Da quando sono in vigore le misure di contenimento del coronavirus, davanti ai supermercati si formano lunghe code e sugli scaffali ci sono ampi spazi vuoti. L’andamento delle vendite di alimentari è cambiato per rispondere a nuove esigenze (ne abbiamo parlato anche qui), e il settore ittico è uno dei più colpiti da questa emergenza.
Il pesce è un alimento molto presente nelle abitudini delle zone costiere, molto meno nelle zone dell’interno, soprattutto se pensiamo ai piccoli centri. In un periodo come questo, in cui si deve ridurre il numero delle visite al supermercato, prevale l’acquisto di alimenti a lunga conservazione, mentre i prodotti freschi sono penalizzati. I consumatori cercano preferibilmente surgelato o conservato, ma d’altra parte l’impressione è che la disponibilità di pesce fresco, sui banchi del supermercato, sia piuttosto ridotta e i prezzi mediamente alti.
“La merce nel mercato all’ingrosso non manca, – dice Emanuele Dentelli, addetto alla rilevazione dei prezzi per il mercato all’ingrosso di Milano – ma il giro d’affari si è ridotto al 20-25% di quanto trattato normalmente in questo periodo. Gli acquisti da parte dei dettaglianti sono crollati e i ristoratori sono completamente spariti, per tre settimane, mentre stiamo assistendo ora a qualche cenno di ripresa, da parte di chi fa consegne a domicilio. Sono spariti dal mercato i generi meno costosi, e il risultato è un innalzamento del prezzo medio dei prodotti ittici. Fra le tipologie che ne hanno risentito maggiormente troviamo le cozze, che in questo periodo sono in prevalenza spagnole: normalmente se ne vendono 25-30 mila chili a settimana che adesso sono crollati a 4-5 mila. Tengono meglio il mercato salmone, orate e spigole. Per le ultime due tipologie, le vendite di quelle allevate all’estero (Grecia, Turchia) si sono ridotte a meno della metà, mentre orate e spigole prodotte in Italia sono scese solo di un 15%. Anche le vongole, fra i prodotti nazionali, resistono abbastanza bene a questa crisi.”
Le specie di cui abbiamo appena parlato, quelle che dominano il mercato, provengono dagli allevamenti, ma la situazione è ancora più critica per il pescato. Abbiamo chiesto un parere a Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket. “La situazione è molto complessa, e in continuo, rapido, cambiamento. La fluttuazione dell’offerta è legata a numerosi fattori; può capitare, per esempio, che un mercato venga chiuso improvvisamente se si presenta un caso di coronavirus. – dice l’esperta – Il problema principale è dato però dal fatto che, nella maggioranza dei casi e a prescindere dall’attuale situazione di emergenza, i pescatori non sono organizzati in modo organico e ognuno si muove in autonomia non riuscendo in questo modo a fornire un riferimento strutturato per i distributori. Poi, a seguito dei nuovi protocolli per il Covid -19, una buona parte delle flotte pescherecce ha smesso di uscire, sia perché è difficile mettere in atto correttamente le pratiche di contenimento del coronavirus – mascherine, distanziamento – sia perché in seguito allo stop dei ristoranti e della ristorazione collettiva (mense scolastiche e aziendali), la domanda è diminuita, e a questo va aggiunto anche il cattivo tempo che si è verificato in queste settimane. Resta la possibilità agli armatori di mettere in cassa integrazione il personale in eccesso ma questo non è sicuramente sufficiente a superare il momento.”
“In generale, ciò che troviamo sui banchi del pesce al supermercato dipende in gran parte dalla domanda: se noi chiediamo prevalentemente salmone, tonno pinne gialle e merluzzo nordico, difficilmente troveremo un ricco assortimento di pesce nostrano. – Continua Tepedino – In questo momento inoltre, per le difficoltà suddette dei pescatori, è molto difficile mantenere una fornitura adeguata di pesce fresco italiano. Sui banchi troviamo quindi in buona parte pesce decongelato, oppure prodotto proveniente dal Nord Europa, dove il livello di organizzazione della pesca e della piscicoltura permette di mantenere una produzione elevata e costante. Ma quello che va per la maggiore è il surgelato confezionato, cresciuto del 15-20%, con delle punte sopra il 30% per i prodotti già puliti, pronti per la cottura. Il pesce nostrano ci sarebbe, ma non esiste una struttura organizzata per distribuirlo. In alcune pescherie è possibile trovare quotidianamente pesce nostrano perché si appoggiano su pescatori di fiducia e in questi casi si sono organizzate, con successo, per le consegne a domicilio. Cosa che fanno anche molti ristoranti: dopo una fase di disorientamento, a Roma, Milano e Bologna, ma anche in piccoli centri ittici come Chioggia e Cesenatico, molte realtà, sia pescherie che ristoranti, si sono attivate, sfruttando soprattutto Facebook, per promuovere i loro prodotti raggiungere a casa i loro clienti.”
“Le catene di supermercati devono rispondere alle richieste di un pubblico meno propenso, in questo momento, alla spesa, che deve fare i conti in molti casi con entrate ridotte e per questo motivo il surgelato è più conveniente. – fa notare Tepedino – Bisogna poi considerare il fatto che gli ipermercati, punti vendita che di solito muovono enormi quantità di prodotto, si trovano spesso fuori dalle città e sono penalizzati dalla norma che impone di fare la spesa vicino a casa, per cui in questo periodo le vendite maggiori interessano i supermercati di dimensioni medie, dove l’assortimento è più limitato. Alcune catene inoltre hanno sospeso la vendita al banco servito e mantengono solo il preincartato in libero servizio.”
“Il pesce fresco è percepito dai consumatori come un prodotto caro e a brevissima scadenza, quindi in questo periodo di “sospensione” è naturale che venga sacrificato. – dice Tepedino – I pescatori e i trasformatori dovrebbero invece approfittare di questa pausa per ripensare la filiera ittica e organizzare produzione e trasformazione del pesce nostrano in modo da poter creare una rete strutturata e affidabile, in grado di proporsi direttamente ai propri clienti distributori o ristoratori, realizzando la vera filiera corta. Questi aspetti riguardano in modo importante anche la piscicoltura: il 40% degli allevamenti di trote andrà incontro, nelle prossime settimane, a notevoli problemi di gestione, perché il crollo della domanda ha lasciato nelle vasche pesci che stanno aumentando di taglia, che non lasceranno spazio alle nuove semine, ecc.. Sarebbe necessario realizzare centri di lavorazione e trasformazione condivisi presso i mercati, per consentire, oltre all’innovazione dei prodotti, anche una strategia per donare una più lunga vita commerciale agli stessi e dunque evitare in futuro crisi di questo tipo durante nuove possibili emergenze.”
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
chissà che non si ripopolino un pochino i mari nostrani..
vorrei sapere dove si trova il pesce fresco nei super o ipermercati perché quello che vedo io è solo pesce scongelato.
Gentile Diego,
Tutte le principali catene propongono un banco del pesce che comprende sia pesce decongelato che fresco, anche se la quantità di quest’ultimo, in questo periodo, è piuttosto limitata.