Risiedere nella cosiddetta Area Rossa, tra le province di Vicenza, Verona e Padova, in Veneto, tra il 1980 e il 2018 (ma probabilmente fino a oggi), ha significato essere involontariamente esposti a un rischio di morte, di malattie cardiovascolari e di almeno due tipi di tumore più alto rispetto alla media nazionale. In quella zona (che comprende una trentina di comuni e una popolazione di circa 150.000 abitanti), a partire dagli anni ottanta, c’è stata una massiccia dispersione da PFAS nelle acque, con un evento particolarmente grave nel 2013. Il risultato è stato che tutte le acque, da quelle più superficiali fino a quelle di falda, sono state inquinate, al punto che anche l’acqua potabile era contaminata. E chi ha vissuto nell’Area, bevendo tutti i giorni acqua con PFAS, e assorbendo gli PFAS contenuti nell’acqua anche in altri modi, è stato vittima di un avvelenamento silenzioso.
Gli PFAS e l’aumento del rischio
Com’è noto, gli PFAS, sostanze perfluoroalchiliche, sono (circa 15.000) praticamente ubiquitarie perché conferiscono proprietà idro- e oleo-repellenti. Negli ultimi anni sono stati associati a un aumento di rischio di numerose malattie, da quelle endocrine a quelle cardio- e cerebrovascolari fino allo sviluppo dei bambini. Nel 2023 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS di Lione (IARC) ne ha dichiarati alcuni cancerogeni certi per l’uomo, con effetti meno certi, ma più che probabili per quanto riguarda i tumori dei reni e quelli dei testicoli.
Gli effetti sulla salute sono visibili già a basse concentrazioni, e arrivano fino alla mortalità, che risulta aumentata. Ma quando, come in questo caso, vi sono contaminazioni con livelli molto elevati, il danno è pressoché certo, e può essere rilevante. Per questo i ricercatori dell’Università di Padova, guidati da Annibale Biggeri, hanno voluto verificare se, dopo quanto accaduto nell’Area Rossa, l’effetto fosse quantificabile dal punto di vista statistico, e hanno così dimostrato, per la prima volta, l’esistenza di un nesso causale tra la contaminazione da PFAS e alcune anomalie statistiche negli indici di salute e in quelli di mortalità.
Lo studio dei ricercatori padovani
Per capire se l’esposizione agli PFAS si fosse tradotta o meno in effetti misurabili, i ricercatori si sono serviti dei dati ufficiali del Registro Tumori dell’Emilia Romagna e del Servizio statistico dell’Istituto Superiore di Sanità, e si sono avvalsi anche della collaborazione del gruppo Mamme No PFAS, da anni attivissimo nel denunciare i problemi associati alle acque contaminate. In particolare, hanno analizzato i dati del periodo compreso tra il 1980 e il 2018, durante il quale ci sono stati circa 29.600 decessi tra gli uomini, e 29.500 tra le donne (qui lo studio).
Presumendo che la contaminazione sia iniziata nel 1985, e sia durata almeno 34 anni (il 2018 è l’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, anche se è probabile che nel frattempo la situazione non sia cambiata molto), i decessi sono stati poco più di 51.600, contro i 47.700 attesi in base a quanto si è visto nelle zone limitrofe non interessate dalla contaminazione.
In altri termini, ci sono stati almeno 3.800 decessi in più, pari a uno ogni tre gironi, attribuibili agli PFAS. In particolare, si è avuto un aumento delle malattie cardiovascolari quali gli infarti, e dei tumori più strettamente associati agli PFAS, e cioè quelli dei reni e quelli dei testicoli. Inoltre, è emerso un aumento del rischio di insorgenza di malattie tumorali al diminuire dell’età: i bambini sono stati le prime vittime, mentre le donne in età fertile, un po’ a sorpresa, sono risultate più protette, forse perché trasferiscono gli PFAS al feto e ne hanno quindi di meno, nel proprio organismo.
Lo studio di coorte e le Mamme No PFAS
Le Mamme No PFAS, anche grazie a questo lavoro, sono tornate a chiedere uno studio di coorte approvato dalla Regione nel 2016, ma mai partito. Questo tipo di ricerca potrebbe fornire informazioni che l’attuale Piano di Sorveglianza non può dare, relative, per esempio, agli effetti a lungo termine e all’identificazione dei singoli fattori di rischio, e servirebbe per definire politiche di salute pubblica più incisive di quelle attuali.
Oggi tutti gli acquedotti della zona rossa hanno da filtri anti-Pfas che, però, hanno una sensibilità che arriva a 5 nanogrammi per litro, e potrebbero quindi lasciar sfuggire parte degli PFAS. Inoltre, non tutti gli abitanti sono allacciati agli acquedotti, perché chi vive nelle zone rurali spesso sfrutta l’acqua dei suoi pozzi. E sui terreni non è attiva alcuna bonifica, mentre sarebbero tutti da decontaminare.
Tra l’altro, le Mamme No PFAS denunciano una maggiore incidenza anche di patologie diverse da quelle analizzate nello studio quali, per esempio, quelle della tiroide, i deficit dell’attenzione dei bambini, i parti prematuri, fino agli aborti spontanei. E non hanno dubbi sulla direzione da prendere: “Sosteniamo con forza” scrivono sul sito “la necessità di bandire la produzione e l’utilizzo delle PFAS, come intera classe di sostanze, a livello globale”.
© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista scientifica
penso che i filtri servano solo gli acquedotti ad uso umano. Le uova, le mele, il latte, la carne, i formaggi, il mais… sono sicuri? Oppure meglio controllare bene le etichette quando si fa la spesa?
La cosa migliore è fare la spesa ai mercati cittadini e rionali e chiedere ai produttori da dove proviene la merce. Non vi è ad oggi garanzia Istituzionale. L unica garanzia è il rapporto con il produttore
Chissà se faranno gli stessi studi nella zona di Alessandria dove da anni c’è lo stesso problema con la Solvay, ma le Istituzioni tacciono. Forse perchè come a Taranto l’Azienda da lavoro a chi abita in zona?
Che cosa è meglio? Avere un posto di lavoro o morire prematuramente per l’inquinamento che viene prodotto? Ai Posteri l’ardua sentenza!!!
Visto che Milano vuole essere una delle città a rischio, vorrei sapere come è la situazione e come possiamo difenderci
Chieda al gestore delle acque che le fornisca le analisi della sua condotta acquedottistica.
Buongiorno a Voi,
scrivo spinta dal malcelato desiderio di condannare politici e amministratori. E spero non me ne vogliate.
Come si legge nell’articolo, già nel 2013 l’ARPAV aveva segnalato il grave inquinamento da PFAS, così come altre associazioni, tra cui Medici per l’ambiente. Nel 2016 io stessa raccolsi 400 e più firme su change.org che spedii a politici, amministratori del Veneto e onorevoli parlamentari, i quali ignorarono completamente la mia/nostra richiesta di attenzione. Ora gli stessi politici e amministratori hanno tagliato il nastro tricolore, inaugurando il depuratore che dovrebbe “ripulire” l’acqua potabile inquinata. Ci sono voluti anni e anni perché “lor signori” prendessero in mano la situazione ormai insostenibile. Già! Non si toccano gli imprenditori che danno lavoro alle persone. Poi se queste si ammalano, sarà un problema loro e della sanità pubblica. Ora sotto attacco c’è il territorio che sta subendo una cementificazione senza pari. Credete che chi ci governa ne abbia la consapevolezza? C’è da perdere anche quel briciolo di fiducia che restava.
Cordiali saluti,
Lucia Ballarin
… e intanto sono convocati gli ‘stati generali’ (?) per la natalità! Il Moloch moderno è l’economia ingorda spietatamente cinica.
Interessantissimo articolo. L’ho inoltrato ad una mia Mailing List di ambientalisti che ho chiamato “Capitalismo assassino” …
E’ possibile conoscere la situazione nella zona di Bergamo Brescia Val Camonica e provincia? Grazie
Gentile Agnese,
articolo esauriente e chiaro. Penso, come fate di solito, sarebbe opportuno mettere il link al documento, anche se in inglese.
Comunque da anni io ho cercato di interpolare i dati della crescita dei nuovi tumori anche nella zona della monocoltura del prosecco DOCG Conegliano-Valdobbiadene, ma la risposta della ULSS prevenzione è sempre stata che i dati standardizzati erano nella media veneta anche se purtroppo attorno a noi crescono tumori e spariscono ogni anno sempre più uccelli e insetti.
Ci vorrebbe un Biggeri anche per i pesticidi di sintesi interferenti endocrini sparsi a migliaia di tonnellate ogni anno. E lo saranno sempre più col caos climatico che fa piovere in zona praticamente tutti i giorni.
Cari saluti
Gianluigi Salvador
PAN Italia (pesticides action network)
t 0438.894072
PS: pensiamo, dopo le elezioni europee, di fare un convegno in zona colline prosecco su PFAS e pesticidi di sintesi, perchè oramai i PFAS si trovano nelle falde della zona colline UNESCO prosecco (ISPRA). Infatti sono emessi dalle industrie locali ma sono anche contenute nei pesticidi attraverso il processo di produzione, come anche le diossine di cui ancora nessuno parla.
Gentilissimo, abbiamo inserito il link allo studio nel testo. Eccolo anche qui: https://ehjournal.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12940-024-01074-2
Buona descrizione temporale e puntuale nella descrizione delle cause patologiche provocate dall’assunzione delle maledette sostanze le PFAS.
Parte civile nel processo per Medicina Democratica Onlus.