carni provenienti dal Sudamerica da animali di origine asiatica, lo Zebù, che poco ha da spartire con le varietà bovine dell’area alpina ed europea dove la Bresaola è prodotta e ha origine
la bresaola che utilizza Zebù infatti non è una DOP ma un’IGP……………..
Mi correggo, come ha giustamente detto Simone, la Bresaola della Valtellina non è una DOP ma una IGP. Per me il concetto non cambia, almeno il 98% di chi la consuma crede sia un prodotto italiano proveniente da carni della zona, cosa che di fatto non è. Tanto varrebbe farla direttamente in Brasile con la formula originale e poi importarla in Italia. Io lo vedo come un inganno al consumatore, per quanto assolutamente legalizzato. Peraltro chi ha avuto modo di assaggiare il salume prodotto da qualche artigiano locale con carni della zona, forse anche con metodi meno industriali, mi garantisce che le differenze organolettiche sono abissali con il prodotto venduto dai supermercati
Secondo me una cosa (negativa e penalmente perseguibile) è fare i prosciutti con carne importata.
All’estero hanno spesso controlli “morbidi” sull’alimentazione e sull’uso degli antibiotici in allevamento.
Altra è usare carne di maiali nati e allevati qui.
Siamo sicuri che la razza sia così importante?
e se lo è come mai NESSUNO tra i consumatori si è accorto del “tarocco”?
evidentemente la qualità del prodotto è rimasta invariata.
Concordo che la furbata c’è stata visto che questa razza ha animali che ingrassano più rapidamente ma se le razze animali da carne sono oramai diffuse in tutto il mondo dobbiamo considerare una truffa il fatto che la bistecca sia di Angus piuttosto che di Chianina o di Hereford?
La questione non è proprio come lei la descrive .La furberia è molto grave e non certo giustificabile. Come dimostra lo scandalo, gli allevatori italiani non sono un buon esempio. C’è di più, le aziende e la filiera molto probabilmente erano a conoscenza delle furberie e i Consorzi anziché vigilare come pure gli Istituti di certificazione hanno preferito chiudere un occhio. Il prosciutto di animali inseminati con Duro danese non è lo stesso a livello qualitativo e questo va detto in modo chiaro, anche se il prezzo rimasto invariato. È una brutta storia di cui nessuno vuole parlare.
Giusto per completezza di informazione: vi risulta che tra gli indagati ci siano veterinari ASL e funzionari di autorità pubbliche di controllo? Dato che frequento il settore per motivi di lavoro, so che i funzionari ASL eseguono parecchie ispezioni nel settore allevamenti, macellazione e carni, e tutte le movimentazioni di capi vengono registrate e comunicate alle ASL. Inoltre i pubblici ufficiali hanno l’obbligo di denuncia se vengono a conoscenza di notizie di reato anche se esulano dall’attività specifica che stanno eseguendo presso un operatore della filiera. Quindi mi sembra strano che anche tra loro nessuno si sia accorto del problema per anni. Grazie per la vostra attività informativa e divulgativa.
Da quanto ci risulta al momento non credo ci siano veterinari indagati. Ma va precisato che al momento sono aperte indagini in altre province visto che la procura di Torino a smistato ad altre procure locali una parte dell’inchiesta sui falsi prosciutti di Parma. Poi non sappiamo nulla della procura di Pordenone che si occupa del Prosciutto di San Daniele. Il procuratore non ha mai diffuso notizie.