Quando un consumatore compra una scatoletta di tonno con la celebre “spunta blu” di MSC (Marine Stewardship Council), si aspetta di acquistare un prodotto sostenibile, che rispetta gli oceani, le risorse ittiche e le altre specie marine. Ma sono diverse le voci critiche nei confronti di quello che ad oggi è considerato il migliore marchio di sostenibilità per il settore ittico, accusato di non fare abbastanza per proteggere le specie a rischio e per evitare le catture accessorie. Ad indagare sulla questione ci ha pensato il quotidiano britannico The Guardian che ha pubblicato un’inchiesta sui limiti della certificazione.
Secondo esperti e attivisti impegnati nella conservazione delle specie a rischio, il marchio MSC in passato ha certificato (e continuerebbe a certificare) aziende ittiche che con le loro pratiche mettono in pericolo le specie marine minacciate. Tanto che nel 2017, ben 53 organizzazioni internazionali hanno chiesto al Marine Stewardship Council di rivalutare alcune attività che costituivano un rischio per alcune specie.
Tra di esse c’era anche la pesca degli astici nel Golfo del Maine, una porzione di Oceano Atlantico che si trova proprio sulla rotta migratoria di una specie di cetacei considerata criticamente minacciata. Si tratta delle balene franche nordatlantiche (Eubalaena glacialis), che così corrono il rischio di rimanere impigliate nell’attrezzatura utilizzata per la pesca agli astici. MSC ha sospeso la certificazione di questa attività solo dopo la sentenza di un giudice federale, secondo cui non ne era stato valutato adeguatamente l’impatto da parte delle autorità statunitensi. Tuttavia, lungo la rotta migratoria di questa specie operano ancora sei aziende che pescano granchi e astici certificate come sostenibili.
Lo scorso marzo, il docufilm di Netflix Seaspiracy aveva accusato MSC di certificare aziende ittiche con elevati tassi di catture non intenzionali di specie come delfini e tartarughe. Il Marine Stewardship Council ha negato le accuse, ma anche membri del suo consiglio consultivo sono preoccupati dalla questione delle catture accessorie. Secondo Rory Crawford di BirdLife International, consulente di MSC, su 23 aziende certificate da lui stesso analizzate, solo tre monitoravano attivamente le catture non intenzionali. Secondo il WWF, che ha contribuito alla creazione del marchio, la certificazione MSC dovrebbe avere standard più rigorosi e applicare attivamente il principio di precauzione.
In risposta alle critiche, MSC ha annunciato una revisione delle sue linee guida, proponendo un approccio più conservativo e considerando come “a rischio” qualsiasi mammifero, anfibio, rettile e uccello marino, indipendentemente dal livello di minaccia. Si sta valutando anche la possibilità di includere squali e altre specie di pesci tra quelle da tutelare. Se queste misure dovessero essere approvate, le aziende certificate dovranno necessariamente ridurre le proprie catture accessorie. La revisione sarà completata nel 2022, ma le linee guida saranno applicate nel 2023 dalle aziende che ricevono una nuova certificazione, e solo nel 2025 da quelle già certificate, dato che le norme Fao danno tre anni di tempo alle imprese per mettersi in regola.
Il marchio MSC negli ultimi anni è cresciuto molto, passando dalle 315 aziende ittiche certificate nel 2017 alle attuali 421 (di cui 16 sospese al momento), che rappresentano il 14% di tutto il pesce catturato al mondo. I prodotti con la “spunta blu” in etichetta nel 2020 hanno raggiunto un valore complessivo pari a 12 miliardi di dollari. E molti evidenziano il conflitto di interessi del sistema, dato che le aziende pagano per ottenere la certificazione e i distributori versano una royalty per vendere i prodotti con il marchio.
In realtà, tutte le criticità sollevate da esperti e associazioni potrebbero avere origine nella natura di MSC. Non si tratta infatti di un’organizzazione dedita esclusivamente alla protezione dell’ambiente, ma cerca di conciliare la conservazione con la sussistenza delle aziende ittiche e delle persone che ne dipendono, cercando favorire una gestione sostenibile delle risorse ittiche. Secondo Ruth Westcott dell’associazione ambientalista Sustain, in assenza di severe politiche nazionali e internazionali per tutelare gli oceani, anche se MSC non è perfetta e i margini di miglioramento sono ampi, al momento il marchio “è decisamente il migliore che abbiamo”.
© Riproduzione riservata Foto: Coop, MSC, Fotolia.com
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.