L’hanno chiamata Ceci n’est pas une steak, Questa non è una bistecca, l’efficace campagna pubblicitaria che riprende i quadri surrealisti di René Magritte. Ma Copa Cogeca, l’unione delle associazioni europee degli agricoltori, allevatori e delle loro cooperative, non sta affatto scherzando, anzi. Sta prendendo molto seriamente la questione della denominazione delle cosiddette “false carni”, i prodotti a base vegetale che stanno avendo un successo planetario con crescite a due cifre quasi ovunque. L’intento è molto chiaro e riprende analoghe campagne già lanciate negli Stati Uniti e altrove: impedire che questi alimenti vengano chiamati con gli stessi nomi degli omologhi di origine animale (soprattutto nel caso degli hamburger) perché, appunto, non sono carne, ma surrogati.
Come si legge nel manifesto, uscito su Agricoltura.it, allevatori e agricoltori non sono contrari alle fake meat di per sé, visto che loro sono anche produttori di ingredienti come piselli e soia necessari per realizzare gli hamburger vegetali, e comprendono che una parte di persone desidera consumare meno carne. Ma “se da un lato accogliamo con favore i prodotti a base di piante che utilizzano denominazioni e caratteristiche proprie, il nostro parere cambia nei confronti delle imitazioni che utilizzano denominazioni di prodotti a base di carne. Ci aspettiamo un marketing equo e coerente, che rispetti sia i consumatori che il lavoro svolto da generazioni di agricoltori e macellai in tutta Europa!” scrivono, spiegando che “la commercializzazione di questi finti prodotti lattiero-caseari o a base di carne può chiaramente indurre i consumatori europei a pensare erroneamente che queste imitazioni siano sostituti “uguali” agli originali”. E ancora: “se da un lato le “salsicce vegane” e gli “hamburger vegetariani” possono garantire un importante apporto proteico, dall’altro questi non hanno affatto lo stesso valore nutrizionale rispetto alle loro controparti di carne, e semplicemente non contengono carne. Anche se i consumatori sanno che non c’è carne in un “hamburger vegano”, sono indotti a credere che si tratti di un esatto equivalente nutrizionale”.
Nella parte seguente sottolineano ancora come l’autorizzazione a queste denominazioni aprirebbe la strada ad altre “truffe” e come sia in particolare il patrimonio culinario italiano a essere minacciato, con la sua tradizione di salsicce, prosciutti e quant’altro. La conclusione è che “per queste ragioni, la filiera zootecnica europea esorta gli eurodeputati a difendere l’emendamento 165 iniziale, come adottato nella relazione della Comagri sul regolamento Ocm nell’aprile del 2019 e a non accettare alcun compromesso al riguardo”.
Va ricordato che questo genere di campagne ha avuto fortune alterne – in alcuni casi, come per le bevande vegetali, hanno avuto successo, in altre no – e che in molti hanno già fatto notare come i consumatori sappiano benissimo di cosa si tratta e non confondono le polpette vegetali con quelle di carne. Ma la questione è arrivata a un punto cruciale. Già nell’aprile del 2019 come citato nel manifesto, l’Europa aveva stabilito che un prodotto vegetale non potesse avere la denominazione di uno a base di carne. Ma in seguito sono stati presi orientamenti diversi, e ora è giunto il momento di decidere: la votazione finale, con il Parlamento in seduta plenaria, è prevista per il 20 ottobre.
Quello delle carni vegetali è un business che fa gola a molti e spaventa altri: a livello mondiale vale già 4,6 miliardi di dollari, è in crescita costante e per il 39% è europeo. Accanto alle prime start up ormai diventate multinazionali, come Beyond Meat e Impossible Foods, oggi sono le grandi multinazionali come Nestlè, Kellog’s e Unilever a proporre i propri prodotti vegetali, nonché le catene di fast food come McDonald’s e Burger King. In Italia, Findus ha da poco lanciato Green Cuisine, una linea di hamburger, salsicce e polpette a base di piselli, già presente da alcuni mesi in Regno Unito e Irlanda, con l’obiettivo di raggiungere i 100 milioni di euro di fatturato entro il 2022. Se dovremo chiamarli in altro modo si capirà presto.
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Giornalista scientifica
Il mondo veg dovrebbe seriamente riflettere su questo importante aspetto formale , se uno è convinto che per stare bene non sia necessario mangiare carne e allegati perchè dovrebbe essere necessario questo furbesco artificio di sostituzione?
Penso che sia soprattutto una strategia dei produttori per stuzzicare la curiosità di clienti indecisi.
Dipende. Se di parla di “latte di soia” o “burger vegetale” non mi sembra una furbata ma semplicemente il nome più sensato per chiamare l’alimento. Con la normativa attuale bisogna dire “bevanda a base di soia” ma di fatto è un succedaneo del latte e nessuno è mai stato confuso sulla sua effettiva natura.
Eh, sì, è proprio vero che quando le lobby hanno paura di perdere potere (sotto forma di consumatori), ne inventano di ogni; altrimenti non ci sarebbe bisogno di scagliarsi contro denominazioni innocue: si è mai visto qualcuno sano di mente che confondesse il latte di soia con quello di mucca o i burger vegetali con quelli di carne? Inoltre sul fatto che i vegetali abbiano meno valore nutrizionale, insomma, basta con questi cliché, è stato dimostrato che le proteine dei legumi sono nobili quanto quelle della carne, anzi di più, se si considera la vita negli allevamenti intensivi. Noi diventiamo quello che mangiamo, ricordiamocelo sempre.
@Lorenzo
“Se di parla di “latte di soia” o “burger vegetale” non mi sembra una furbata”
Ah certo se li chiamassero veramente “burger vegetale” o “burger di soia” non sarebbe una furbata, invece usano nomi delibaramente ingannevoli in cui la presenza di carne non è chiaramente negata, e chi va di fretta (tutti) e si guarda solo l’etichetta (quasi tutti) leggendo “italburger” “buonburger” “burgernostro” cadrà nella trappola.
Dovrebbe metterlo in allarme il prezzo molto più alto, ma lì interviene il secondo meccanismo inconscio “è più caro DUNQUE è migliore”, quindi oltre a non aver comprato quello che voleva avrà anche speso di più, per la felicità delle multinazionali.
@Tiziana
“è stato dimostrato che le proteine dei legumi sono nobili quanto quelle della carne”
No, sono nobili, ma non sostitutive, e inoltre prive della vitamina B12 indispensabile al nostro organismo.
Non è ancora chiara una cosa, questi prodotti sono per chi la carne la mangia non per chi non la mangia.E mi preme dire un’altra cosa, al vegano può piacere il sapore della carne o del pesce ma se può anch’eglii mangiarla senza creare sofferenza non capisco dove sta il male.
@carola
“questi prodotti sono per chi la carne la mangia non per chi non la mangia”
Ma cosa dici, dove l’hai trovata questa cosa?
Secondo te dei prodotti fatti con solo vegetali sono per chi mangia la carne, ma non per chi non la mangia?
Quindi le barche sono fatte per chi va in montagna, ma non per chi va al mare?
Eppure il testo dell’articolo è chiarissimo, le varie Beyond Meat, Impossible Foods, Nestlè, Kellog’s, Unilever, McDonald’s, Burger King hanno scoperto il business del cibo vegetale e per ragioni di puro marketing lo vogliono chiamare con gli stessi nomi dei prodotti già famosi ma fatti con la carne.
“al vegano può piacere il sapore della carne o del pesce ”
Guarda che nessuno lo nega, ma mica si mangiano le etichette!
La propaganda sulle proteine nobili, fatta di mezze verità e più funzionale a salvaguardare i profitti di una intera industria che non ad una sana educazione alimentare, a quanto pare fa ancora presa su persone poco informate.
Peccato solo che le mezze verità restano tali, anche se profferite tipo da un personaggio che si ammanta di grande autorevolezza come il prof. Giorgio Calabrese.
A parte il fatto che bisogna trovare persone che accusino sintomi di malnutrizione a causa della rinuncia alla carne (quando è vero il contrario, ed è stato più volte scientificamente dimostrato che il consumo abituale di proteine animali aumenta il rischio di patologie degenerative, quelle sì da addebitarsi a malnutrizione), con una alimentazione varia e fatta di legumi, cereali, frutta e verdura il rischio di malnutrizione e di carenze è virtualmente pari a zero.
Il consumo di proteine animali non salva affatto da carenze di vitamina B12 in nessun caso: dobbiamo integrarla tutti, a meno di non mangiare ogni giorno frutta e verdura sporche di terra. Soprattutto perché anche gli animali destinati al macello, nella loro vita da stalla, ricevono a loro volta integratori in dosi massicce, non potendo andare al pascolo.
Queste campagne informative da parte dell’industria della carne sono un segnale di disperazione, in quanto una nuova coscienza sta prendendo sempre più piede e stanno tentando di salvare il salvabile.
Questo in quanto l’allevamento è sempre più nell’occhio del ciclone, a causa delle gravi conseguenze a livello sanitario ed ambientale che ha provocato. Per non parlare della inutile sofferenza di cui è responsabile.
“Il consumo di proteine animali non salva affatto da carenze di vitamina B12 in nessun caso: dobbiamo integrarla tutti, a meno di non mangiare ogni giorno frutta e verdura sporche di terra”
Ma questo è il colmo ma dove ve le sognate queste cose?
E’ assolutamente falso che consumando carne si possa avere carenza di B12, è una sciocchezza grande come il Colosseo, anzi come l’intero raccordo anulare, perché la B12 è presente proprio e solo nella carne e invece non è assolutamente presente nelle verdure, per questo i vegani devono comprarla in pillole in farmacia.
Che poi si debba mangiare qualcosa “sporco di terra” è un’assurdità talmente gigantesca che non merita neppure un commento, mangiare terra può venire in mente solo a uno che neppure ha capito che qui si stava discutendo di nomi dei prodotti ma se ne va completamente fuori argomento per fare affermazioni che oltre a essere sbagliate non c’entrano per niente col nome che viene scritto sull’etichetta.
Credo che si arriverà a vietare l’uso della parola carne e simili. Detto questo, una delle regole della pubblicità è: bene o male ma parlate di me. Credo che questa pubblicità paradossalmente aumenterà la curiosità verso questi prodotti…
Per quanto mi riguarda, sono interessato per la questione dell:’inquinamento degli allevamenti e le proverò sicuramente
se il problema è l’inquinamento considera che basta “pagare” il costo dell’inquinamento, c’è un mercato di certificati o più semplicemente di regolamentazioni.
Quindi tra un hamburger 85% bovino aberdeen a 19€ al kg e un acquaburger (primo ingrediente acqua) a 123€ CENTOVENTRI EURO al kg direi che forse forse non ne vale la pena neanche lontanamente…..
Lo stesso hamburger nel negozio vegano costa 207€ al kg…….
Anche in un hamburger 100% bovino l’acqua è il primo ingrediente 😉
@Andrea
Cortesemente, questo non è il posto per fare del populismo un tanto al chilo. Se si potesse attenere a fatti concreti e reali, gliene saremmo tutti grati.
Non esistono da nessuna parte burger vegani tanto costosi, magari manca una virgola. Evitiamo la diffusione di false affermazioni, come certi politici che non è opportuno nominare sono soliti fare.
La decisione purtroppo è già stata presa a livello europeo, alla faccia dei consumatori e delle motivazioni sacrosante della campagna “Ceci n’est pas un steak”, e quindi se il nostro goveno non interverrà sulle etichettature o almeno sul posizionamento dei finti hamburger ce li troveremo tranquillamente etichettati a scimiottare quelli veri e in posizioni ingannevoli sugli scaffali.
Ancora una volta il grande business è stato tutelato a scapito del consumatore, che si troverà ancora prodotti con etichette truffaldine che strilleranno HAMBURGER! in caratteri di scatola, con la foto di un sugoso vero hamburger di carne autentica e la scritta, piccolissima e in un posto poco visibile, “la foto rappresenta solo un suggerimento di preparazione”.
La confessione che è un pastone di soia eccetera e che di carne non ce n’è neppure una traccia verrà scritta con noncuranza deliberata in un posto scomodo e in minuscoli caratteri che si confondono con lo sfondo, in modo che si trovino solo se si cercano con attenzione: rispettando la legge, per carità, ma contando sul fatto che il consumatore va di fretta e non si accorgerà del trucco.
C’è solo da sperare che venga imposta per legge almeno la separazione netta e rigida tra i reparti, in modo che il consumatore sappia di trovarsi davanti a prodotti che con la carne non hanno nulla a che fare, cosa che da una parte farebbe contento chi la carne non la vuole neppure vedere, e potrà trovare i suoi finti hamburger nel reparto verdura, e al contempo proteggerà chi invece non ha pregiudizi contro la carne e vuole portare a casa il prodotto autentico che sta cercando nel reparto carne.
Ma il vero problema è: perché la cosa ti infastidisce tanto? stai tranquillo, potrai continuare a mangiare le tue bistecche come sempre, alla faccia di tutte le persone che sono preoccupate per un minore impatto ambientale e che anche per questo hanno scelto una alimentazione più consapevole (e che sicuramente non confondono un burger vegetale da uno di carne, solo in base alla denominazione)
@Tiziana
“perché la cosa ti infastidisce tanto?”
Perché per me l’onestà e la chiarezza sono fondamentali, e approfittarsi subliminalmente dei consumatori per spingerli a comprare cose diverse da quelle che cercano è una vecchia odiosa tecnica della pubblicità, ti vendono non l’automobile ma la bionda coricata sul cofano e che ti accompagna sui monti Tatra, anche se in fondo sai che ci farai da solo la coda in tangenziale da casa a ufficio.
Un vegetariano non dovrebbe avere bisogno di dare un falso nome a una polpetta di verdura, e un normale consumatore che nella fretta degli ultimi minuti, prima che il super cacci tutti fuori e chiuda, deve poter afferrare al volo un blister di HAMBURGHER senza poi scoprire a casa che in piccolo c’era scritto che erano fatti non col vitello ma con la soia.
E magari soia birmana OGM a Km 8.000 invece di ottima carne italiana prodotta nell’allevamento davanti a cui passa ogni mattina portando i bimbi a scuola.
i prodotti a base di soia venduti in italia (senza considerare che la grandissima parte di questi prodotti sono di origine da agricoltura biologica), sono per la quasi totalità prodotta con soia non GM, e in gran parte con soia italiana. Nei supermercati non troverà prodotti a base di soia GM che, anche se possono essere venduti, devono recare in etichetta l’indicazione di prodotto contenente un ingrediente GM (non amata dai consumatori).
Il 93% della soia pro capite l’anno consumata nell’Unione Europea è in realtà un consumo “indiretto” dovuto ai mangimi per gli animali.
La soia birmana (Km 8000) arriva in italia per alimentare gli allevamenti che poi rivendono carne a Km0…
ricordiamo che servono 13 kg di soia per 1 Kg di carne.
“ottima carne italiana prodotta nell’allevamento davanti a cui passa ogni mattina portando i bimbi a scuola.”
Ecco il risultato del lavoro della lobby della carne nei decenni passati.
@Mauro l’esempio che fai dell’hamburger preso al volo al supermercato è la dimostrazione di come ti hanno inculcato la qualità che si vede sono nelle parole e immagini del marketing.
Davvero pensi che l’hamburger che compri al supermercato provenga da un buon allevamento la cui carne degli animali allevati è di ottima qualità?
@Luca
A me sembra che mauro abia detto tutt’altro, e cioè che il consumatore va protetto e non ingannato e che tra prodotti delle multinazionali che cercano di spacciare per veri i fintiburger con nomi ingannevoli, e prodotti di provenienza nostrana si debba poter scegliere consapevolmente e non fidandosi a prima vista dello strillo in etichetta, l’esempio dell’allevamento sotto casa è un evidente provocazione per quelli che credono che la carne dal macellaio arrivi chissacome da chissadove e poi si buttano sui vegburger fabbricati dalle multinazionali che hanno forzato la mano all’Europa non si sa bene con quali mezzi per poter usare nomi di prodotto evidentemente ingannevoli.
ma lei argomenta sempre le stesse cose vedo, parla sempre di inganni e di fretta del povero cosumatore ignaro del complotto che sempre di fretta, perchè per lei i consumatori sono sempre di fretta compra un burger veg anzichè di carne. quindi secondo lei sono tutti stupidi. Si renda conto che la gente sa leggere e sa ragionare se vuole, inutile attaccarsi a queste giusificazioni per dire che una cosa non va bene. incredibile
@Giorgio mi riferisco al Mauro (quello con la foto nel profilo) e al commento che è stato pubblicato il 10 Novembre 2020 alle 11:31
Signor Mauro, trovo personalmente che stia facendo una polemica esagerata. Lei ne fa una questione di principio, ma che fastidio Le può dare una persona a cui va di consumare sostituti della carne?
Così lascia ad intendere di avere degli interessi particolari da difendere. Se è così, lo dica chiaramente, per cortesia, e la facciamo finita qui.
Nessuno Le toglierà la Sua fettina dal piatto né Le impartirà dei lapidari giudizi morali per questo, anche se forse una piccola riflessioncina da parte Sua sarebbe più che auspicabile…
Suvvia, la vita è bella, queste diatribe costano pure fatica, dia retta.
Al bando quindi anche il salame di cioccolato (non è puro suino!), le lingue di gatto (sono dei dolci, non vere lingue!) e il latte di cocco (il cocco non è un mammifero!).
anche l’ovetto kinder strapazzato non viene…
veramente ci sono persone che scambiano un hamburger veg??????
ma veramente tiriamo in ballo le lobby?
Roberto, davvero tu trovi il salame al cioccolato nel reparto salumi? Come il mio “omonimo” che trova gli ovetti Kinder nel reparto pollame e crede che i finti burger vegetali li faccia a mano con tanto amore uno per uno un piccolo artigiano della Val Dondona e li porti al super col suo carrettino con l’asinello?
E non che nella realtà sono prodotti da multinazionali… cioè quelli che hanno portato l’Europa ad approvare i nomi ambigui?
Frequentate super molto male organizzati, di solito dolci e ovetti kinder sono nel reparto pasticceria con le lingue di gatto, che comunque se fossero fatte veramente col gatto le acquisterebbero solo i vicentini delle barzellette.
“Ci aspettiamo un marketing equo e coerente, che rispetti sia i consumatori ….”
Ma se il settore della carne ha fatto e continua a fare campagne per trasmettere una qualità della carne che c’è di fatto solo a parole (proprio attraverso il marketing} e che adesso inizieranno a martellare con l’ingannevole messaggio “benessere degli animali” quando la maggior parte della carne che viene consumata proviene da mega allevamenti intensivi.
Che ipocrisia!
per non parlare dell’industria del latte con la mucca tutta felice, quella non è pubblicità ingannevole?