Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un approfondimento sul miele, su come sceglierlo e sulle varie tipologie che si possono trovare nei supermercati. Un lettore dopo averlo letto ci ha scritto: “articolo molto interessante. Avrei una domanda: cosa distingue un miele bio da uno non-bio?” Di seguito pubblichiamo la risposta di Roberto Pinton, esperto di produzioni alimentari.
Miele bio o convenzionale?
A scaffale si riconosce per la presenza del logo europeo (la foglia stilizzata contornata dalle 12 stelle della UE), dalla presenza del codice attribuito dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste all’organismo di controllo (con la forma IT-BIO-000, in cui IT sta per Italia, BIO sta per biologico, 000 identifica lo specifico organismo di controllo) e per la denominazione “miele biologico”.
Va identificata la zona di produzione agricola che, a seconda dei casi, potrà essere “Agricoltura Italia” (eventualmente indicando anche la regione), “Agricoltura UE”, “Agricoltura non UE”, “Agricoltura UE/non UE”.
Va ricordato che qualificare illecitamente un prodotto come biologico integra il reato di frode in commercio (Corte di Cassazione, sentenza n. 35387/2016), non si tratta quindi di una irregolarità punita con una banale sanzione amministrativa, ma siamo in campo penale.
Dal punto di vista tecnico, lo spazio per la risposta consente solo dei cenni (la disciplina completa si può trovare nel reg. UE n.848/2018 e successive modifiche e integrazioni):
Alcune indicazioni di produzione
a) per la disinfezione degli apiari sono ammessi trattamenti fisici come il vapore o la fiamma diretta;
b) nei casi di infestazione da Varroa destructor possono essere usati l’acido formico, l’acido lattico, l’acido acetico e l’acido ossalico, nonché mentolo, timolo, eucaliptolo o canfora;
c) l’ubicazione degli apiari è tale che, nel raggio di 3 km le fonti di nettare e polline siano costituite essenzialmente da coltivazioni ottenute con il metodo di produzione biologico o da flora spontanea o da colture trattate solo con metodi a basso impatto ambientale. Il requisito non si applica alle aree che non sono in periodo di fioritura o quando le colonie di api sono inoperose;
d) gli apiari si trovano a una distanza sufficiente da fonti potenzialmente contaminanti per i prodotti dell’apicoltura o nocive alla salute delle api;
e) la cera per i telaini proviene da unità di produzione biologica e nelle arnie possono essere utilizzati solo prodotti naturali come il propoli, la cera e gli oli vegetali;
f) gli operatori conservano mappe o coordinate geografiche dell’ubicazione delle arnie, da fornire all’autorità e all’organismo di controllo per dimostrare che le aree accessibili alle colonie soddisfano le prescrizioni del regolamento;
g) tutte le misure applicate sono annotate nel registro dell’apiario da mettere a disposizione dell’autorità e dell’organismo di controllo, compreso spostamento di apiari, l’asportazione dei melari e le operazioni di smielatura. Sono registrate anche la quantità e le date della raccolta di miele.
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Scusate ma fare un copia e incolla del regolamento non è mostrare le differenze….sarebbe stato opportuno quantomeno scrivere, per esempio, che in convenzionale si tratta con prodotti di sintesi che si usano per combattere pulci e zecche, che si usa clippare le ali alla regina, che si nutre con sciroppo e candito senza limiti, che in generale ci vogliono quindi meno ore di lavoro per alveare, senza contare che la cera è sempre intrisa di insetticidi e acaricidi di sintesi …etc
Mi scuso per il ritardo, non tenevo d’occhio l’articolo e vedo solo ora il commento
Il motivo per cui mi son limitato a indicare per sommissimi capi le caratteristiche dell’apicoltura biologica è che gli operatori bio hanno l’OBBLIGO di adeguarsi alle prescrizioni restrittive che ho citato, mentre quelli convenzionali hanno la FACOLTÀ di adottare altri metodi, ma non è detto che se ne avvalgano.
Come giustamente nota, in apicoltura convenzionale è ammesso il clippaggio (una mutilazione che comporta il taglio di qualche millimetro di un’ala della regina, che serve per renderne meno agevole il volo e per ostacolare in qualche modo la sciamatura, ma non è detto che, solo perché è ammesso, tutti gli apicoltori vi provvedano.
Contro la Varroa destructor (per i non addetti ai lavori: un piccolo acaro che parassitizza le api, portando in breve tempo alla morte delle famiglie) in apicoltura convenzionale è ammesso l’uso di Amitraz (un acaricida, il più utilizzato, anche perché è solubile nella cera, ma poco solubile nel miele, nel quale dopo un paio di mesi dalla smielatura non si trova più), così come di strisce di materiale sintetico impregnate di insetticidi piretroidi che, a differenza degli altri della famiglia, non sono tossici per le api, come la Flumetrina (che agisce per contatto) o il Tau-fluvalinate che poi impregnerà la cera, così come altre sostanze, ma, anche qui, il solo fatto che sono autorizzate non comporta che siano necessariamente utilizzate (o utilizzate tutte).
Gli apicoltori italiani sono più o meno 50mila, ma per ben due terzi producono a livello amatoriale.
Pur non disponendo di evidenze, sospetto che buona parte dei 35mila hobbisti, vuoi per rispetto delle api, vuoi perché produce per autoconsumo o poco più, non utilizzi tutto l’armamentario chimico autorizzato, ricorrendo, piuttosto, in parte o in tutto e per tutto ai metodi utilizzati dai loro colleghi professionali biologici.
Sarebbe quindi ingeneroso – e scorretto- estendere a una parte così rilevante del settore l’uso di pratiche poco rispettose del benessere delle api (come il taglio delle ali) o comunque a maggior impatto (come i medicinali veterinari).
Grazie per questo articolo, la domanda era mia 🙂
Sinceramente non avevo mai pensato a così tante possibili differenze (io pensavo principalmente alla zona in cui le api trovano i fiori per raccogliere il nettare), e se già prima tendevo verso il miele biologico, ora mi avete senz’altro dato una serie di motivi in più per preferirlo!