Poteva essere una sperimentazione clinica sponsorizzata da un’azienda come tante. Si sarebbe somministrato un antidiabetico della Eli Lilly (il Mounjaro o tirzepatide) della famiglia degli agonisti di GLP-1 (la stessa del semaglutide od Ozempic) a un certo numero di obesi, e si sarebbe poi osservato se, grazie alla perdita di peso, i soggetti trattati perdevano meno giornate al lavoro. Quindi, si sarebbero fatte le relative valutazioni economiche.
Avrebbe avuto senso, perché i costi dell’obesità sono altissimi (nel Regno Unito, dove il 29% degli adulti è obeso e il 64% è in sovrappeso, si spendono 11 miliardi di sterline ogni anno), ma anche i farmaci hanno un prezzo che li rende non accessibili a chiunque (attorno agli 800-1000 euro per mese di trattamento). Si sarebbe dunque fatto un bilancio, come spesso accade per patologie che hanno un’elevata incidenza, per capire se rimborsare queste terapie agli obesi si sarebbe potuto tradurre o meno in un risparmio per il servizio sanitario nazionale (National Health Service – NHS) e per la società nel suo insieme.
Un approccio all’obesità solo farmacologico
E invece il ministro della salute Wes Streeting, con una lettera pubblicata sul Telegraph, ha dato al progetto tutt’altro sapore: lo ha presentato come un piano finalizzato esclusivamente alla riduzione di quei quattro giorni annuali, mediamente, di perdita di lavoro associati all’obesità. Così facendo, però, considerato gli obesi un peso per la società; ha escluso tutti coloro che non hanno problemi di lavoro; ha adottato un approccio all’obesità solo farmacologico; ha ignorato gli effetti collaterali, e il fatto che quando si smette la terapia il peso torna quello di prima. E ha fatto un mega spot gratuito all’azienda che fornisce i farmaci, la statunitense Eli Lilly.
Almeno dal punto di vista concettuale, etico e comunicativo l’annuncio è stato un disastro, che ha provocato l’immediata reazione di decine di esperti e della Obesity Health Alliance (OHA). Ma vediamo meglio che cosa è successo.
Un piano quinquennale
Lo studio prevede il coinvolgimento di circa tremila obesi dell’area di Manchester che, grazie a uno stanziamento da 279 milioni di sterline (oltre 330 milioni di euro) dell’azienda, dovrebbero essere trattati per cinque anni. In seguito, la platea dovrebbe essere estesa a tutti coloro che rientrano nei parametri. A quanto si sa, però, ci sono ancora molti punti da chiarire, come ha evidenziato Guy Standing, medico della Soas University di Londra, sul Guardian.
Per esempio: l’assunzione dei farmaci sarebbe del tutto volontaria, oppure chi non lavora perché obeso sarebbe in qualche modo penalizzato nella ricerca di un’occupazione, se rifiuta di sottoporsi alla terapia? È chiaro che, se così fosse, si tratterebbe di un pericolosissimo precedente di controllo della salute. Come ricorda Standing, se tale criterio fosse esteso, si dovrebbe forse obbligare chi attraversa un momento buio ad assumere antidepressivi per lavorare, o chi ha crampi di fame al lavoro a controllarli con farmaci anoressizzanti? E così via.
Secondo il medico, invece, i principi con i quali si decide se rimborsare e quindi rendere accessibile a tutti un certo farmaco devono essere esclusivamente medici, e non basati su strumentalità dubbie. Le persone non possono essere considerate in base al loro valore economico, quando si parla di una malattia.
Soluzioni strutturali
Ancora il Guardian riporta poi l’opinione di altri esperti, tra i quali il capo dell’NHS Stephen Powis. Tutti mettono in luce come i problemi collegati alla cura dell’obesità nel Regno Unito richiedano soluzioni strutturali, e come puntare su questi farmaci, tuttora indisponibili se non per una minoranza di persone, sia riduttivo, e forse sbagliato. Queste opinioni sono sintetizzate in una lettera firmata da oltre duecento esperti e patrocinata dall’OHA, nella quale si sottolineano diverse criticità del progetto. Innanzitutto, quella relativa alle forniture. “I nuovi trattamenti” si legge “hanno dato origine a una domanda senza precedenti e hanno aggiunto un’enorme pressione su strutture già al limite. Oggi la priorità assoluta è la risoluzione di problemi di vecchia data nell’intero ambito del servizio sanitario”.
In altre parole, un sistema già sofferente, non potrebbe mai reggere l’onda d’urto derivante dalla somministrazione di queste terapie a un enorme numero di persone. Prima di autorizzare questo impiego, è indispensabile riorganizzare e finanziare l’esistente in modo adeguato. E i numeri confermano quanto sottolineato: secondo l’OHA, oggi 4,1 milioni di persone avrebbero diritto agli antidiabetici come dimagranti, ma almeno fino al 2028, potrebbero essere trattate meno di 50.000 persone all’anno, anche con i nuovi finanziamenti. Un numero molto lontano dai 250.000 indicati nel progetto come trattati nei prossimi tre anni.
Tra l’altro, i medici sarebbero preoccupati per il numero crescente di pazienti con complicazioni dovute all’assunzione di farmaci dimagranti acquistati online senza supervisione clinica, proprio perché, a fronte di una popolarità crescente, e non sempre corretta, la richiesta è esplosa, le aziende non riescono a rispondere e il commercio illegale di chissà quali sostanze fiorisce.
Sicurezza e controindicazioni di Mounjaro
Oltre a tutto ciò, restano dubbi sulle caratteristiche farmacologiche del farmaco, che renderebbero premature decisioni di così ampia portata: il tirzepatide aiuta a perdere il 21% del peso, dopo 36 settimane di trattamento: è sufficiente? Che succede quando, terminata la cura, via via il peso torna? Come sarebbero gestiti gli effetti collaterali? Ha senso escludere l’alimentazione dal programma? E l’esercizio fisico? E quali risposte si darebbero ai ragazzi e ai bambini?
Il governo ha risposto alle critiche ricordando le molte iniziative adottate contro l’obesità, e quelle in via di adozione come i limiti alla pubblicità, l’inasprimento della soda tax e altro, ma non sembra aver convinto gli addetti ai lavori.
In un articolo della BBC si ricorda infine come l’attesa media per una prima visita in un servizio per l’obesità dell’NHS sia di cinque anni, e come alcuni servizi abbiano direttamente chiuso le liste di attesa: una situazione che spiega perché, secondo chi la vive, dare la priorità a un programma che potrebbe far lavorare quattro giorni di più in un anno qualche migliaio di obesi sia un obbiettivo certamente non primario, e perché gli sforzi dovrebbero essere indirizzati in tutt’altra direzione.
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Giornalista scientifica