Di seguito pubblichiamo la riflessione di un nostro lettore sull’articolo sul miele che abbiamo pubblicato qualche giorno fa. A seguire la risposta di Roberto Pinton, segretario di AssoBio.
Io sorrido sempre quando leggo i claim “bio” riferiti al miele, perché le api bottinano sino a oltre 3 chilometri dall’alveare, e non credo esista, almeno in Italia, alcuna azienda che controlli completamente una tale superficie (sono oltre 28 – VENTOTTO – chilometri quadrati) per poter certificare seriamente che in quell’area non vengano usati pesticidi.
E sorrido ancora di più quando leggo i claim “bio” sul miele monoflora d’acacia, di fatto piante spontanee infestanti, che occupano aree di scarso o nullo interesse agricolo e che quindi nessuno tratta, e anche dove sono coltivate per il legno non necessitano di alcun trattamento antiparassitario. Ma se al consumatore il bollino bio piace, perché non darglielo? Mario
La risposta di Roberto Pinton, segretario di AssoBio.
In relazione al miele biologico, a norma dei regolamenti vigenti (nn. 834/2007 e 889/2008), l”ubicazione degli apiari deve essere tale e che, nel raggio di 3 km dal luogo in cui si trovano, le fonti di nettare e polline siano costituite essenzialmente da coltivazioni ottenute con il metodo di produzione biologico e/o da flora spontanea e/o da coltivazioni sottoposte a cure colturali di basso impatto ambientale come quelle descritte all’articolo 36 del reg. 698/2005 o dall’articolo 22 del reg. n. 1257/1999.
Gli alveari sono costituiti essenzialmente da materiali naturali che non presentino rischi di contaminazione per l’ambiente o per i prodotti dell’apicoltura, la cera per i nuovi telaini deve provenire da unità di produzione biologica.
Negli alveari possono essere usati solo prodotti naturali come il propoli, la cera e gli oli vegetali (solo nel caso di infestazione da Varroa destructor possono essere usati mentolo, timolo, eucaliptolo o canfora, acido formico, acido lattico, acido acetico e acido ossalico), è vietato l’uso di repellenti chimici sintetici durante le operazioni di smielatura; per l’estrazione del miele, è vietato l’uso di favi che contengano covate, sono vietate mutilazioni quali la spuntatura delle ali delle api regine.
Trova questi e altri dettagli sui primi due regolamenti citati.
Per la disinfezione degli apiari sono ammessi trattamenti fisici come il vapore o la fiamma diretta, con il divieto di sostanze fumiganti.
Il “bollino” biologico, come lo chiama, non garantisce soltanto l’origine biologica della fioritura prevalente, ma la modalità di gestione degli alveari, proprio come nelle produzioni lattiero-casearie non garantisce soltanto che le bovine hanno un’alimentazione a base di foraggi biologici, ma che hanno avuto accesso al parchetti esterni e al pascolo e non sono tenute legate nei box, che hanno maggior spazio nella stalla, la cui pavimentazione è coperta da lettiera e non da grigliati, che in caso di malattia sono curate prioritariamente con fitoterapici e non con farmaci allopatici di sintesi chimica e antibiotici (che, qualora indispensabili, comportano un periodo di carenza doppia rispetto allo standard; se si rende necessario ricorrere a più di tre cicli di trattamenti in un anno, l’animale e i suoi prodotti perdono la qualifica di biologico).
Concentrarsi sul fatto che l’acacia non viene in genere trattata è quindi molto limitativo.
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Io sono un biologico convinto, il mio motto è : quel poco che mangio deve essere buono, genuino e controllato come il biologico.
Se nella produzione Biologica fossero rispettati davvero i parametri del regolamento, di miele Bio ce ne sarebbe ben poco in Italia. Nella conduzione Bio
ciò che l’apicoltore fa nell’alveare è controllabile e certificale, in ciò che le api possono bottinare nel loro raggio di raccolto è difficile. Sto pensando a quanti apiari bio certificati, ci sono in pianura padana, vicino a campi intensamente coltivati, strade ad alto traffico o vicino a città e zone industriali. Penso si salvino meglio alveari in zone di montagne o in zone poco abitate e coltovate.
Per la legge 13/2004 gli apiari – biologici o convenzionali- devono essere collocati a non meno di 10 metri da strade di pubblico transito e a non meno di 5 metri dai confini di proprietà pubbliche o private, salvo che non si registri la presenza di dislivelli superiori a due metri o l’interposizione senza interruzione di muri, siepi o altre strutture di altezza di almeno due metri idonee a non consentire il passaggio di api; la distanza minima da impianti saccariferi è di almeno 1 chilometro.
Tutto ciò fatte salve leggi regionali o ordinanze comunali più restrittive).
Gli apiari biologici devono essere ubicati in aree in cui, nel raggio di 3 km, le fonti di nettare e polline siano costituite “essenzialmente” (non “soltanto”) da coltivazioni biologiche, flora spontanea, coltivazioni a basso impatto ambientale (reg. 698/2005 e reg. n. 1257/1999).
Oltre a quanto previsto dalle norme, vale una considerazione molto pratica: vicino a città e zone industriali non si trovano apiari professionali, non fosse altro per l’ovvia insufficienza delle fonti nettarifere.
Va tenuto presente che buona parte dell’apicoltura (convenzionale e biologica) è nomade, con spostamento degli apiari, utile sia a dribblare i periodi dei trattamenti fitosanitari nocivi alle api sia per consentire il bottinamento in aree a ricca fioritura (montagna, parchi naturali) da cui si raccoglie un miele più pregiato.
Non va nemmeno dimenticato l’utilizzo delle api per il servizio di impollinazione nelle aziende frutticole, dove gli apiari vengono spostati.
Dal punto di vista delle procedure la produzione apistica biologica va notificata ai competenti servizi delle Regioni e Province autonome, che hanno quindi per nota la collocazione degli apiari; l’indicazione di una collocazione non conforme alle disposizioni costituirebbe una vera e propria autodenuncia alle autorità competenti…
Qualora l’organismo di controllo non avesse contestato il mancato rispetto delle condizioni previste dai regolamenti per la scelta delle aree di ubicazione degli apiari e non avesse sanzionato l’operatore con la soppressione delle indicazioni biologiche dai prodotti dell’alveare colà ottenuti (ai sensi del DM 15962/2013) informandone ministero delle Politiche agricole, Regione e altre autorità competenti, sarebbe anch’esso soggetto a sanzione (sospensione dell’autorizzazione per un periodo non inferiore a 3 mesi, ai sensi del d.lgs 20/2018).
Se Antonio o altri ritengono che un operatore non proceda in conformità alle norme -di cui è tuttavia caldamente consigliato prendere visione, per evitare di di contestare comportamenti invece legittimi- possono segnalarlo all’organismo di controllo dell’operatore (che è obbligato a prendere in carico e gestire la segnalazione) o all’ente unico di accreditamento (che risponderà entro 30 gg), modulo a pagina https://www.accredia.it/segnalazioni/.
Consiglierei anche di documentarsi sulle sostanze chimiche dalle quali la cera bio usata ed analizzata periodicamente con prelievi dagli alveari deve essere esente.. per non parlare dei controlli sulle fatture di acquisto e cicli di produzione.. certo potrebbe essere fatto meglio e di più.. ; ma cosa viene controllato ai produttori convenzionali che si spacciano per naturali?
E’ tipico di conosce poco il sistema produttivo, sia convenzionale che biologico, deridere l’agricoltore biologico perché coltiva terreni vicini all’autostrada o in prossimità di stabilimenti industriali. Non considerando il fatto che il vicino agricoltore convenzionale, oltre a quanto già gli regalano l’autostrada e le industrie, può irrorare altre centinaia di sostanze chimiche autorizzate in agricoltura convenzionale, subendo molti meno controlli dell’agricoltore biologico. Per il miele, pochi sono a conoscenza delle sostanze utilizzate, anche in maniera illegale, per la cura delle api, come acaricidi e antibiotici, che spesso residuano nel miele, e del fatto che i controlli ufficiali in apicoltura convenzionale sono abbastanza rari. Però si considera un “claim” senza alcun valore la certificazione ottenuta dall’apicoltore biologico, che si sottopone volontariamente a una forte limitazione delle sostanze e delle tecniche utilizzabili, e sopporta maggiori costi e controlli.
Controlli da parte di chi, esattamente?
Non capisco la diffidenza ancora diffusa in Italia verso il biologico, quando l’ agricoltura tradizionale ha già fatto enormi danni sotto gli occhi di tutti (almeno dei bene informati). Mi è piaciuto molto l’articolo perché è vero, se vogliamo sopravvivere (e ormai è proprio una questione di SOPRAVVIVENZA) ci sono cose da cambiare, e tra queste l’abbandono dei metodi tradizionali di coltivazione con uso di pesticidi e sostanze tossiche (inquinante forse come termine non è chiaro). Invito ad assaggiare una fragola coltivata e “pompata” (per essere attraente) con metodi “tradizionali” (discuterei anche su questo termine) e una biologica. Una non ha sapore. Ve lo garantisco.
Anch’io preferisco pagare qualche cosina di più ma acquistare “BIO”
Capisco e giustifico tuttavia chi si attiene al vecchio adagio”Fidarsi è bene,non fidarsi è meglio”
Non solo nelle Religioni vale il principio della “fede”
Per Livio: i produttori biologici sopportano il costo e subiscono i controlli degli organismi di controllo privati autorizzati (che sono obbligatori con frequenza almeno annuale) oltre agli altri controlli da parte delle varie autorità pubbliche, che però sono sempre a campione. Inoltre gli esiti delle verifiche degli organismi di controllo privati, compresi i rapporti di analisi, confluiscono in una banca dati nazionale consultabile dalle autorità pubbliche, che possono decidere verifiche aggiuntive e sanzioni anche in base a queste informazioni. In definitiva, gli operatori biologici subiscono tutti i controlli previsti per il settore agroalimentare, e un sistema di controllo aggiuntivo per la verifica specifica dei requisiti previsti dalla normativa del biologico. Nei loro piani di campionamento e verifica ispettiva anche le autorità pubbliche possono tener conto che un operatore è certificato per il biologico, e prevedere verifiche aggiuntive o mirate su aspetti specifici.
Io scelgo bio per la salute sia mia che dell’ambiente, cercando così di lasciarlo, a chi verrà dopo di me, un po’ più salubre.
Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno [Madre Teresa di Calcutta]
Al di là della polemica sui tre Kms die distanza dagli apiari, mi lasciano perplessa alcune affermazioni più generali sulla conduzione delle api. Per esempio: Le arnie bio sono fatte di materiali naturali. Perchè, quelle convenzionali no? Non sono anch’esse fatte di legno e metallo? (il metallo è per i fili dei telaini, le reti antivarroa ecc.)
Altra perplessità sui metodi di smielatura. Mi sembra che l’autore conosca bene tali metodi, ma vorrei dire che sono uguali sia per il miele bio che per quello convenzionale…
Infine, i trattamenti: gli antibiotici, ad esempio, sono toalmente proibiti ovunque. Certo ci possono essere dei disonesti, ma quelli forse si trovano dappertutto – o sono troppo pessimista?
Il mantra del biologico! Bisognerebbe purificare l’acqua di irrigazione e isolare i campi dove si coltiva il biologico con campane di vetro, per eliminare tutto ciò che può “inquinare” l’aria. Io credo che si debba essere meno “talebani” quando si parla di biologico, più coerenti ma soprattutto più pragmatici e più disponibili ad un onesto compromesso: si trovano ormai degli iquinanti anche in località che dovrebbero esserne prive. È difficile, per non dire impossibile, evitare certi inquinamenti delle acque e dell’atmosfera, ecco perché bisogna essere pragmatici, purtroppo questi inquinanti esistono e sono presenti, e non possiamo credere che, pur non usando certe sostanze, basti un recinto con la scritta “coltivazione biologica” per coltivare biologicamente. E qualche volta bisogna essere anche più onesti con se stessi, per non essere come quel mio conoscente, disponibile ad andare a cercare il biologico anche lontano da dove vive, ma facendolo con un SUV che consuma ed inquina almeno tre volte rispetto alla mia modesta utilitaria.
E poi non dimentichiamoci che forse chi è così concentrato sul biologico proviene da famiglie, come la mia, che sono sopravvissute grazie ad un’agricoltura che nel passato ha garantito un incremento massiccio di produttività dovuto all’uso, purtroppo smodato, ma comunque necessario, di concimi (chimici) e di antiparassitari. Risulta facile, oggi, prendersela con certi metodi passati di produzione agricola, perché ormai abbiamo la pancia piena: ma dovremmo confrontarci con chi muore di fame, che probabilmente se ne frega di bio o non bio, ma vorrebbe solamente che i campi dessero molto di più per poter sopravvivere. L’estremizzazione, anche in questo campo, come sempre e ovunque, ha solo pessimi effetti.
Come la mettiamo che qualcuno spaccia miele italiano e poi all’interno si trova il ben noto miele cinese ??
E non mi dite che qualcuno controlla.
Le aziende che fanno queste operazioni si conoscono molto bene ( poi basta ad andare a vedere i prezzi che praticano sul miele italiano ovvero impossibili)
Sapendo chi e’ che vende il miele cinese in Italia…basterebbe farsi dare le bolle di consegna ed andare a controllare le aziende che lo hanno acquistato e vedere se vendono qualche vaso dichiarato di miele cinese o solo italiano…………
Una curiosità “non con farmaci allopatici di sintesi chimica e antibiotici” quindi ad es. prodotti omeopatici come il “Radium bromatum”, che si ricava dal bromuro di radio, va bene?
Ringrazio per la pubblicazione della risposta che si inserisce nell’annosa discussione sui reali benefici del biologico. I detrattori da sempre sostengono che l’impossibilità di escludere ogni benché minimo contatto con sostanze non ammesse in agricoltura certificata biologica valga di per sé a togliere valore all’intera certificazione rendendone di fatto inutile l’esistenza. Fuor dal settore di riferimento questo approccio ideologico mi ricorda il “benaltrismo” tanto diffuso e la pretesa di coerenza assoluta che si presta perlopiù a giustificare ogni tipo di inerzia. Tuttavia, tornando alla questione in discussione, si omette sempre di considerare la quantità di pesticidi e sostanze dannose tolte dall’ambiente per ogni ettaro di terreno coltivato secondo agricoltura biologica. In altre parole: se é vero che la presenza di terreni in cui si usano pesticidi di provenienza chimica contribuiscono al degrado complessivo, è altrettanto vero che, in termini assoluti, gli ettari di terreno che a tali trattamenti si sottraggono contribuiscono parimenti alla salute complessiva dell’ambiente. Superando l’atteggiamento individualistico e miope del consumatore che si chiede solamente quanto è bio il prodotto acquistato, si dovrebbe ricordare il valore del biologico in termini di risparmio netto di immissioni di pesticidi nell’ambiente. Su questo tema si può consultare letteratura ampia fra cui, uno fra tutti, Michael Pollan, Il dilemma dell’Onnivoro, Adelphi, 2006, 1° ed.