La peste suina nei giorni scorsi è arrivata in Lombardia e ha colpito alcuni allevamenti, ma l’allerta è stata data con un certo ritardo e questo ha complicato la situazione sia per questioni logistiche sia per quanto riguarda la tempestività degli interventi. Abbiamo chiesto a Marco Farioli dirigente veterinario della Regione Lombardia che sta coordinando in prima persona le operazioni qual è la situazione. “In Lombardia ci sono circa 6.000 allevamenti e per il momento la peste suina ha coinvolto solo 4 strutture in provincia di Pavia. Si tratta di un’area che fortunatamente non ha la stessa densità zootecnica suina della Pianura Padana. Sono state messe in campo tutte le azioni necessarie ad arginare il problema, mutuando, pur con le dovute differenze, l’esperienza maturata nella gestione delle epidemie di influenza aviaria. Il percorso non è sicuramente in discesa, oltre alla gestione dei focolai vi è anche il problema relativo al rintraccio delle carni derivanti da un focolaio che, per negligenza gravissima dell’allevatore, sono state immesse sul mercato. Va però ricordato che il problema non riguarda l’uomo perché la peste non si trasmette agli umani né attraverso gli animali, né attraverso il consumo della carne. Il rintraccio delle carni è una misura preventiva per evitare la diffusione della malattia”
“L’altra questione importante – prosegue Farioli – è il danno economico derivante dalla limitazioni commerciali, con particolar riferimento all’export, che diventerebbe enorme qualora la peste dovesse diffondersi nella Pianura Padana dove è concentrato l’80% del patrimonio suinicolo regionale che, ricordiamo rappresenta il 50% circa di quello nazionale”. Negli allevamenti colpiti dalla infezione tutti i capi devono essere abbattuti, come si fa per l’influenza aviaria; c’è inoltre un’area di rispetto di circa 10 chilometri intorno ai focolai nella quale i movimenti degli animali sono molto controllati e limitati. In tutti gli allevamenti suini sono inoltre obbligatori sistemi di biosicurezza per evitare il contatto fra maiali e cinghiali. L’ingresso della malattia però può avvenire anche per via indiretta attraverso automezzi e persone; il fattore umano gioca un ruolo molto importante non solo per l’ingresso del virus negli allevamenti ma anche per la diffusione nel territorio, a dimostrazione è la comparsa di focolai in Regioni diverse e distanti come Liguria, Lombardia, Lazio, Calabria e Campania. Diciamo pure che esiste una peste suina ‘silvestre’ che interessa i cinghiali selvatici e una ‘domestica’ che interessa gli allevamenti suini, tra loro collegate, anche se non necessariamente in modo diretto.
Sul tema è intervenuto anche il presidente di Assosuini Elio Martinelli seriamente preoccupato per la commercializzazione dei prodotti. Le esportazioni di carni suine e salumi nel mondo hanno raggiunto nel 2022 quasi tre miliardi di euro. “Se il virus della peste entra negli allevamenti lombardi ed emiliani, dove si concentra la maggior parte delle produzioni italiane, rischiamo di dovere abbattere decine di milioni di capi, e possiamo dire addio all’export per parecchio tempo”. Insomma, oltre agli ingenti danni economici, da cui molti allevatori potrebbero non riprendersi più, rischieremmo di restare esclusi dai commerci internazionali per un numero imprecisato di anni. Un’intera filiera di ‘eccellenze’, come piace ripetere ad alcuni fan della ‘sovranità alimentare’.
Il bollettino epidemiologico nazionale alla data del 1 settembre notifica 5 focolai negli allevamenti di suini domestici in provincia di Pavia.
PIANO_STRAORDINARIO_2023_2028.pdf1.56 MB
(Testo all’esame della Conferenza Stato-Regioni)
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Mi vengono i brividi a leggere con quanta superficialità si parla di VITE con destino segnato, solo perché la tradizione e gli interessi economici vengono prima. Io spero in un cambiamento culturale ed etico che vada nella direzione della civiltà. Inoltre che gli insaccati non siano indicati per la nostra salute è palese e noto da decenni. Ma è più importante salvaguardare il patrimonio zootecnico piuttosto che decidere di cambiare direzione.
Perfettamente d’accordo con lei! La Pianura Padana è avvelenata da tutti questi allevamenti intensivi ma si parla sempre e solo di “eccellenze del made in italy”…..soffocano in un’aria appestata di inquinanti, falde acquifere contaminate…..ma per favore continuiamo a produrre carne a ritmi industriali da vendere a più gente possibile. Spero che questa Crisi sanitaria mandi all’aria un sistema completamente sbagliato e tenuto in piedi solo per logiche lobbystiche!!!
Sì.
Aggiungo che questa regione è tra i responsabili dell’eutrofizzazione dell’Adriatico.
E mi spiace che l’Emilia R., che hai tempi protestò minacciando il passaggio a vie legali nei confronti della Lombardia, non diede seguito all’azione giudiziaria. Che probabilmente avrebbe coinvolto anche la città di Milano. La grande metropoli … che, notoriamente, ha iniziato a depurare le proprie acque di scarico (e non completamente) da una dozzina d’anni, e ha usato il Po come fogna.
Comunque, a me piacerebbe sapere cosa ha concretamente fatto la Regione Lombardia per informare e disincentivare il commercio o anche solo il trasporto delle carni infette, in considerazione del fatto che i focolai erano ampiamente previsti.
Aggiungo che la posizione di AssoSuini sugli aspetti economici della vicenda mi interessano relativamente; mentre le battute di caccia che hanno scompigliato e disperso i branchi di cinghiali infetti sul territorio che sembrano per gli esperti all’origine del dilagare dell’epidemia m’interessano molto di più … sono state vietate?
AssoSuini, in questi anni di lenta diffusione del problema, ha sollecitato gli enti responsabili di decisioni avventate come questa? Oppure per compiacenza ha sorvolato e “piange sul latte versato (e che si verserà)”?
Mi risulta inoltre che sui sentieri di boschi e colline molti viandanti/passeggiatori/turisti con cane al seguito li lascino – nonostante i divieti ordinari e, ancor più cogenti quando in aree protette: non c’è rischio d’infezione e di aumento della diffusione del virus?