Il mercato dei vini analcolici sta seguendo un trend in continua crescita. L’Europa li ha definiti vini dealcolizzati o vini parzialmente dealcolizzati e nel parlare più comune si chiamano vini no e low alcol (o più brevemente NOLO): sono i prodotti con contenuto in alcol rispettivamente inferiore allo 0,5% o compreso tra lo 0,5 e il 9%, ottenuti sottoponendo il vino al processo di rimozione fisica dell’alcol. Prodotti della filiera vitivinicola che si inseriscono nel mercato in forte crescita delle bevande senz’alcol, inaugurato ormai da diversi decenni dalla birra analcolica, che soprattutto in alcuni Paesi stanno incontrando l’interesse di nuovi consumatori.
A essere interessati a queste bevande sono molti giovani, spesso estranei al mondo del vino per tradizione o cultura e attenti alla salute e il benessere, e comunque tutti coloro che, anche soltanto in alcune occasioni come quando devono mettersi alla guida, non desiderano accompagnare i pasti o gli aperitivi consumando alcol.
Secondo le proiezioni dell’agenzia statunitense Fact MR il mercato globale dei vini analcolici, a fronte di un valore di 2,57 miliardi di dollari nel 2024 è destinato a crescere in dieci anni fino a 6,94 miliardi di dollari, mentre quello dei vini a basso contenuto in alcol raggiungerà i 4,12 miliardi.
Un trend che non riguarda soltanto il vino, ma anche prodotti come le birre, gli spirits (come il gin ad esempio) e bevande ready to drink o cocktail nei quali il vino analcolico è presente nella lista degli ingredienti.
Il mercato dei vini analcolici
A partire dall’approvazione del Reg 2117/2021 che ne definiva le caratteristiche, le tecniche di separazione fisica dell’alcol utilizzabili per ottenerli, le indicazioni da riportare in etichetta ecc., i vini analcolici (senza alcol) e quelli a basso contenuto in alcol si sono diffusi, è aumentata la scelta e con essa anche l’interesse e la forbice di prodotti di diversa qualità e con diverse caratteristiche. La fiera internazionale Prowein di Düsseldorf ha dedicato nel marzo 2024 un’intera area a questi prodotti e organizzato World of Zero, un banco di assaggio dove i visitatori potevano trovare e testare 167 vini dealcolizzati bianchi, rossi, rosati, spumanti e frizzanti.
E se i produttori tedeschi sono stati i pionieri sia nelle tecnologie (il primo brevetto, del Dr Carl Jung, si dice risalga al 1902) sia nel mercato NOLO wines, anche quelli francesi si stanno facendo strada valorizzando la qualità e la varietà nei loro prodotti dealcolizzati, tanto da aggiudicarsi i primi premi nella sezione speciale dedicata a questi prodotti nel Concorso Mondiale che si tiene ogni anno a Bruxelles. Di fronte a un’offerta che comincia a essere varia anche le fasce di prezzo sono diverse e vanno dai 5 euro a bottiglia, per prodotti adatti ad esempio a essere utilizzati nella produzione dei cocktail analcolici, a bottiglie che arrivano anche a 28 euro e che sono proposte e ricercate nella ristorazione.
E in Italia?
Fino a oggi i produttori italiani sono di fatto stati esclusi dalla corsa. Il motivo è nel conflitto normativo tra il regolamento europeo, che prevedeva vini definiti dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati, e la legge nazionale del 2016, il cosiddetto Testo Unico del vino che, emanata precedentemente all’uscita di questi prodotti, limitava la definizione di vino a prodotti ottenuti dalla fermentazione dell’uva e che avessero una gradazione minima di almeno il 9% in alcol. Il ritardo nella soluzione di questa impasse tuttavia è dovuto sostanzialmente all’avversione della politica e di alcune associazioni di categoria, che nella difesa ideologica di tradizione e made in Italy hanno continuato per anni a non ascoltare le richieste dello stesso settore vitivinicolo, che aspettava di poter usufruire delle nuove opportunità offerte dal mercato.
Il nuovo decreto
Il Decreto Ministeriale DM 672816 del Ministero delle Politiche Agricole che definisce le regole operative e fiscali per la produzione dei vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati è arrivato dopo anni di discussioni e tavoli tecnici soltanto il 20 dicembre 2024, con un ritardo che obbligherà i produttori italiani nelle posizioni degli inseguitori di coloro che sono partiti già da alcuni anni.
Solo alcuni pionieri nel nostro paese avevano già cominciato a introdurre i vini dealcolizzati nella loroIl Decreto Ministeriale DM 672816 del Ministero delle
Politiche Agricole che definisce le regole operative e fiscali per la produzione dei vini dealcolizzati e parzialmente dealcolizzati è arrivato dopo anni di discussioni e tavoli tecnici soltanto il 20 dicembre scorso, con un ritardo che obbligherà i produttori italiani nelle posizioni degli inseguitori di coloro che sono partiti già da alcuni anni.
Solo alcuni pionieri nel nostro paese avevano già cominciato a introdurre i vini dealcolizzati nella loro gamma (le limitazioni sono tutte legate alla fase di produzione e non alla distribuzione), anche se per farlo sono stati costretti a portare i vini all’estero per trattarli e farli rientrare, con costi economici e ambientali ovviamente non indifferenti, che rendono tali operazioni poco competitive e poco sostenibili.
Per tutti e senza confronti con il vino
Man mano che la proposta aumenta e che la dealcolizzazione trova applicazione su un numero crescente di vini, varietà, tipologie ecc. anche il quadro sull’impatto sulla qualità del processo di allontanamento dell’alcol, che porta con sé anche una parte considerevole di composti aromatici, si fa più chiaro. Da un lato sicuramente la tecnica di dealcolazione scelta sembra avere un impatto notevole. Alcune tecnologie di distillazione sotto vuoto a basse temperature sembrano permettere di recuperare maggiormente e almeno in parte i composti volatili aromatici allontanati insieme all’alcol.
Profilo organolettico
Alcune varietà, più ricche dal punto di vista aromatico, come il Riesling o il Moscato, si prestano meglio, mentre gli studi indicano che non tutte le molecole volatili sono rimosse nello stesso modo, con i composti ad aroma fruttato, legati alla classe chimica degli esteri, che sembrano essere i più penalizzati. Ma è indubbio anche che l’alcol abbia un ruolo di bilanciamento del profilo organolettico dei vini e se pensiamo alla strada, in termini di qualità, fatta dalla birra analcolica ormai molti anni fa, non possiamo che sperare che alcuni dubbi e perplessità che possiamo avere oggi al momento dell’assaggio di questi nuovi prodotti, si possano risolvere con il tempo e con l’esperienza.
Quella dei vini senz’alcol cioè, al netto degli aspetti di mercato e delle occasioni di consumo, sarà anche dal punto di vista tecnico un’enologia nuova e diversa e anche l’approccio alla loro degustazione e valutazione dovrebbe forse essere ripensato. Perché dal momento che il pubblico di questi prodotti si compone di persone che non consumano alcolici o che non hanno un rapporto di legame o tradizione con il vino, uno degli errori maggiori è sottoporli alla valutazione degli esperti di vino che li giudicano all’interno di standard che probabilmente non potranno mai soddisfare. E anche semplicemente confrontarli con i loro corrispondenti alcolici non è un’operazione corretta da fare.
Senza l’alcol ma con gli zuccheri
Per bilanciare la maggiore percezione di acidità che si manifesta una volta tolto l’alcol e al tempo stesso restituire ai vini le sensazioni di morbidezza e volume legate all’alcol, i vini dealcolati presentano un contenuto in zuccheri che spesso si avvicina e talvolta supera i 40 g/l. Un valore non basso che in alcuni ha suscitato preoccupazione e che tuttavia è di molto inferiore a quello dei soft drink come la Coca-Cola o la maggior parte dei tè in lattina (che ne hanno circa 100 grammi per litro). La presenza degli zuccheri, che per legge non possono essere saccarosio ma devono essere derivati dall’uva e quindi mosto concentrato o mosto d’uva, è inoltre fondamentalmente una scelta di stile e di gusto.
Anche alcuni vini frizzanti e aromatici, soprattutto in Germania, hanno un contenuto più elevato di altri, mentre tra i prodotto low e no alcol vi sono anche prodotti francesi e italiani che vanno dai 20 g/l di zucchero fino anche a soli 2-3 g/l.
Il bilancio
In un bilancio tra i rischi legati agli zuccheri aggiunti, per i quali l’Oms suggerisce comunque di ridurre il consumo e quelli dovuti all’alcol, tuttavia è evidente che i vini senz’alcol, rispetto agli alcolici, soddisfano le necessità delle persone che sono alla ricerca di un consumo più sano. E comparando i valori energetici il bilancio continua a dare risultati simili: 100 ml di un vino con 12 gradi alcolici apporta 66 kcal, un vino senz’alcol con 20 g/l di zuccheri arriva a 8 kcal e uno con 40 g/l a 16 kcal.
Vini analcolici e sicurezza
Tuttavia è vero che non vi sono ancora molti studi e valutazioni sull’impatto di questi nuovi prodotti sulla salute e la società e alcune preoccupazioni sono state avanzate dalla stessa OMS nel documento del 2023 “A public health perspective on zero and low alcohol beveages” dove è stata avanzato il rischio che la promozione dei brand degli alcolici attraverso le bevande no e low possa rappresentare un caso di alibi marketing e avvicinare il pubblico anche ai prodotti alcolici degli stessi brand. Un fenomeno che in passato era stato studiato nel caso del merchandising e le sponsorizzazioni che le multinazionali delle sigarette utilizzavano per affezionare i consumatori al marchio di un prodotto che non avrebbero potuto promuovere direttamente.
Nel caso delle bevande ad alcol zero tuttavia già per la birra analcolica questo fenomeno non solo non si è verificato, ma il prodotto senz’alcol ha sviluppato un suo mercato senza per questo rappresentare una via di accesso o un gateway per i consumi di birra e di altri alcolici, che al contrario sono andati progressivamente diminuendo come sta avvenendo del resto per il vino.
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