Il ministero delle Politiche agricole ha commissariato per sei mesi, a partire dal prossimo 1° maggio 2018, l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni, che svolgono su autorizzazione del ministero le funzioni di controllo sulle filiere di diversi salumi e formaggi Dop e Igp, tra cui il Prosciutto di Parma e quello San Daniele. Il commissariamento, disposto dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero, nasce da una maxi-frode scoperta dopo un anno di indagini coordinate dalla Procura di Torino. L’autorità giudiziaria lo scorso gennaio ha disposto il sequestro di migliaia di cosce di maiale della razza Duroc danese, destinate a finire illegalmente nel circuito del prosciutto Parma-San Daniele.
Il disciplinare infatti consente solo l’impiego di cosce di Duroc italiano. Gli allevatori coinvolti sono stati centinaia tra Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, e costituiscono la stragrande maggioranza dei produttori del circuito dei prosciutti Dop. “… per ripartire con la produzione le aziende hanno ammesso di aver partecipato alla frode”, ha spiegato a Repubblica uno degli avvocati degli allevatori, Tom Servetto, secondo il quale “era il mercato che imponeva agli imprenditori di allevare il Duroc danese. Il prodotto era più apprezzato: carne più magra e meno scarto. Veniva pagato meglio. Tutti sapevano tutto, ma ora a pagare sono soltanto loro”.
Tutta questa vicenda è iniziata con l’importazione di maiali maschi Duroc dalla Danimarca per l’inseminazione. Gli allevatori sanno che il seme del Duroc danese è più redditizio rispetto a quello del Duroc italiano, perché genera animali più prestanti, che crescono rapidamente e con meno mangime. Inizialmente i Duroc danesi e quelli italiani venivano allevati separatamente, poi i circuiti si sono mischiati. I disciplinari approvati per il prosciutto di Parma, San Daniele e per il crudo di Cuneo, però, richiedono che l’inseminazione sia fatta dal Duroc italiano, che ha una maggior quantità di grasso, che consente di stagionare le cosce per molti mesi utilizzando come conservante solamente il sale. Per questo sono scattate le denunce per associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio, falso, contraffazione dei marchi e truffa ai danni dell’Unione europea. Oltre all’inchiesta di Torino, un’altra è in corso a Pordenone.
Oltre agli allevatori, nel mirino sono finiti anche i due enti certificatori, destinatari dei provvedimenti del ministero delle Politiche agricole: l’Istituto Parma Qualità, al quale sono affidate le funzioni di controllo per quattro produzioni Dop (Prosciutto di Parma, Prosciutto di Modena, Culatello di Zibello e Salame di Varzi), e l’Ifcq Certificazioni, titolare delle funzioni di controllo per numerose produzioni Dop e Igp (Prosciutto di San Daniele Dop; Prosciutto Veneto Berico Euganeo Dop; Cinta Senese Dop; Stelvio Dop; Fiore Sardo Dop; Speck Alto Adige Igp; Agnello di Sardegna Igp; Kiwi Latina Igp; Pecorino Romano Dop; Pecorino sardo Dop; Valle d’Aosta Jambon de Bosses Dop; Valle d’Aosta Lard D’Arnard Dop; Prosciutto Toscano Dop; Prosciutto di Carpegna Dop; Salamini italiani alla cacciatora Dop; Salame Brianza Dop; Prosciutto di Sauris Igp; Mortadella Bologna Igp; Cotechino Modena Igp; Zampone Modena Igp; Salame Cremona Igp; Finocchiona Igp; Pitina).
Durante i sei mesi di commissariamento, l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni opereranno sotto la vigilanza dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) e dovranno porre in atto diverse misure correttive, tra cui la “rigorosa applicazione dei piani di controllo”, anche attraverso “la verifica del tipo genetico dei verri (suini maschi non castrati, n.d.r.) attraverso verifica dell’auricolare, con ispezione per visione diretta dei box ove sono detenuti gli animali ed incrocio della relativa documentazione”.
Nel periodo del commissariamento, l’Istituto Parma Qualità e l’Ifcq Certificazioni saranno tenuti a comunicare al ministero “con cadenza quindicinale, il programma di visite ispettive ed a trasmettere tutti i rapporti di verifica ispettiva, il programma di campionamento e i relativi verbali”. Oltre a ciò, gli Istituti saranno sottoposti a visite ispettive e affiancamenti, anche senza preavviso, per verificare la corretta realizzazione delle misure correttive previste nei provvedimenti.Il ministero delle Politiche agricole ha deciso di sospendere per sei mesi le autorizzazioni anziché revocare del tutto l’incarico, perché dalle dichiarazioni rese è emersa l’intenzione degli enti “di rimuovere le cause che hanno dato luogo all’avvio del procedimento…, di ripristinare un corretto funzionamento di ruoli e responsabilità nell’ambito dell’organigramma, di espletare le funzioni di controllo autorizzate in modo efficace, corretto e affidabile”.
In realtà sarebbe stato difficile per il ministero revocare il mandato, perché si tratta degli unici enti incaricati di certificare la qualità delle eccellenze italiane in materia di salumi, anche se la gravità delle accuse forse meritava maggiore severità. Pur non essendoci aspetti di natura sanitaria o danni a carico del consumatore, quando si parla di prodotti Dop il mancato rispetto delle regole dei consorzi resta una questione grave. Le sanzioni economiche per i soggetti implicati sono state molto salate, e anche a livello organizzativo ci sono stati grossi cambiamenti. I due enti hanno cambiato gli organi direttivi e “hanno deciso di modificare condotte a attività non conformi ai principi di imparzialità e assenza di conflitto di interessi”. Forse però a questo punto va fatta anche una riflessione sulla possibilità di modificare il regolamento dei consorzi, e assimilare tra le razze di maiali “autorizzate” anche le cosce di animali di Duroc danese.
Per leggere la seconda parte dell’inchiesta pubblicata il 3 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la terza parte dell’inchiesta pubblicata il 14 maggio 2018 clicca qui.
Per leggere la quarta parte dell’inchiesta pubblicata il 18 maggio 2018 clicca qui.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Anche se l’ambito produttivo è diverso, questa vicenda conferma quanto scrissi nel post “La qualità (e la serietà) non te la dà un timbro sulla carta intestata”
Vedi: https://paoblog.net/2012/05/17/lavoro-29/
Quando c’è l’associazione di produttori, certificatori ed in questo caso ritengo anche dei veterinari che non potevano non sapere, la truffa non la può contrastare nessuno visto che erano tutti coinvolti.
Naturalmente è un classico autogool sulla credibilità del marchio e dei marchi coinvolti, che se hanno avuto qualche vantaggio, si sono auto squalificata la reputazione. Bel colpo!
Potevano chiedere tutti d’accordo una modifica al disciplinare, come giustamente conclude e suggerisce Bonardi.
Lo faranno ora, ma la frittata è fatta.
Non si deve modificare un disciplinare perché il sistema non ha correttamente lavorato. Come a dire che molti siano ladri, a questo punto rubare non è un reato.. Bah
Bello schifo! Ora capisco dove andavano le decine di camion che passavano in autostrada con centinaia di maiali dal nord Europa.. vergognatevi produttori italiani… speculare sulla qualità di ciò che rappresenta il fiore all’occhiello della tradizione italiana e tradire i sacrifici dei vostri stessi padri… Per non parlare della salute! Vorrei vedere la genetica e l’alimentazione dei maiali importati/incrociati per capire quale impatto avrà sulla salute dei consumatori… che sono anche i vostri stessi figli!
Anche voi siete caduti nel baratro del profitto a tutti i costi. Qualunque multa, non sarà mai abbastanza quando si parla di salute, qualità, tradizioni e cultura!
I maiali in questione sono nati e allevati in italia. L unica non conformità è il padre
I camion che vedi in autostrada carichi di maiali provenienti dal Nord finiscono sulle nostre tavole sotto varie forme, non necessariamente prosciutti. L’Italia produce si e no il 50%del proprio fabbisogno di carne suina, il resto è importato dal Nord Europa, Germania in primis. Se leggi l’etichetta della carne che compri è indicato dove l’animale è nato e dove è stato allevato. Non è sempre detto che un animale allevato in Germania sia allevato meno bene che in Italia, potrebbe essere anche il contrario, dipende da chi alleva.
Pienamente d’accordo!E noi consumatori ignari!Un grazie di cuore a chi ci ha aperto gli occhi informandoci!
Giampaolo , l’articolo non parla dei maiali importati , stiamo parlando di maiali nati e vissuti e allevati in Italia che vengono inseminati con un seme di verro Duroc Danese.
Buongiorno, l’ultima frase dell’articolo secondo me è contraddittoria. Ma che ragionamenti sono? Seguendo il suo ragionamento, si potrebbe legalizzare la contraffazione, complessivamente parlando, perché tanto il fatturato ha raggiunto i 6,9 mld di € (Il giornale delle PMI)!!!!
Considerando poi il fatto che nell’articolo i motivi della scelta delle razze suine sono ben elencati: utilizzando razze estere, in particolare nord-europee, non avremmo più cosce adeguate per la stagionatura del crudo, penalizzando oltretutto il mercato interno a causa dei costi più elevati.
Il problema va affrontato con ogni mezzo possibile: dai corsi per gli allevatori fino ad arrivare a interventi a pugno duro, come la chiusura dell’allevamento per un periodo: così vediamo se l’allevatore fa ancora il furbo per riempire le proprie tasche!!!!!!
Grazie, Riccardo
L’ultimo capoverso è opinabile. Perché proporre una modifica ai disciplinari così da ammettere alcuni tipi genetici ora vietati significa fare una sanatoria. Una amnistia all’italiana. Il sistema di certificazione è volontario e non cogente. Chi vuole uscirne lo può fare così da produrre solo salumi generici. Il tipo genetico duroc irlandese assicura tempi di accrescimento più rapidi e maggiore massa magra nelle cosce. Tutto bello, tutto ok. Però se il disciplinare, ovvero la formula scritta di quanto prevede la storia e il patrimonio culturale e gastronomico della DOP, non lo consente non può essere ammesso. Punto. Non è il mercato che chiede il tipo genetico irregolare. È chi perpetra le frodi a danno dei produttori onesti. E del consumatore.
Che il regolamento si possa modificare può anche essere, ma ammettere il Duroc Danese è una benemerita martellata sulle dita.
Il disciplinare non va cambiato, va rispettato… Tutti questi disonesti vanno puniti e radiati. La colpa è anche di quei consumatori che vogliono il prosciutto crudo senza grasso…
Quello che mi sorprende è l’esagerata indignazione di molti commenti che leggo. A parte il non rispetto delle norme che va sanzionato mi sorprende l’alzata di scudi di alcuni per l’utilizzo di verri danesi anzichè italiani. Quello che conta, per me, è la qualità. Se questa è mantenuta con allevamento e alimentazione adeguata e con suini allevati in Italia, con tempi di stagionatura naturali senza artifici per accelerare i tempi, non vedo dove sta il problema. Altra cosa se per fare reddito si ricorre a cosce acquistate all’estero con metodi di allevamento non sempre tracciabili.
Restando nello stesso ambito, nessuno che si indigni per la produzione di Bresaola della Valtellina, che rispettando il disciplinare, è prodotta in gran parte con carne di zebù importato dal Brasile?
La tracciabilità è un obbligo per tutti i suini nazionali e esteri
Fatemi capire, vuol dire che il prosciutto che compro abitualmente conservato solo con il sale in realtà contiene altri conservanti? Grazie
No l’articolo dice un’altra cosa , il problema riguarda il tipo di inseminazione che viene fatta con il seme di verro Duroc Danese che secondo molti salumifici permette di ottenere un prosciutto migliore, non stiamo parlando di lavorazione e conservazione e i conservanti non ci sono nei prosciutti Dop
La cappa di silenzio sul commissariamento dei due organismi ha dell’incredibile: nonostante la notizia sia esplosiva (scoperte irregolarità sulle due maggiori DOP italiane dei salumi) ne hanno parlato solo Il fatto alimentare e Il salvagente.
Paura di perdere inserzionisti? Amor di patria? Totale assenza di comunicati sull’argomento da parte dell’ineffabile Coldiretti, bibbia apocrifa dei giornalisti italiani quando devon scrivere di agricoltura?
Sono una Vostra abbonata e vorrei avere delle delucidazioni,se possibile, riguardo l’articolo. Nel testo si spiega che
“Gli allevatori sanno che il seme del Duroc danese è più redditizio rispetto a quello del Duroc italiano, perché genera animali più prestanti, che crescono rapidamente e con meno mangime. I disciplinari approvati per il prosciutto di Parma, San Daniele e per il crudo di Cuneo, però, richiedono che l’inseminazione sia fatta dal Duroc italiano, che ha una maggior quantità di grasso, che consente di stagionare le cosce per molti mesi utilizzando come conservante solamente il sale. Pur non essendoci aspetti di natura sanitaria o danni a carico del consumatore, quando si parla di prodotti Dop il mancato rispetto delle regole dei consorzi resta una questione grave. Forse però a questo punto va fatta anche una riflessione sulla possibilità di modificare il regolamento dei consorzi, e assimilare tra le razze di maiali “autorizzate” anche le cosce di animali di Duroc danese.”
Il prodotto venduto conteneva soltanto sale o anche altri conservanti?
Cosa porta a dire che dovrebbe essere rivisto il regolamento includendo anche il Duroc danese? Cosa distinguerebbe quindi un Dop italiano da un altro prosciutto danese prodotto con lo stesso tipo di razza suina?
Questione spinosa la sua, che coinvolge ed interessa molte altre categorie di prodotti realizzati con materie prime importate, ma che con la lavorazione italiana si vestono di tricolore con pieno diritto legale, ma con il dubbio/inganno originale.
Questo della Duroc danese è forse un problema minore rispetto ad altri casi più eclatanti in corso di revisione, in quanto trattasi di inseminazione per incrociare le razze, quindi non carni importate come in altri casi, di cui il più emblematico ed anomalo è sicuramente quello della bresaola della Valtellina.
Il mio parere di consumatore che vuole essere informato per scegliere, la cosa più importante ed onesta che ogni produttore deve rispettare è la trasparenza, con la dichiarazione in etichetta dell’origine delle materie prime impiegate.
La ricerca della miglior qualità possibile è legittima ed auspicabile, se non inganna il consumatore facendo credere un’origine non vera oppure nascosta.
Probabilmente non ci sarebbe stata questa frode se migliaia di clienti non chiedessero ai salumieri il prosciutto “magro mi raccomando, e senza grasso intorno”. In questo modo si rovina il mercato perché fanno anche salire i prezzi. Come mi diceva giustamente un amico salumiere, il grasso tagliato via loro lo pagano ma il cliente no…e quindi il prezzo deve salire anche per quelli che il grasso lo mangiano.
Questi prosciutti non sono cattivi, evidentemente. Basterebbe chiamarli in un altro modo. Ma evidentemente commercializzarli con i marchi di prestigio aumenta per i produttori i profitti. Per me è giusto che vengano puniti.
Esatto , ma il business è proprio quello di vendere un prosciutto Dop a caro prezzo ottenuto con prosciutti cresciuti in fretta. La sensazione è che la questione era ben nota agli addetti ai lavori e che ognuno abbia tratto dei benefici
Come al solito parla chi non conosce: siamo in Italia. Non è con quattro post che si può spiegare una DOP o una GIP. Informatevi alla fonte andando a leggere i disciplinari di produzione. E poi se vi rimangono dubbi chiedete agli addetti alla vigilanza , senza paragoni con altri stati membri, per non parlare degli extracomunitari CE.
L’articolo non è sulle Dop ma sulle truffe
Non entro nel merito, perché ci sono indagini in corso: ripeto leggiamo i disciplinari di produzione e poi parliamone. Avrei una domanda per te Roberto: cosa intendi per truffa alimentare? A presto.
Un signore che ti vende un prodotto per un altro