Aidepi (associazione industriale che raccoglie marchi come Ferrero, Mulino Bianco, Bauli, Nestlé…) da 3 settimane pubblica su Il Corriere della sera, La Repubblica, La Stampa e altri quotidiani locali come Il Resto del Carlino, La Sicilia, Il secolo XIX, pagine per sostenere l’impiego dell’olio di palma nei prodotti alimentari italiani. Si tratta di un investimento vicino a 500 mila euro che cerca di contrastare gli effetti della nostra petizione su Change.org che ormai ha raggiunto 158 mila firme. Il messaggio pubblicato sui giornali risulta ingannevole e scorretto e per questo abbiamo inviato un ricorso all’Antitrust per fare bloccare le prossime uscite e sanzionare Aidepi con una multa.
Olio di palma ‘naturale’
Ma vediamo ora le frasi impresentabili. Il messaggio inizia con “L’olio del frutto di palma è un prodotto di origine naturale: viene infatti estratto da un frutto la cui polpa è semplicemente scaldata e pressata. Successivamente l’olio viene purificato”. La frase è ingannevole perché, é vero che l’olio di palma è un prodotto di origine naturale ottenuto spremendo la polpa del frutto, ma questo vale per l’olio di palma vergine che ha un colore arancione e nella maggior parte dei casi non corrisponde a quello usato dall’industria alimentare. L’olio importato dalle aziende è raffinato, ovvero subisce una serie di processi che includono la deodorazione, la decolorazione e la neutralizzazione (alcune di queste operazioni abitualmente utilizzate per tutti gli oli di semi sono realizzate anche con solventi). Alla fine si ottiene un olio trasparente completamente diverso rispetto a quello arancione estratto dalla semplice spremitura.
C’è di più: in molti casi si usa olio di palma frazionato, ottenuto separando le varie fasi del grasso (quella più liquida e quella più solida a temperatura ambiente), per cui il grasso di palma importato dall’industria e che si trova nei prodotti viene commercializzato sia in forma liquida sia solida, in funzione del prodotto finale.
Olio di palma come il burro?
Anche la frase successiva del messaggio non risponde al vero “Ha un profilo di grassi simile al burro e come dimostrato da numerosi studi scientifici, non presenta rischi per la salute ed è un ottimo alimento, che può essere integrato tranquillamente in una dieta bilanciata”. Purtroppo invece è innegabile il fatto che l’assunzione giornaliera di dosi elevate di questo ingrediente può risultare dannosa per la salute, a causa della presenza eccessiva di grassi saturi. In Italia non esistono studi sul consumo pro-capite di olio di palma, e comunque i nutrizionisti consigliano di limitarne l’assunzione, in particolare riferendosi ai bambini che sono i più esposti.
L’asticella della quantità ideale dei grassi saturi viene posta al 10% rispetto al totale delle calorie giornaliere. Una quota che comprende però tutti i grassi saturi, sia quelli di origine vegetale che animale, e non solo quelli dell’olio di palma. E basta fare due calcoli per rendersi conto che queste quantità sono facilmente superate come abbiamo dimostrato in diversi articoli.
Un’equiparazione scorretta
Equiparare il palma al burro è scorretto perché si ignorano fattori importantissimi relativi alla diversa composizione evidenziati dall’Agenzia per la sicurezza alimentare francese e dal Consiglio Superiore della Sanità del Belgio. Le due agenzie distinguono i differenti acidi grassi saturi in relazione all’impatto sul metabolismo lipidico e sulla salute e correlano la quantità di acido palmitico (presente in misura pari al 40% nel palma e al 21% nel burro) all’incremento del colesterolo cattivo LDL.
C’è di più: il burro è anche ricco di acidi grassi saturi a corta e media catena e di acido stearico che le due agenzie ritengono non avere effetti negativi sull’organismo. Per questi motivi il burro, pur avendo la stessa quantità di acidi grassi saturi, ha un effetto decisamente meno invasivo. Se poi si fa il confronto con gli altri grassi vegetali come arachide, mais e soia utilizzati in sostituzione del palma in molti prodotti da forno, il divario è ancora più ampio visto che la quantità di palmitico risulta drasticamente ridotta.
Un ingrediente onnipresente
C’è poi un discorso quantitativo da fare: quante persone mangiano alimenti realizzati col burro tutti i giorni? E in quali quantità? Invece sono sicuramente tanti coloro che, quotidianamente, ingurgitano grandi quantità di olio di palma presente negli alimenti trasformati. Il palma infatti viene utilizzato come grasso pressoché esclusivo nei seguenti prodotti: biscotti, fette biscottate, crema alle nocciole, in quasi tutte le merendine, nei grissini, negli snack salati, dolci, brioche, prodotti da forno, barrette dolci e salate, cracker, patatine fritte, piatti pronti, alimenti impanati, crocchette di pollo, gelati, salse, condimenti, sandwich, gelati industriali, basi pronte per torte e sfoglie, margarine vegetali, fritture al ristorante, miscele di olio per frittura domestica, latte in polvere per neonati, biscotti per bambini al di sotto di 36 mesi, noodles… In ogni caso bastano due biscotti frollini della linea Mulino Bianco per superare i quantitativi consigliati di acidi grassi saturi ingeriti provenienti da prodotti da forno.
Visto che il palma si trova dappertutto è facile rendersi conto di quanto sia scorretto il riferimento alla dieta bilanciata. Questo articolo pubblicato sul nostro sito come altri spiegano bene perché ogni giorno i giovani assumono quantità esagerate di olio di palma in modo inconsapevole. Il menu tipo di un bambino contiene il doppio dei grassi saturi consigliati.
Olio di palma ‘benefico per l’ambiente’?
Anche la frase seguente è poco credibile: “Ha una produttività per ettaro dalle 5 alle 11 volte superiori a qualsiasi altro olio vegetale, l’olio del frutto è già di per sé un bene per l’ambiente”. Appurato che la coltivazione delle palme da olio, che si concentra nel Sud-Est asiatico (in particolare in Indonesia e Malesia), abbia comportato e comporti ancora l’abbattimento delle foreste tropicali per far spazio alle nuove piantagioni, questo elemento va considerato nell’ambito delle conseguenze in termini di rischi per la biodiversità e di distruzione dell’habitat di numerose specie, tra cui l’orango. Senza contare l’impennata di gas serra nell’atmosfera e lo stravolgimento dell’assetto idrogeologico del territorio. Le aree destinate alla coltivazione dell’olio di palma nel mondo in ogni caso continuano ad aumentare a discapito delle aree di grande valore ambientale, distrutte e non lasciate alle foreste tropicali.
Il testo prosegue con il coinvolgimento del mondo green: “Ecco perché le grandi associazioni ambientaliste internazionali non promuovono il boicottaggio”. Ci sarebbero dunque delle associazioni ambientaliste internazionali che “non promuovono il boicottaggio dei prodotti con olio del frutto di palma ma supportano un acquisto di olio rispettoso delle foreste e delle comunità locali”. Aidepi si dimentica di specificare quali siano queste associazioni ambientaliste internazionali e soprattutto quali siano le metodologie di produzione sostenibile.
La Tavola rotonda per l’olio di palma sostanibile
Visitando il sito di Aidepi le cose si fanno più chiare: parlano di WWF (World Wide Fund for Nature), Global Environment Centre (Centro mondiale per l’ambiente) o Fauna and Flora International, le quali fanno parte della Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil), ovvero un’associazione non governativa multi-stakeholder per i prodotti derivati dalla coltivazione sostenibile di palme da olio. I membri e quanti partecipano alle sue attività hanno diversi background (società di sfruttamento delle piantagioni, fabbricanti e rivenditori di prodotti a base di olio di palma, ONG ambientali e sociali), quindi molti di loro hanno degli interessi ben dichiarati per promuovere il commercio di olio di palma.
Premesso questo, l’associazione assicura che, se si acquista olio di palma certificato Rspo, significa che il produttore è stato obbligato a rispettare alcuni criteri tra cui: una pianificazione obbligatoria delle piantagioni da convertire alla certificazione, nessun conflitto significativo per la terra, nessuna sostituzione di foresta primaria o aree ad alto valore di conservazione e nessuna controversia sindacale non risolta.
Non tutti sono d’accordo
Questo almeno quanto dichiarato da Rspo, anche se Greenpeace International, per esempio, denuncia la violazione di tali criteri. Nella nota di Greenpeace si dimostra come la maggior parte della deforestazione avvenga in concessioni controllate da membri della RSPO. E a questo punto il dubbio viene anche per quel che riguarda il rispetto delle comunità locali. È infatti documentato che la maggior parte dei produttori di olio di palma si stia approfittando dei vuoti legislativi in materia fondiaria e di pianificazione del territorio per appropriarsi di ampie zone forestali senza però consultare le popolazioni locali, che dalla foresta traggono il loro sostentamento, e soprattutto senza alcuna ridistribuzione dei profitti. Non solo, l’olio in questione viene prodotto nei paesi in cui il costo del lavoro è tra i più bassi al mondo.
L’Aidepi crede fortemente in un approvvigionamento sostenibile delle materie prime agricole. Non solo, “le principali aziende utilizzatrici di olio di palma sono impegnate ad acquistare solo ed esclusivamente tale ingrediente con certificazione di sostenibilità ambientale”. Rimaniamo allora in attesa di una lista delle aziende che lo utilizzano davvero, anche perché, secondo i dati forniti dalla stessa Aidepi, solo il 18% di olio di palma rappresenta quello certificato. E visti i consumi in aumento (in Italia +26% solo nel 2014 secondo Istat) ci viene da pensare che, all’industria alimentare, ne serva molto di più di tale cifra.
Alla luce di queste considerazioni l’ultima frase della pubblicità “sì, l’olio di palma rispetta l’ambiente e la salute” è anch’essa fortemente ambigua e trae in inganno i lettori. Per questo chiediamo all’Autorità un intervento urgente per bloccare subito l’ulteriore uscita di messaggi e di censurare la pubblicità.
© Riproduzione riservata
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
giornalista redazione Il Fatto Alimentare
Vi consiglio vivamente che si avvia una campagna simile contro la produzione degli oli di oliva falsificati da un’industria multinazionale che elabora gli oli di qualità inferiore di varia provenienza e li commercializza come “olio extra vergine d’oliva” made in Italy.
Ho letto attentamente ciò che avete pubblicato riguardo ai pelati cinesi, all’olio di palma, all’olio di oliva,
io che sono una signora di età avanzata, cerco nel mio piccolo di stare attenta a quello che acquisto, ma ho dei nipoti e non sempre si può negare un biscotto, una pasta al pomodoro o pane e olio, allora, visto che i vostri discorsi vertono ad abolire tutto questo, diteci quello che si può dare ai nostri bambini senza rischiare brutte malattie!
I pelati cinesi non esistono in commercio . Tutti i pelati e le passate di pomodoro vendute in Italia sono made in Italy. Per l’olio di palma scelga biscotti con olio di oliva o altri oli come girasole o mais diversi da palma
È vergognoso come grande industria e stampa siano legati da biechi interessi commerciali. Bene la segnalazione all’Antitrust, ma servirà poi a qualcosa, in un sistema in cui di sano c’è rimasto ben poco?
Comunque i vari interventi di laboratorio che fanno sull’olio di palma vengono fatti anche su quello d’oliva. Lo scopo è sempre il solito, ricavare il massimo profitto con il minimo costo. Risultato: olio extravergine d’oliva a prezzi stracciati sugli scaffali e ettari di olivete abbandonate nelle zone di produzione più prestigiose come la Toscana, perché i piccoli produttori come noi non riescono a stare nei costi. Qual è il senso?
Ci auguriamo di leggere un articolo che scavi a fondo anche nel business dell'”oro verde”. La gente deve sapere!
Complimenti per la vostra testata
Lei Sig. Giuseppe ha perfettamente ragione. Il consumatore medio, purtroppo, mira solo a pagar meno il prodotto e, pertanto, gli industriali “disonesti” vanno a nozze. Come si puo’ pensare di acquistare un buon olio se lo si paga poco piu’ di 5 euro o, addirittura anche meno. Cordialita’.
Non si capisce come mai ii famosi prodotti come Nutella e Mulino Bianco e Bauli e tutti gli altri non utilizzano materie prime italiane come i nostri famosi oli.
Sostene che l’olio di palma fa bene alla salute è un grosso errore. Dietrp tutto questo c’è il dio denaro
che non guarda in faccia nessuno, nè le persone, nè gli animali come L’Oran Gutan e l’Elefante Pigmeo
che scompariranno e la foresta primordiale dell’Indonesia, Patrimonio dell’umanità e non.
Per quanto riguarda i ‘nostri famosi oli’ ci andrei cauto visto che per l’olio d’oliva importiamo il quadruplo di quello che produciamo.
Dietro c’è sempre il dio denaro, oltre alla necessità di mangiare tutti i giorni.
E con che autorità morale , dopo avere ‘deforestato’ migliaia di ettari di querceti secolari per piantare gli uliveti di cui ci facciamo vanto e che aggraziano la vista delle colline del nostro centro Italia, adesso andiamo a rivendicare patrimoni per l’umanità togliendoli dal piatto di chi l’ha sempre avuto vuoto ?
p.s.: ‘per l’olio d’oliva importiamo il quadruplo di quello che produciamo’….voleva essere un’iperbole….prima che qualcuno contesti inumeri
Rispondo a Piergiorgio, che paragona il nostro disboscamento storicamente lontano per coltivare l’olivo a quello attuale dell’Indonesia. Allora il vantaggio fu goduto da migliaia di picooli e grandi coltivatori, oggi i profitti delle multinazionali rimangono a loro e non si riflettono in benessere per la popolazione. Anzi, la cattiva qualità della alimentazione sta provocando guasti enormi per l’obesità diffusa nella popolazione della Malesia. Per non parlare del rapporto tra le migliaia di ettari disboscati anche in Africa e la popolazione, che è completamente sproporzionato.
Paolo, quel che dici, sul dove vanno i profitti, è vero. Però è anche vero che popolazioni che prima non mangiavano, adesso mangiano, non solo l’olio di palma che direttamente producono, ma anche grazie all’indotto che questo genera, anche se, come dici tu, il grosso dei profitti va alle multinazionali. Che poi le abitudini alimentari stiano degenerando tanto in occidente quanto nel terzo mondo, è un altro aspetto del problema, ma noi occidentali, non abbiamo alcuna autorità morale che derivi da come abbiamo gestito il nostro suolo per erigerci a tutori del loro. Ma, tornando a noi, a proposito della deforestazione, se, l’uso alimentare dell’olio di palma è oggetto di discussione, non ho visto nessuna iniziativa di rilievo per contrastare l’uso che se ne fa invece nella produzione di saponi, creme e cosmetici vari, che è nell’ordine del 30% della produzione totale, incidendo quindi per un terzo delle superficii utilizzate (disboscate) quando potrebbe essere abbastanza tranquillamente sostituito, per esempio, anche dal riciclo degli olii esausti. Per non parlare della maggior parte dei disboscamenti che vengono realizzati in africa non tanto per uso alimentare quanto per la produzione di bio-combustibili, cosa che trovo semplicemente allucinante. Però, anche quì, mentre puoi leggere grandi levate di scudi perchè il mulino bianco fa i tarallucci con l’olio di palma, non ho mai letto di nessuno dei 150mila che hanno firmato la petizione, che ha venduto l’auto e va a piedi per contrastare la deforestazione e proteggere gli oranghi. Saluti.
Etica aziendale e commerciale? Basta tirare lo sciacquone del wc e come d’incanto sparisce.
Conta solo il profitto!…delle pubblicita’ in tv poi, non parliamone…bravi,avanti cosi’!
Nulla da eccepire. Penso che però sia da tenere nella dovuta considerazione un altro importantissimo elemento: la resa agricola ed il conseguente impatto ambientale delle coltivazioni di piante per la produzione di oli.
Un piccolo raffronto sulle rese di produzione per ettaro, prese da questa fonte: http://goo.gl/YgsbvQ (ma ce ne sono altre in giro, tutte abbastanza simili e coerenti tra loro):
terreno coltivato a palma = ca. 4300 kg di olio, 4000 di polpa e 300 di palmisti
terreno coltivato a ulivo = 2000 kg di olio
terreno coltivato a cocco = 1350 kg di olio
terreno coltivato ad arachidi = 760 kg
terreno coltivato a girasole = 570 kg
terreno coltivato a mais = 140 kg
A mio avviso sarebbe preferibile investire in prodotti, come la palma, che richiedono minore superficie di terreno coltivato.
Concludo che sarebbe altresì più sensato chiedere ai produttori di alimenti non tanto di impiegare grassi di differente provenienza, quanto di ridurne quanto più possibile l’impiego.
Ma se si investe nelle palme poi abbiamo olio di palma… teniamo tutto nella dovuta considerazione ma non solo il profitto. Se l’olio di palma è dannoso negli alimenti non va utilizzato, anche se rende meglio di altri olii
Infatti, nella discussione manichea olio di palma buono-olio di palma cattivo, non sempre si tengono presenti gli aspetti positivi della coltivazione della palma, uno dei quali è proprio la resa per ettaro. Senza vedere solo l’equivalenza maggior resa = maggior profitto, come evidenzia Francesco.
Proprio dai dati che riporti si evidenzia, come improponibile, la sostituzione della palma con altri oli vegetali, senza guardare solo l’estremo, girasole o mais, come qualcuno in qualche commento ha suggerito, che vorrebbe dire un consumo di suolo maggiore di 3 – 30 volte, come si può calcolare a prima vista dalla tabella che riporti.
Nelle discussioni che seguono i numerosi post che questa testata pubblica sull’argomento si continuano ad alternare disquisizioni che vanno dal colesterolo al profitto, dalla difesa delle scimmie alla ricetta della nonna per i biscotti, dal consumo di CO2 nella deforestazione alla spesa al supermercato e si possono leggere le reazioni più diverse soprattutto emotive; d’altra parte come si può rimaner indifferenti alla minaccia di estinzione dell’ Oran Gutan ?
Quel che manca ancora di leggere sono delle sempllici considerazioni dettate dal buon senso tipo che’ i grassi sono la base dell’alimentazione umana’ e che ‘la popolazione mondiale che era di 4 miliardi negli anni ’70 oggi ha superato gli 8 miliardi’. Se stoppiamo la coltivazione della palma cosa gli diamo da mangiare, biscotti col burro a colazione e taralli all’olio d’oliva a merenda ?
Lei dimentica che c’è anche una questione di salute rilevante che le aziende fanno finta di ignorare e lei pur. Il problema è che il consumo di suolo continua ogni giorno e l’olio di palma è comunque uno dei peggiori grassi utilizzati nel cibo. Bisognerebbe dare la possibilità alla gente di scegliere ma oggi questo al supermercato non si può perché nei prodotti si usa quasi esclusivamente palma
Lungi da me voler sostenere che l’olio di palma fa bene, o che ‘faccia finta di ignorare’, ridimensionerei anche la questione salute: si è visto che i grassi esogeni incidono limitatamente sulla produzione di colesterolo ed anche la funzione del LDL sta assumendo sfumature diverse. Non dimentichiamo gli interessi diretti, la funzione e il numero di pubblicazioni che ha prodotto l’industria farmaceutica negli ultimi 30 anni. Condivido pienamente la sua affermazione che bisognerebbe dare la possibilità al consumatore di scegliere, e mi pare che molte aziende si stiano adeguando; se c’è la domanda, l’offerta si adegua, perché è nell’interesse stesso dell’azienda farlo (e non perché improvvisamente acquisiscono una sensibilità per la salute dei consumatori). Ma il punto è un altro ed è che continuare a mescolare i diversi aspetti del problema, come scrivo sopra, non porta da nessuna parte; legare la questione della salute al consumo del suolo è fuorviante.
Quello che sostengo è che, se anche le aziende sostituissero l’olio di palma con altri oli, soddisfacendo la domanda del consumatore, l’incidenza sul consumo di suolo sarebbe irrilevante oppure dannosa a causa del maggior consumo di suolo derivante da colture sostitutive, come indicato dalla tabella riportata sopra da fastleo63. Dobbiamo farcene una ragione: il consumo di suolo c’è ed aumenta perché aumenta la popolazione mondiale e conseguentemente aumenta la richiesta di grassi alimentari; a me non risulta che ci siano grassi sostitutivi meno impattanti. Continuare a rimpallare il discorso dal colesterolo all’ orango è solo una maniera per non dare una risposta a questo fatto, non per cattiveria, magari solo perché, al momento, una risposta soddisfacente non c’è.
Ben altro risultato sarebbe, invece, andare a incidere sulla deforestazione sostituendo o limitando l’utilizzo del grasso di palma per usi non alimentari che è della misura del 30 % della produzione totale.
Concordo pienamente.
Comunque, mangiando in modo corretto (pane e marmellata e non biscotti, frutta e non merendine, niente fritti o prodotti pronti…)di olio di palma in tavola ne arriva poco. Nella mia dispensa praticamente non ce n’è. Il vero problema non credo sia l’olio di palma, ma le nostre abitudini alimentari.
Certo quello che dice è vero ma solo in parte . Io pur avendo una buona alimentazione mangio biscotti , fette biscottate con marmellata e altri prodotti industriali come fanno milioni di consumatori. Il problema è che al supermercato trovo solo prodotti con olio di palma
Per favore insistete con ogni mezzo. Ho imparato una cosa, che quando un consiglio viene da una determinata fonte, di certo non sbagli a fare il contrario di quello che tale fonte ti dice. Pertanto, se questi ci dicono che l’olio di palma va bene e fa bene, di sicuro va male e fa male, senza bisogno di alcuna altra prova. Sarebbe ora che anche chi ci governa si regolasse così, anziché perdere tempo a leggere centinaia di pagine di studi c. d. scientifici, commissionati da non si sa bene chi (e pagati, in ultima analisi, sicuramente da noi).
Il fatto che la produttività dell’olio di palma sia da 5 a 11 volte superiore per ettaro a qualsiasi altro olio vegetale, la dice lunga sulla convenienza ad usare questo prodotto rispetto ad altri più costosi. La tutela della salute, poi, non è compito dell’industria più o meno alimentare. Per quella: ognuno si curi la propria. Anche l’industria farmaceutica deve campare. O no?
Il fatto che la produtività dell’olio di palma sia da 5 a 11 volte superiore per ogni ettaro a qualsiasi altro olio vegetale, la dice lunga sulla convenienza ad usare questo prodotto rispetto ad altri più costosi. La tutela della salute poi, non è compito (secondo loro) dell’industria più o meno alimentare. Per quella: ognuno si curi la propria. Del resto l’industria farmaceutica deve campare pure lei. O no?
@francesco:
comprendo perfettamente i giustificatissimi timori per la salute, ma francamente comincio a trovarli un poco eccessivi.
Pur avendo anch’io aderito senza indugio alla petizione su change.org, mi sto accorgendo che in questi ultimi giorni la cosa sta assumendo, sul web, i toni di una vera e propria campagna fintosalutistica. Il tutto, facendo di tutte le erbe un fascio, senza il benché minimo accenno a ricerche o studi seriamente condotti che avvalorino quanto viene di volta in volta affermato.
Per mia natura sono “skeptic” e qundi molto diffidente, e mi piace documentarmi. Sul sempre eccellente Wired (http://goo.gl/6yGgcl) ho trovato, ad esempio, una seria e oggettiva disamina sull’argomento.
Consiglio anche le letture nel blog del chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini ospitato sul sito di Le Scienze (http://goo.gl/Ej5TC) dove spesso si parla, in maniera sempre ben referenziata, di cibo e salute.
Al proposito ricordo che, durante una intervista su Radiio24 nel programma “Il Gastronauta” dello scorso febbraio, lo stesso Bressanini, assieme al fisico della materia ed esperto di biochimica e biologia molecolare prof. Davide Cassi, ha parlato, con competenza e cognizione di causa, anche dell’olio di palma. Magari in giro si può ancora trovare il podcast…
Ribadisco il concetto: è molto più utile e produttivo fare campagne di sensibilizzazione per la riduzione generale della quota grassi negli alimenti, piuttosto che demonizzare oltremodo l’olio di palma. Esso ha, più o meno, gli stessi difetti (leggasi grassi trans) di altri prodotti molecolarmente affini, e per questo motivo deve essere anch’esso assunto con la dovuta moderazione; sulla base dell’antico concetto, tutt’ora valido, che è soprattutto la dose che fa il veleno…
Wired , Bressanini esperti di alimentazione… forse un pò. Noi ci occupiamo di questi argomenti tutti i giorni da 5 anni, abbiamo una redazione super specializzata e ci affidiamo ai migliori esperti sul campo. Comunque ognuno sceglie gli esperti che vuole
Al di là delle eccessive e ridicole demonizzazioni, che arrecano più danno che vantaggi alla causa ( assumo olio di palma, ergo urino sangue!) finalmente qualcosa si muove contro gli attentati alla salute messi in atto con cinica noncuranza dai colossi dell’industria alimentare. Plaudo, pertanto, alla lodevolissima iniziativa del “Fatto” di dare una sacrosanta informazione alternativa e di denunciare le aziende alimentari che fannor pubblicità ingannevole
Ho letto l’articolo. Non si può sostenere che le affermazioni pubblicate delle aziende siano false: che l’olio di palma non sia dannoso “all’interno di una dieta bilanciata” e vero. Punto. La gente si sfonda di prodotti che contengono olio di palma? Il problema rimane la dieta sbilanciata, non l’olio di palma.
Inoltre nel confronto tra olio di palma e burro non ho letto il contenuto di grassi trans (molto dannosi) e colesterolo: quanti ce ne son nel palma e quanti nel burro? Perchè se si cita solo l’acido palmitico (che è solo uno dei grassi saturi contenuti) sembra quasi che il burro sia più salutare. Ma non è così. Vero?
Legga il nostro articolo sul confronto tra burro e palma e capirà che le differenze ci sono eccome. Forse lei è distratto ma sul sito abbiamo più volte evidenziato questa differenza ecco il link dove l’agenzia Francese e belga prendono posizione (http://www.ilfattoalimentare.it/olio-di-palma-belgio.html ). Dopo avere letto vedrà che la sua idea spiritosa di fare una petizione sul burro le sembrerà inopportuna.
Se l’articolo a cui si riferisce è questo http://www.ilfattoalimentare.it/olio-di-palma-laura-rossi-inran.html continuo a non trovare un confronto completo del profilo nutrizionale tra burro e palma. Allora taglio corto e lo riporto io;
– grassi saturi: 51% e 49%
di cui
miristico: 7% e 1%
palmitico: 22% e 43%
stearico: 10% e 4%
a catena corta: circa 12% e 1%
– grassi monoinsaturi: 24% e 46%
di cui
oleico: 17% e 36%
trans: 3% e 0%
– colesterolo (mg): 215 e 0
Siamo d’accordo che i garssi saturi vanno limitati perchè sono “cattivi”, i garssi insaturi sono “buoni” (soprattutto l’oleico), i garssi trans sono “cattivissimi”, e il colesterolo è “cattivo”? “E’ vero, ha proprio ragione, le differenze ci sono eccome: a quando una petizione per mettere al bando il burro?”
Ma pensate davvero che usando qualsiasi altro olio a livello industriale il risultato cambierebbe sulla qualità del prodotto? Pensate che se usassero l’olio di oliva vi metterebbero l’extra vergine? Quando mai a grande livello industriale alimentare si fanno prodotti di qualità? Vogliamo parlare dei sottaceti, delle salse e di tutti i prodotti che troviamo sugli scaffali? Non è la materia prima in sè, ma come la lavorano che incide davvero. Per non parlare di additivi e conservanti anche dove non sono necessari. Se volete prodotti di qualità andate a prenderli nei piccoli forni artigianali o fateveli voi, la verità è che noi occidentali vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca.
Cambierebbe la quantità dei grassi saturi, e non e un aspetto trascurabile. La realtà è che molte persone comprano nei supermercati prodotti industriali e in questo ambito noi cerchiamo di orientare i consumi. Non è vero che in tutte le lavorazioni industriali si usano additivi, a volte sono inutili a volte sono necessari.
Bisogna star attenti anche al panificio sottocasa. Appena trasferita (da golosona quale sono) al panificio sotto casa mi compravo brioche dolcetti ecc. e stranamente li trovavo davvero poco buoni, se non proprio cattivi, infatti ho smesso di farmi tentare ben presto. Dopo un po’ (dopo che hanno avuto la visita di un ispettore, non so di che tipo a dire il vero), hanno cominciato ad apparire i cartelli su tutti i dolci con la scritta: “prodotto congelato all’origine”. Ora si spiega, io credevo di comprare un prodotto fatto da loro, e non capivo come potesse essere così scadente, e poi ho scoperto che non era un prodotto artigianale, ma un prodotto industriale della peggior qualità. e questo era il forno di fiducia di alcuni miei conoscenti…. Fiducia tradita oserei dire.
Per non parlare del pane, in genere fatto da loro, ma da quando ho la macchina del pane, anche usando la farina del discount, il mio pane è più buono di quello della maggior parte dei panifici della zona, anche se il pane lo fanno loro davvero.
Quindi attenti anche ai piccoli forni, non tutti sono così artigianali come vorrebbero far credere
Io compro sempre prodotti dopo letta bene l’etichetta,sempre che dica il vero,spero. Tonno solo c/olio ‘oliva;biscotti idem,salvo raramente diversi ma in minima quantuità;sughi pronti nessuno,me li sono sempre fatti io;le pizze le ho sempre fatte come mi fu insegnato appena finita la guerra da un pizzaiolo napoletano. Inoltre uso guanti in quantità,cambio coltello fra il crudo ed il cotto. Non mi è mai successo intossicazioni alimentari né a me né agli ospiti;i parametri dicono che sto bene con HDL/LDL. Vado avanti con i miei metodi e i miei principi e sono arrivato alle 92 primavere. Olii che uso da sempre:oliva,arachidi (frittura)mais per impasti dove non voglio si senta di più l’olio. Per più di 30 anni ho fatto orto hobbistico senza chimica,combattendo i parassiti con altre piante da me elaborate e trattato il terreno dopo analisi dello stesso (gascromatografica)…..sono qua e spero di restarci ancora a lungo col mio fare.
Tra una fetta di pane spalmata di burro e una con l’olio di palma io credo che chiunque sceglierebbe quella con il burro. Quindi non vedo perché mangiare prodotti che contengono sostanze che prese singolarmente non mangeremmo. Il problema è il costo? Bene, si mangia di meno, si mangia più semplice e si cucina di più.
Per quanto mi riguarda il discorso ambientale è da solo sufficiente a giustificare l’abbandono dell’uso dell’olio di palma. Ma per l’aspetto salutistico volevo suggerirvi di stilare e pubblicare una tabella ove, per ogni marca tra le più note, utilizzatrice e sponsorizzatrice dell’olio di palma e aderente all’Aidepi, mostriate con quanto prodotto si raggiunge/supera il limite previsto secondo la stessa dieta bilanciata da loro richiamata nella pubblicità dell’Aidepi. Voi avete citato i due biscotti frollini del Mulino Bianco. Quindi bisognerebbe far notare loro e sottolineare che se in un giorno consumo i due biscotti del Mulino Bianco non posso più in quello stesso giorno, secondo quello che loro stessi dicono, consumare x cucchiaini di Nutella piuttosto che x grissini della Doria a pranzo, etc. Così dicendo l’Aideipi manda, si fa per dire, in fallimento i sui stessi associati.
Una tabella dei loro prodotti consumabili giornalmente e che per quel giorno escludono tutti gli altri sarebbe di forte impatto.
Tenete duro. 🙂
Michele
Purtroppo al supermercato la possibilità di scelta non esiste. Prima che partisse questa campagna contro l’olio di palma (vorrei ricordare contestato da agenzie sanitarie di stati esteri) l’unica alternativa era farsi le cose in casa. D’olio di palma son piene le merendine, ma anche crackers, grissini, schiacciatine, brioches, pasta sfoglia, pasta frolla e persino nelle piadine!
Se una donna lavora vi assicuro che è difficile sopperire cucinando a tutti questi prodotti.
Per questo la libertà di scelta ci deve essere data, non può esistere che uno sia obbligato a consumare grassi che ritiene scadenti e dannosi.
Grande Roberto (La Pira),
e grande equilibrio nel commentare fatti, statistiche e tabelle nutrizionali.
Apprezzo anche il contraddittorio di Piergiorgio e fastleo, ma non vorrei che nelle loro parole si dovesse sottintendere anche un certo “benaltrismo”: Roberto, da tecnologo alimentare, sostiene in pratica che l’olio di palma viene usato a perchè ingrediente di scarsa qualità (in molti sensi) al posto di altri oli/grassi più “sani” o più gustosi ma, purtroppo, più cari; si lamenta poi che tutti i primari marchi lo usino a tappeto; ci dice dunque, come consumatori, di valutare bene cosa compriamo e mangiamo (primo per non farci prendere i fondelli, poi perchè i grassi saturi non fanno bene alla nostra salute)
Credo che l’olio di palma sia “l’ultimo dei “problemi” nei prodotti dov’è contenuto.
Un alimentazione basata principalmente su prodotti confezionati non è sana (che abbiano o meno l’olio di palma). Dovrebbe essere questo il punto di discussione e non un ingrediente, almeno che non sia tossico. Quindi se si vuole dare un informazione corretta al consumatore è il prodotto confezionato come alimentazione principale da “limitare” e non uno degli ingredienti. Perchè altrimenti a me consumatore arriva il messaggio opposto: “è una campagna/lotta fra parti con chissà quali interessi sotto” e per questo sottovaluto il messaggio e continuo a magiare le stesse cose o cercarne altre simili che credo più “sane” solo perchè “non hanno l’olio di palma”. Il Burro come sostituo? E come viene ottenuto il latte dalle mucche con cui si fa il burro? E’ davvero più sano ed etico dell’olio di palma? E’ veramente in grado di sostituire l’olio di palma ovunque in [ cit: da voi citati nell’articolo] biscotti, fette biscottate, crema alle nocciole, in quasi tutte le merendine, nei grissini, negli snack salati, dolci, brioche, prodotti da forno, barrette dolci e salate, cracker, patatine fritte, piatti pronti, alimenti impanati, crocchette di pollo, gelati, salse, condimenti, sandwich, gelati industriali, basi pronte per torte e sfoglie, margarine vegetali, fritture al ristorante, miscele di olio per frittura domestica, latte in polvere per neonati, biscotti per bambini al di sotto di 36 mesi, noodles… ]
Ipotizziamo cmq. che si possa sostituire col burro: che produzione di burro ci dovrebbe essere per soddisfare tutta questa richiesta?
Come vengono nutrite ed allevate le mucche che daranno il latte per farlo?
E quanta sarà la quantità di burro che andremo a mangiare nell’arco della giornata se sostituirà (ipotizziamo) l’olio di palma?
Sarà davvero una scelta più sana ed etica?
E tutti i vegani che non vogliono saperne del burro ma vogliono mangiare questi prodotti?
E’olio d’oliva come sostituto? Come si toglie il sapore all’olio d’oliva che dominerebbe in modo negativo tutti gli alimenti dove viene messo?
E quanto olio di oliva si mangerebbe in un giorno?
Perchè il problema di fondo è che alla gente non interessa rinunciare a questi alimenti…
Questa è una battaglia persa in partenza perchè non si risolve un problema eliminando l’uso dell’olio di palma ma lo si sposta altrove creandone un altro e lasciando irrisolto il vero problema.
Ecco perchè ritengo questo vostra campagna contro l’olio di palma “strana”.
Perchè in tutti gli alimenti ci sono molti ingredienti che se assunti in eccesso possono far male o “danneggiano” l’ambiente nella loro produzione.
Quindi se deve essere informazione equa, lo sia a 360° altrimenti è informazione di parte (sia pro che contro) e questo essere di parte lascia spazio a tutte le considerazioni ed ipotesi.
Sia pro che contro.
A me in questo momento arriva che la vostra campagna è contro AIDEPI ed i produttori di olio di palma e non a favore della salubrità dei consumatori o a favore dell’ambiente.
E questo non mi piace perchè non mi porta a fare un uso sensato del cibo confezionato.