Aumentare la disponibilità di piatti vegetariani a scapito di quelli di carne induce chi mangia in mensa a dare più spazio ai primi, senza che questo abbia effetti negativi sulle vendite. E non c’è un effetto rebound, cioè chi consuma più verdura a pranzo non compensa con maggiore quantità di carne durante la cena. Lo dimostra uno studio condotto nel campus universitario di Cambridge (Boston) dai nutrizionisti ed esperti di salute pubblica, che hanno pubblicato su PNAS il risultato dell’analisi di oltre 94 mila scontrini di pasti raccolti in un anno.
Per capire che tipo di effetto potesse avere la sostituzione dei piatti di carne, gli autori hanno coinvolto tre caffetterie dove gli studenti possono mangiare a pranzo e a cena. Due hanno semplicemente raddoppiato il numero medio di offerte vegetariane (dal 25% al 50% dei piatti). Nella terza, invece, è stato condotto un altro esperimento: il menu del pranzo alternava due settimane con una sola opzione a base vegetale ad altre due raddoppiando i piatti vegetariani. Secondo i ricercatori far crescere la presenza di pietanze vegetariane o vegane fa crollare il consumo di carne tra il 41 e il 79%, soprattutto tra le persone che consumavano maggiori quantitativi di carne o pesce.
In particolare, al raddoppio dell’offerta di piatti vegetariani è corrisposto un aumento delle vendite del 14,9 e 14,5% nei primi due ristoranti , e del 7,8% nel terzo. Si tratta di un incremento del consumo di pasti vegetali rispettivamente del 61,8, 78,8% e del 40,8%. L’aspetto importante è che le vendite complesive non hanno risentito di queste variazioni.
Lo studio è particolarmente importante perché è stato condotto in condizioni reali chiedendo ai clienti di usare una carta universitaria ricaricata con credito, in modo da registrare le scelte in modo anonimo) e non in situazioni costruite ad hoc. Si dimostra così che modifiche semplici possono avere effetti significativi. Inoltre ci sono state altre conseguenze. Pochi giorni fa l’università ha reso pubblici alcuni numeri: grazie alla riduzione dell’offerta di carne di agnello e manzo (le peggiori, dal punto di vista dell’impronta ambientale), il quantitativo di emissioni per chilogrammo di cibo è stata abbattuto del 33% e quello di terreno consumato (sempre per chilo) è calato del 28%.
Gli allevamenti intensivi (compresi quelli che servono per fornire le uova e latte e latticini) e le acquacolture sono responsabili, nel loro insieme, del 58% delle emissioni globali associate al cibo, dell’83% del consumo di suolo, anche se forniscono solo il 18% delle calorie consumate. Ridurre il consumo di carne è il modo più efficace per abbassare l’impronta del cibo sul clima. Per farlo, la modifica dei menu potrebbe rivelarsi uno strumento più utile del previsti. Al contrario delle campagne che hanno una scarsa efficacia, e della tassazione specifica, che è impopolare, questo approccio convince i consumatori a modificare le proprie abitudini in modo non coercitivo e senza che ve ne sia la percezione. E da oggi si può dire che funziona.
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Giornalista scientifica
Mi sembra che le conclusioni dello studio siano comprensibili anche solo secondo logica. Infatti, se penso a me, è chiaro che più offerte di un certo tipo trovo, maggiore è la possibilità che vi trovi alimenti a me graditi. Per dire, io non gradisco talune verdure e talune carni. Se nella pausa pranzo trovo solo verdure che non gradisco, e carni si, prendo la carne, ma se trovo vegetali che gradisco, aumenta la possibilità che li scelga.
Certo, al contrario di molti fortunati, per me l’inverno è “drammatico”, perché quei vegetali di stagione che voi santificate per la loro bontà e contenuti, li odio: mi riferisco ai cavoli… Fortuna che almeno i radicchi mi piacciono.
Comunque, concludendo, avendo più piatti vegetali a disposizione è chiaro che aumenta la probabilità di sceglierli. Non sarà un caso se per dire la cucina vegana, dovendo sopperire ad una carenza di gusto, lavora molto sulla preparazione dei piatti.
Secondo i ricercatori far crescere la presenza di pietanze vegetariane o vegane fa crollare il consumo di carne dal 41 al 79%.
Non mi è chiaro, forse sono invertite le percentuali.
Le percentuali non sono invertite. Nello studio condotto dai ricercatori il consumo di carne scende di una percentuale compresa tra il 41% e il 79%. Abbiamo modificato la frase per renderla più chiara.
Non mi trovano in linea questi scenziati che fanno questo tipo di esperimento. Poi in America ! Ma, come si fa a credere a queste cose. Come dire che esiste la befana. È evidente che sono esperimenti pilitati. Io che non sono vegano, certo la verdura la mangio volentieri, ma tutti i giorni !! Non capisco perchè si criminalizza sempre la carne. Mah! Ogni tanto una bella bistecca, e un buon nicchiere di vino. volete mettere ? Saluti
E se la sostituzione carne/verdura fosse del 100% il calo del consumo di carne sarebbe totale, esperimento molto chiarificatore.
Mi pare più verisimile ritenere che una maggiore varietà di offerta abbia indotto la scelta di piatti differenti ogni giorno, rompendo la monotonia, tutti sappiamo che le mense ripetono in continuazione le stesse preparazioni a basso costo, estremizzando: a nessuno piace mangiare hamburger 365/365 ma se in mensa la scelta è solo tra tipi differenti di hamburger o mangi o salti.