Da quando 20 mesi fa la peste suina africana è arrivata in Italia sono state trovate e rimosse oltre mille carcasse di cinghiali morti. Non solo: sono stati registrati 21 focolai negli allevamenti di maiali situati in sei regioni (Piemonte, Liguria, Campania, Lazio, Calabria e Lombardia). In questi giorni all’elenco si è aggiunta la Sardegna. L’epidemia ha reso necessaria nell’ultimo mese l’abbattimento di 40 mila animali.
A questo punto è lecito aspettarsi ripercussioni negative sulle esportazioni di salumi italiani in Europa e nel mondo. Infatti sono molti i Paesi che porranno l’embargo ai prodotti Made in Italy. Il danno economico è difficile da calcolare, ma non sembra che il Consorzio del prosciutto di Parma abbia valutato il problema con la dovuta attenzione, che rappresenta uno dei prodotti destinati ad essere colpiti dall’embargo. Detto ciò è lecito chiedersi cosa abbia fatto in questi venti mesi il Consorzio del prosciutto di Parma per contrastare l’epidemia.
Cosa dice il Consorzio?
Il Consorzio in una nota arrivata in redazione precisa che ha inviato da subito un appello alle autorità ministeriali per prendere “i dovuti provvedimenti per limitare il diffondersi della malattia”. Di fronte a un’epidemia che ha colpito in modo devastante il settore e destinata ad allargarsi a macchia d’olio, il Consorzio ha mandato un appello alle autorità “affinché prendessero i dovuti provvedimenti per limitare il diffondersi della malattia”. La nota ricevuta precisa che il Consorzio, visto il ruolo che ricopre, “non può spingersi oltre… possiamo soltanto affidarci al piano operativo messo in campo dalle Autorità sanitarie competenti che applicano le disposizioni comunitarie previste in questi casi, auspicando che si possa eradicare il virus nel minor tempo possibile per la salvaguardia dell’intera filiera suinicola nazionale”.
Le criticità
Si tratta di parole che destano una certa perplessità. Rispetto all’evidente incapacità manifestata in questi 20 mesi dai ministeri della Salute e dell’Agricoltura e della sovranità alimentare di gestire l’epidemia, e di fronte a un’epidemia di peste suina africana che anche gli studenti del primo anno di veterinaria riconoscono come disastrosa, il consorzio cosa fa? Invia un appello alle autorità e si appella al loro piano operativo, giudicato fallimentare e inconsistente da molti addetti ai lavori. Per affrontare una situazione di evidente emergenza serve altro. Forse 20 mesi fa bisognava allertare immediatamente gli allevatori e i produttori e spiegare loro che si tratta di un problema molto serio. Si poteva inoltre impostare una campagna di informazione, indicando le misure preventive da adottare.
Dovere di un Consorzio dovrebbe essere quello di difendere gli interessi degli associati e spingere gli aderenti ad adottare e potenziare le azioni di ‘biosicurezza‘ (isolare gli allevamenti, adottare misure di prevenzione per ridurre il contatto con persone e oggetti esterni, allestire reti di recinzione…). Anche se tutto ciò comporta investimenti. Diciamo che andava fatta un’opera di informazione capillare, ispirandosi a quanto fatto dal ministero della Salute per affrontare l’epidemia di Covid coinvolgendo e informando tutti i soggetti della filiera. Nulla di tutto ciò è stato fatto.
Si poteva fare di più?
Qualcuno dirà che il Consorzio non ha nello statuto questi compiti, che non è un’associazione di veterinari né di allevatori. È vero, ma non bisogna dimenticare che il Consorzio rappresenta un prodotto simbolo del Made in Italy a tavola. Ha il dovere morale di salvaguardare la nostra immagine di Paese all’estero oltre che salvaguardare gli interessi degli aderenti. Insomma come restare alla finestra di fronte a un disastro annunciato sostenendo che “non ci si può spingere oltre”. Siamo di fronte a un atteggiamento incomprensibile, miope e poco lungimirante. Inutile aggiungere altro.
A noi viene da pensare che mancando nello statuto del Consorzio del prosciutto di Parma la voce ‘peste suina’, il gruppo dirigente, che già altre volte si è rivelato distratto di fronte a problematiche serie del comparto, anche questa volta si senta autorizzato a osservare dall’esterno l’evoluzione della situazione, come farebbe una qualsiasi persona attenta ai fenomeni che riguardano l’agro industria.
Ai primi giorni di ottobre la Giunta della Lombardia ha stanziato 750mila euro per il controllo dei cinghiali e la prevenzione della peste suina africana. L’importo sarà ripartito seguendo tre criteri: 100mila euro vengono suddivisi in parti uguali tra Province (con l’esclusione di Monza e Brianza e Sondrio), 312.500 in proporzione al numero di cinghiali abbattuti dalle polizie provinciali nel 2022. Infine ulteriori 312.500 in proporzione al numero di suini allevati sui rispettivi territori provinciali.
Il ministro delle Politiche agricole Francesco Lollobrigida annuncia lo stanziamento di oltre 19 milioni di euro a sostegno della filiera suinicola colpita dalla peste suina attraverso un fondo ad hoc. Il 60% delle risorse è destinato alle piccole e medie imprese della produzione agricola, il 40% a quelle del comparto della macellazione e trasformazione.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
E che problema c’è? Il prosciutto di Parma DOP non è fatto con cosce di suino provenienti anche da allevamenti polacchi?
No, il prosciutto di Parma e quello di San Daniele, come gli altri prosciutti Dop, sono preparati con cosce di maiali italiani
Questo è quello che viene detto, ma poiche sappiamo che icontrolli in Italia sono inesistenti, possiamo fidarci?
Come la bresaola IGP della Valtellina che, stando alle inchieste di Report, è fatta con lo zebù che pascola nel Cerrado brasiliano? E guardi che la mia non è una critica…
@M. Piacentini: E’ regolare perché non è una DOP.
No, è una DOP. Pertanto, i suini provengono solo da allevamenti italiani.
Mi spiace, ma non sono d’accordo. Il Consorzio ha avuto gravi carenze quando è scoppiato il problema degli ibridi e del seme proveniente dall’estero, così come ha taciuto per anni la questione del peso massimo dei suini.
Ma in questo caso non si può dare la colpa al Consorzio… che riunisce i produttori di Prosciutto e non gli allevatori. E poi perché solo il Consorzio del Parma? Perché le altre DOP no?
La colpa è del Ministero e delle autorità competenti che non hanno mosso un dito dai primi casi nei cinghiali. O prima ancora coi controlli negli allevamenti. L’eventuale obbligatorietà delle misure di biosicurezza è un problema dei Servizi Veterinari, non dei produttori di prosciutti!!
Per non parlare degli stanziamenti per gli abbattimenti dei cinghiali. Adesso????? Dopo un anno e mezzo dai primi casi???? Senza contare che è stranoto che gli abbattimenti peggiorano solo la situazione, soprattutto se non accompagnati da altre misure
Dare la colpa al ministero e chiamarsi fuori è un modo per scaricare le responsabilità solo su altri e però vuol dire anche darsi però la zappa sui piedi. Come si può pensare che il problema sia al di fuori! Il richiamo a fare qualcosa vale certamente per tutti i consorzi che trattano prodotti realizzati con canne suina
Ma perché si tira in ballo il consorzio del prosciutto di Parma? I consorzi degli altri otto prosciutti DOP in italia non hanno la stessa responsabilità?
I consorzi non hanno responsabilità (se non morali) nella gestione di una pandemia di PSA, penso che la responsabilità sia solo delle ASL e degli allevatori che devono difendere al meglio i loro allevamenti.
Abbiamo citato il consorzio del Prosciutto di Parma perché è quello più importante ma certamente il discorso vale per tuti gli altri consorzi che trattano carni suine
Condivido lo stupore e il disorientamento sulle possibili azioni che il Consorzio avrebbe potuto mettere in campo, ma non è mai troppo tardi. Ora si può evitare ulteriori contaminazioni informando sul trasporto e sulle modalità corrette di smaltimento degli abbattuti. Sull’importanza di non trasportare oggetti o utensili venuti a contatto con i contaminati.
Gli allevatori aderiscono al Consorzio del prosciutto di Parma, ma pure ad altre importanti associazioni di settore; e io estendo questo stupore e questo disorientamento per la mancata prevenzione anche a queste.
Il Prosciutto di Parma è ottenuto da suini nati, allevati e macellati soltanto nelle regioni: Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio.
La zona di provenienza della materia prima è delimitata dalla legge 13 febbraio 1990 n 26, modificata dall’articolo 60 della legge 19 febbraio 1992 n 142, e dal Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n° 253.
Le ricordo quanto riportato è il vecchio disciplinare di produzione ma dal 8 maggio 2023 è entrato in vigore un nuovo disciplinare.
Il fatto che siano problemi insiti negli allevamenti intensivi quando lo affronteranno? Non sono vegana ma dopo i servizi su come sono i trattati i maiali per un prodotto che dovrebbe rappresentare l’eccellenza italiana ho smesso di comprarlo, da un bel po’ di mesi, i soldi non possono legittimare questo sterminio in cui ci vanno di mezzo sempre gli animali trattati da pietre senza sentimenti. Ci nutriamo di essere viventi e magari non tutti diventeranno vegani o vegetariani ma non per questo i problemi cesseranno di esistere, i problemi generati dagli allevamenti intensivi sono seri e sarebbe il momento di affrontarli adesso qualunque stile di vita abbiamo in modo da riorganizzare l’intera agricoltura, l’approccio negazionista che abbiamo non cancellerà i problemi ne per ì consumatori ne per i produttori.
Comunque anche il fatto alimentare, in passato, ha documento come i vari prosciutti DOP italiani abbiano più volte tentato di truffare i consumatori Italiani
Famosa l’inchiesta denominata “Prosciuttopoli”, che vedeva i due consorzi più importanti responsabili di autorizzare l’uso di maiali di una razza straniera a rapido accrescimento e non prevista dal disciplinare.
Una frode a noi consumatori, che pagavamo una qualità più elevata di quella che ci ritrovavamo nel piatto. E per anni, e nessun risarcimento. Negli Stati Uniti avrebbero fatto una class action.
A seguito di quell’inchiesta non acquisto più quei due tipi di prosciutto.
Sono indignata e disgustata dal fatto che vengano stanziati oltre 19 milioni di euro di soldi pubblici per allevamenti intensivi e macelli, di aziende private, che inquinano e trattano gli animali come macchine da produzione.
Buongiorno, tengo a precisare che i suini sono, forse, provenienti da allevamenti italiani ma le genetiche non sono tradizionali italiane; nella maggior parte dei casi si tratta di suini ibridi e scrofe di genetiche danesi che sono state considerate regolari dopo gli scandali passati. Un gran clamore e adesso sono considerate genetiche idonee.
Potete trovare l’elenco in questo link del Ministero: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18026.
Tanta poesia nel Prosciutto di Parma ma poca qualità e controlli “virtuali”.
Anche la provenienza dell’alimentazione non viene controllata quindi perché preferire il Prosciutto DOP quando l’altro è comunque fatto con gli stessi maiali?