Origine del latte: l’avvocato Dario Dongo spiega perché la mozzarella fatta con le cagliate importate non sarà riconoscibile dall’etichetta
Origine del latte: l’avvocato Dario Dongo spiega perché la mozzarella fatta con le cagliate importate non sarà riconoscibile dall’etichetta
Dario Dongo 21 Aprile 2017Il 19 aprile 2017 è finalmente entrato in vigore il decreto sull’origine latte. Dopo la pubblicazione c’è stato un ping-pong di circolari fra due ministeri Politiche agricole e Sviluppo economico. Alla fine è rimasta irrisolta la questione delle “cagliate” importate e utilizzate da molti caseifici per fare la mozzarella, che non dovranno essere dichiarate in etichetta. La normativa (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2017) introduce l’obbligo di specificare l’origine della materia prima su tutte le etichette di latte e derivati prodotti in Italia e destinati al mercato interno. L’origine obbligatoria, a ben vedere, era già stata stabilita per le confezioni di latte fresco, con decreto interministeriale del 27 maggio 2004, che rimane e resterà in vigore anche dopo la cessazione di efficacia del decreto attuale.
Il nuovo decreto riguarda latte a lunga conservazione e latticini e prevede l’indicazione del Paese di mungitura, seguito dal Paese di condizionamento (cioè quello dove viene fatto il trattamento termico, per il latte a lunga conservazione), o in alternativa il Paese di trasformazione (per latticini e altri prodotti).
Queste diciture possono essere sostituite, a seconda dei casi, da indicazioni territoriali d’origine più ampie, come:
- “Miscela di latte di Paesi UE” (e/o “non UE” ) al posto del Paese di mungitura,
- “Latte condizionato in Paesi UE” (e/o “non UE”),
- “Latte trasformato in Paesi UE” (e/o “non UE”).
Quando le operazioni di mungitura e di condizionamento (o trasformazione per i latticini) avvengono in un unico Paese, è ammesso l’impiego di una sola scritta di sintesi, “origine del latte” seguita dal nome della nazione. Il decreto prevede due deroghe, la prima si applica agli alimenti registrati in UE come Dop e Igp, nonché a quelli oggetto di certificazione biologica. La seconda riguarda i prodotti alimentari legittimamente realizzati in UE, SEE (Spazio economico europeo) e in Turchia. Ne deriva che, ad esempio, non si potrà pretendere l’indicazione d’origine del latte su uno yogurt prodotto in Grecia, né su un formaggio Cheddar prodotto in Inghilterra.
Periodo transitorio ed efficacia temporale
L’origine del latte deve venire specificata in etichetta già a partire dal 19 aprile 2017. È fatto salvo un periodo transitorio per lo smaltimento delle scorte di formaggi e latticini stagionati o immessi sul mercato o etichettati prima di tale data. A condizione che i relativi prodotti siano commercializzati entro i 180 giorni successivi. Il decreto ha però caso un’efficacia temporale limitata, poiché cesserà la sua applicazione a decorrere dall’1 aprile 2019.
Il “buco delle cagliate”
Il decreto aumenta senza dubbio la trasparenza, ma tralascia un aspetto fondamentale, di particolare interesse per i consumatori di formaggi freschi a pasta filata come la mozzarella. E non solo. Viene infatti deliberatamente trascurato l’argomento delle cagliate, a tutt’oggi importate in enormi quantità da paesi del Nord ed Est Europa per produrre formaggi italiani.
Le norme vigenti – secondo l’interpretazione finora offerta dalla magistratura e dagli organi di controllo – non prevedono l’obbligo di inserire le cagliate nella lista degli ingredienti. Il consumatore rimane perciò non sa se le cagliate congelate sono utilizzate nella produzione di mozzarella o altri formaggi. Addirittura, con una serie di congetture, la circolare 24 febbraio 2017 firmata dai Ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda esclude l’obbligo di indicare l’origine delle cagliate. Delimitando sia l’indicazione in etichetta, sia i doveri d’informazione nei rapporti “B2B” (business-to-business), all’origine del solo ingrediente “latte” (ma non di altri ingredienti, come la cagliata stessa, che potrebbe perciò venire indicata in etichetta senza citare l’origine). Inoltre, il “Paese di trasformazione del latte” può coincidere, secondo i Ministeri, con il “Paese di origine del prodotto finito”. Cioè quello dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale non del latte, ma del prodotto. In altre parole il caseificio può utilizzare le cagliate estere per preparare il formaggio e indicare che la trasformazione é avvenuta in Italia, omettendo di comunicare che il latte è stato lavorato altrove per produrre la cagliata.
Come non bastasse, si aggiunge infine il rischio che il WTO costringa il governo italiano ad abrogare sia questo decreto, sia quello sull’origine del grano, a seguito del contenzioso messo in piedi da Stati Uniti e Canada. E l’ormai prossima ratifica del CETA dal Parlamento italiano non potrà che aggravare la situazione.
L’unica nota realmente positiva del decreto dagli esiti incerti, è la sensibilizzazione dei consumatori, che si spera inizieranno a prediligere i prodotti di origine italiana. Se non altro, per salvare l’economia e l’occupazione nelle aree rurali, gli allevamenti e la sovranità alimentare.
Per approfondimenti, si veda l’articolo “Decreto sull’origine del latte in etichetta. Buone nuove, tempi e punti deboli”.
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Buongiorno, potrebbe spiegare o fornire materiale sulla suddivisione degli ingredienti valida in Europa? Esistono altri casi in cui un ingrediente. pur essendo ottenuto da un’altro ingrediente, non deve sottostare alle stesse norme? La ringrazio per il tempo che vorrà dedicarmi e con l’occasione le faccio i complimenti per il suo lavoro, sempre puntuale e ben argomentato.
Nicola Varotto
Se escludiamo che cagliate importate siano realizzate con latte italiano, la sola indicazione dell’origine della mungitura dovrebbe essere sufficiente ad identificare il vero prodotto nazionale.
Poi se il latte è di origine europea, sarà molto probabile, anzi certo che anche la cagliata sarà fatta nel paese d’origine, per ovvie ragioni di convenienza dei costi anche di trasporto, in quanto latte concentrato.
Ci sarà sempre anche l’importazione di latte tal quale, ma l’indicazione d’origine della mungitura permetterà al consumatore italiano di fare la sua libera scelta.
Inoltre come conclude l’Avv. Dongo:
“In altre parole il caseificio può utilizzare le cagliate estere per preparare il formaggio e indicare che la trasformazione é avvenuta in Italia, omettendo di comunicare che il latte è stato lavorato altrove per produrre la cagliata.”
A mio parere se il produttore utilizza la cagliata senza altre trasformazioni, come ad esempio per produrre mozzarelle oppure importa yogurt, ma fa solo confezionamento, deve dichiararlo altrimenti commette un falso, mentre se produce altre tipologie di formaggi con ulteriori processi produttivi, potrà astutamente non indicare l’origine della prima trasformazione estera importata.
Ma l’origine della mungitura svelerà da dove viene quel latte e quelle preparazioni più o meno parziali.
Infine il consumatore italiano, non essendo uno sprovveduto, preferirà yogurt greco prodotto e confezionato direttamente in Grecia a quello importato e rimanipolato in Italia, mentre preferirà certamente mozzarelle italiane al 100%.
Gent.le Avvocato,
a mio avviso non c’è alcun buco normativo. I “formaggi” prodotti con cagliata non possono recare la denominazione “formaggi”.
Infatti, ai sensi del Regio Decreto Legge 15 ottobre 1925 n. 2033 (Art. 32), il nome di «formaggio» o «cacio» è riservato al prodotto che si ricava dal latte intero ovvero parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale di cucina. Dunque l’utilizzo di cagliata nei prodotti denominati “formaggi” non è consentito.
Inoltre, in etichetta bisogna indicare l’ingrediente “cagliata” oltre ai suoi componenti (latte, sale, caglio) come previso dal reg. UE 1169/2011. Pertanto, ritengo che gli strumenti legislativi siano più che sufficienti per tutelare i consumatori.
L’interpretazione dell’avvocato non è corretta.
Il D.M. e l’ultima circolare esplicativa interministeriale dicono chiaramente che solo il il prodotto le cui fasi di produzione (dalla mungitura alla preparazione e affinamento) sono state effettuate TUTTE in Italia possono riportare in etichetta l’aggettivo “italiano” o la parola Italia” o “100% Italiano” Un formaggio con la cagliata importata NON lo può scrivere.
Quindi per il consumatore è semplice fare la scelta. Basta comprare i prodotti con scritto “italiano” o “Italia o 100% italiano.
Come precisato nell’articolo di approfondimento http://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/decreto-sull’origine-del-latte-in-etichetta-buone-nuove-tempi-e-punti-deboli, con esplicito richiamo ad alcuni passaggi della circolare, i ministeri hanno espresso due concetti:
– l’origine é prescritta per il solo ingrediente ‘latte’ (e non per altri quali la cagliata, ove essa venga citata in elenco quale ingrediente composto),
– restano fermi i criteri di attribuzione dell’origine delle merci stabiliti nel Codice doganale UE.
La chiarezza rimane perciò un’illusione e solo l’interpretazione ulteriore delle norme da parte dei dicasteri stessi o della magistratura potrà offrire ulteriori ragguagli.
Solo l’indicazione dell’origine del grano, della carne e del latte (mungitura), indicano chiaramente con cosa è fatta la pasta, il prosciutto e la mozzarella.
Solo con le origini italiane questi prodotti saranno italiani al 100%, il resto è altro non meglio identificato ne precisamente identificabile, grazie a norme interpretabili da ognuno a proprio uso e consumo (dimostrato già da tre commenti diversi di esperti, con tre interpretazioni diverse).
Mi dispiace dover intervenire di nuovo ma mi vedo costretto a farlo dopo la risposta di La Pira.
Riporto quanto indicato dalla circolare esplicativa interministeriale del 23 febbraio 2017.
“In aggiunta alle diciture di origine previste dal decreto è possibile impiegare diciture con significato
equivalente a quelle previste dagli articoli 2 e 3 del decreto purché le stesse non ingenerino
confusione nel consumatore. Si riportano a titolo esemplificativo, le seguenti:
– una indicazione della provenienza regionale del latte, quale “nodini di latte pugliese” o “100%
latte sardo” da riportare assieme a quella obbligatoria “origine del latte: Italia”;
– l’indicazione “latte 100% italiano”, “100% latte italiano” o “latte italiano 100%”, da riportare
in aggiunta a quelle obbligatorie dell’articolo 2 del decreto, quando il paese di mungitura e il
paese di condizionamento o trasformazione siano l’Italia.”
Perciò, come indicavo nella precedente risposta se il consumatore vuole essere sicuro che la cagliata sia fatta (ovvero trasformato il latte italiano in cagliata) in Italia deve cercare le diciture sopra riportate.
Più chiaro di così…
“bene” nella mozzarella c’è latte e caglio …in quantità variabili/discrezionali
quindi ingrediente latte di origine 100% italia ……e ingrediente cagliata tedesca ………… che mozzarella sarà?
varrà la regola del “tutti gli ingredienti devono” oppure “il solo ingrediente latte” ?
mamma mia ….
Sig. Cuozzo, secondo la sua interpretazione anche la mozzarella fatta totalmente in Italia non potrebbe essere denominata “formaggio”. Ma è universalmente noto che la mozzarella , fra i ” formaggi a pasta filata” , qualunque sia l’origine del latte è ottenuta sottoponendo al processo di “filatura” una cagliata ottenuta dal latte.
Sig. Costante,
la mozzarella è un “formaggio fresco a pasta filata” a prescindere dall’origine del latte (argomento non citato nel mio commento, facevo riferimento alla tutela del consumatore rispetto alla trasparenza in etichetta e al fatto che già esistono delle leggi).
Il Regio Decreto Legge 15 ottobre 1925 n. 2033 (Art. 32) non da la possibilità di utilizzare altri ingredienti oltre al latte intero o parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale di cucina.
L’utilizzo di cagliate per la produzione di “formaggi freschi a pasta filata” è ammessa, il problema riguarda l’etichettatura e la denominazione di tali prodotti. I dubbi riguardano l’uso dei termini “fresco” e “formaggio”.
La sentenza 2 aprile 2014, n. 15113 ha stabilito che “Il concetto di freschezza di un alimento non può avere attinenza solo con dati quali la temperatura o la preparazione al momento, ma anche e soprattutto con dati intrinseci che ne attestino la genuinità e la bontà della produzione, in quanto la nozione di prodotto alimentare ingloba non solo il prodotto finito, ma anche gli ingredienti adoperati e i cicli di lavorazione, che debbono, per l’appunto, assicurare nel loro insieme una genuinità di produzione”.
Tale sentenza riguarda l’uso del latte in polvere, ma cosa cambia rispetto all’uso della cagliata?
L’articolo e’ molto tecnico e troppo difficile per me.
Da acquirente vorrei sapere, riguardo a latte, grano, e derivati:
– Se voglio acquistare un prodotto fatto con ingredienti esclusivamente di origine italiana o addirittura locale, riesco e riusciro’ ancora a trovare questa informazione in etichetta?
Con l’interpretazione legislativa di Luigi Tozzi ed Ilario Cuozzo e l’indicazione dell’origine della mungitura del latte, se saranno confermate e realizzate in pratica dai produttori, non dovrebbero esserci problemi nemmeno per le cagliate importate, che saranno trasparenti pena sanzioni.
Se così non fosse, bisognerà insistere nel fare chiarezza sulla vera origine delle materie prime impiegate, come nel caso del grano e delle carni, per svelare ciò che i nostri produttori nazionali hanno più interesse a scoprire, da quelli che hanno l’interesse contrario a nasconderci.
Rilevo che a due o tre settimane dall’entrata in vigore del decreto sull’origine del latte, mentre i formaggi prodotti industrialmente hanno la corretta indicazione dell’origine del latte, i formaggi porzionati, confezionati ed etichettati direttamente dal venditore (riscontrato in più supermercati) invece non riportano l’indicazione di provenienza del latte: c’è una spiegazione?
Da consumatore tutto ciò mi sembra, come al solito!, una grande presa in giro.
Immagino chiunque, persona anziana o meno, in un punto vendita con in mano una confezione di latte, latticino/altro a cercar di capire da dove venga il latte con il quale l’articolo sia prodotto, ovviamente prima di andare a fare la spesa ci siamo informati a dovere sulle leggi, normative e varie deroghe vigenti in proposito.
Alla faccia della chiarezza e della trasparenza.
E mi sorprendo anche che si stia qua a disquisire sul se buona una interpretazione o l’altra.
Dopo quanto normato di fresco, si evince chiaramente che una dicitura tipo: fatto con latte/intero/scremato/in polvere munto in localitaX nazioneY è troppo chiara per tutti e poco si presta a giochini di prestigio dietro i quali nascondersi per notevoli interessi economici.
scusate, ma il gelato rientra nella applicazione di questa legge?