Seaspiracy – Esiste la pesca sostenibile? è un film di 90 minuti diretto da Ali Tabrizi, giovane videomaker inglese, ed è disponibile su Netflix. Il film cerca di raccontare la cospirazione che esiste dietro la pesca nel mondo e quanto sia poco sostenibile sfruttare in questo modo le risorse marine senza rispettare le regole prefissate. Tabrizi nel documentario ha il duplice ruolo di regista e di voce narrante, e questa scelta infonde un’indubbia efficacia al filmato, che risulta tra i più visti sulla piattaforma di streaming in molti Paesi.
Ali Tabrizi che ora ha 27 anni ha impiegato cinque anni per assemblare le immagini riprese in mezzo mondo passando dalla Scozia al Giappone, dalla Thailandia ad Hong Kong, mettendo ogni volta sotto accusa non solo l’industria della pesca illegale, ma anche quella legale. Il film esordisce con la strage di delfini a Taiji, una baia in Giappone, ma focalizza anche l’attenzione sulla caccia alle balene e sulla pesca del tonno, il cui prezzo arriva a cifre stratosferiche. Il regista affronta il tema della cattura degli squali, uccisi per le pinne che risultano un cibo prestigioso in alcune aree del Sud-Est Asiatico, e punta il dito contro il pesce di allevamento per l’esasperato affollamento delle vasche e per le malattie che si generano.
Una parte del successo è anche dovuto alle recensioni proposte da: New York Times, Bbc, The Indipendent e The Guardian. Anche in Italia si sono letti diversi interventi polemici sia perché le tesi portate avanti sono pesanti, sia perché il film punta il dito su diverse organizzazioni non governative che non dicono nulla contro questo disastro ambientale. C’è chi lo accusa di riportare dati esagerati e chi tra gli intervistati si lamenta con il regista per avere isolato le dichiarazioni dal contesto. Anche considerando tutto ciò, non si può cancellare il forte sospetto che la pesca commerciale moderna fatta di grandi flotte specializzate nella cattura di pesci attraverso apparecchiature sofisticate, abbia raggiunto livelli poco sostenibili e che le prospettive non siano rosee.
In realtà le teorie raccontate in Seaspiracy non sono così nuove. Nel 2004, il libro di Charles Clover ‘Allarme pesce’ (tradotto un anno dopo da Ponte alle Grazie), porta avanti tesi simili sull’estinzione di molti pesci e sulla difficoltà di ricostituzione delle riserve ittiche. Nel libro si accusa la pesca industriale di avere procurato agli oceani una crisi peggiore di quelle causate dall’inquinamento.
Dopo avere visto il film c’è chi si interroga sull’opportunità di continuare a mangiare pesce, chi mette in discussione i marchi o i loghi rilasciati dagli enti sulla certificazione delle modalità di pesca, chi punta il dito contro le flotte industriali. Il vero problema è rendere la pesca più sostenibile di quanto venga fatto adesso e questo argomento è difficile da affrontare. Forse Tabrizi ha posto il problema in modo pressante, ma ha raccontato una realtà che è inutile negare come vorrebbero fare alcuni.
© Riproduzione riservata Foto: Seaspiracy
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Se un film che tratta la distruttiva “pesca commerciale”che avviene tramite flotti industriali, risulta essere uno tra i film più visti su Netflix, vuol dire che esiste molta gente (bisognerebbe conoscere l età media di coloro che guardano il film) che è sensibile a tematiche su ambiente e animali. Bisognerebbe che in ogni scuola ci fosse una “sala cinema”. Risulterebbe altamente educativo conoscere la realtà di certe tematiche che stanno distruggendo
l’ ecosistema ambientale portandolo al collasso..
Visto, al di là di ogni presa di posizione, é una testimonianza di informazione molto utile e preziosa, bisogna rifletterci su
Bellissimo documentario che spiega l’ipocrita ignoranza di chi si preoccupa di qualche centinaio di balene in Giappone o delfini in Danimarca quando il PROPRIO consumo di pesce sta devastando l’intero ecosistema mondiale.
Non esiste una bibbia animalista o ambientalista e personalmente sottolineo meno male!!!!!! Chiunque, anche un carnivoro, ha il diritto di informarsi e decidere se lo desidera di poter divenire un attivista aiiutando così balene e delfini a vivere nelle loro acque. Personalmente non lo riterrei un ipocrita Molto spesso i percorsi di evoluzione e di crescita più profondi di un essere umano nascono proprio dalla visione della sofferenza.Non a caso si dice che se i macelli avessero vetri e non muri, chiunque diverrebbe vegetariano non mangiando più né carne, né pesce , e tutto questo anche dall ‘oggi al domani.
Ogni essere umano però può arrivare a raggiungere tale meta in modo diverso, anche un attivista carnivoro che proprio in quel momento ha visto la grande sofferenza e l immenso dolore di una balena trainata su da una flotta giapponese che giustifica la mattanza con la scusa della ricerca scientifica ..
Non a tutti e “dato lo stesso percorso di vita .. Chiunque ha vissuto, vive o vivrà una grande sofferenza,state pur sicuri che cambierà la sua visione e prospettiva di percorso di vita… Quello sarà il vero cambiamento interiore, non dettato dalle mode, ma dettato dalla vita…
ti rendi conto che stai sostentendo che le centinaia di migliaia di impiegati nell’industria della carne secondo te dovrebbero diventare vegetariani?
Bè, delle centinaia che conosco solo un autista è vegetariano. LA tua debole teoria è totalmente smentita dai fatti.
Forse che la vera presa di coscienza è realizzare che la nostra natura è di onnivori cacciatori?
“chiunque”, tra gli ignoranti al massimo. Specifichi, cortesemente.
Perchè io sono cresciuto in una famiglia dove abbiamo sempre avuto animali per uso famigliare, e sin da bambino ho visto macellare maiali, uccidere conigli e tirare il collo ai volatili. Quindi ho sempre saputo cosa c’è dietro, e seppur la carne io la mangi 1-2 volte a settimana, continuo a mangiarla volentieri. Anche perchè non è mai carne del supermercato ma solo carne di qualità, o famigliare o presa direttamente da allevatori fidati. O da cacciatori.
Il cambiamento e’ una condizione ineludibile della vita.
Nulla si crea ,nulla si distrugge ,ma tutto tende sempre a trasformarsi ,che siano i nostri stessi pensieri, i nostri desideri ,le nostre relazioni, le nostre mete, i nostri obbiettivi,o le nostre scelte alimentari .
Nulla di tutto cio’ rimarra’ mai lo stesso.
Cio’ che pensiamo o desideriamo a 20 anni non sara’ mai cio’ che penseremo o desidereremo a 40, e cosi’via dicendo per tutto il restante percorso della vita..
La vita con l’eta’ ” impone e detta esperienza e saggezza “, ma molto spesso durante il suo percorso ci pone di fronte a diversi bivi ,che magari normalmente non avresti mai voluto , o non ti saresti mai aspettato di trovare di fronte .
E ogni volta che questo bivio blocchera’ i desideri del momento , accadra’ che saremo chiamati a decidere il cambiamento.
“Nulla si crea,nulla si distrugge,ma tutto si trasforma e si evolve per il mutamento”.
Negli ultimi anni sembra che all’improvviso quella fetta di mondo che gastronomicamente è sempre stata ign0rante, si sia all’improvviso svegliata e abbia scoperto cosa c’è dietro alle bistecche che si sbafano 365 giorni l’anno, o dietro ai fish&chips 😀
E ora da un eccesso sono passati all’opposto, sempre un eccesso, senza mezzi termini. Perchè l’approccio che hanno è sempre ign0rante.
Ed è pericoloso anche che questi video finiscano, senza tutor a seguito, in mano agli ign0ranti nostrani (che non mancano di certo)…i quali subito abbracciano la causa, ciecamente, specialmente se hanno una quotidianità noiosa e frustrante. Purtroppo funziona così.
Il problema non è né filosofico (Gina) né di ignoranza (Oetzi), né di vegetariani o carnivori, ma se continuando a sfruttare in questo modo le risorse marine fra quanto tempo il mare non darà più quello di cui avrà bisogno e l’aumentata popolazione prevista nei prossimi decenni: dieci anni, 20 anni?