Misurino di latte in polvere, con biberon trasparente su sfondo verde-azzurro

donna incinta con smartphoneNonostante tutte le dichiarazioni di buona volontà, durante la pandemia molti produttori di latte in polvere per neonati, probabilmente per compensare le mancate vendite attraverso i canali tradizionali, hanno incrementato in modo esponenziale i contenuti personalizzati (non sempre percepiti come pubblicitari) rivolti alle neo-mamme attraverso i social, giungendo a volte a eccessi difficilmente giustificabili. Lo sostiene l’Oms nel suo ultimo rapporto, in cui sono stati analizzati oltre quattro milioni di post pubblicati su social media e applicazioni tra gennaio e giugno 2021, tutti aventi come argomento l’alimentazione dei neonati. I messaggi, veicolati spesso da influencer retribuiti, hanno raggiunto 2,47 miliardi di persone, guadagnandosi 12 milioni tra like, condivisioni e commenti. In media, le aziende hanno postato collettivamente 90 contenuti al giorno, raggiungendo con essi almeno 229 milioni di utenti: il triplo rispetto al pubblico raggiunto dai messaggi nutrizionali sull’allattamento al seno di account non commerciali, cioè a quelli che affrontano i temi dell’alimentazione dei neonati senza essere motivati da spinte commerciali e senza promuovere alcunché.

Non tutte le aziende, va detto, si comportano allo stesso modo: per esempio, due tra le più grandi, Nestlé e Danone, hanno fatto scelte più responsabili, almeno in parte. La prima ha rinunciato alla promozione del latte in polvere per bambini con meno di 12 mesi in 163 paesi e si è impegnata a bloccare del tutto la pubblicità di prodotti per bambini con meno di sei mesi entro l’anno in tutto il mondo. La seconda ha eliminato il marketing di alimenti per bambini con meno di sei mesi. Tuttavia, il comportamento appare spesso ambivalente: sempre Nestlé sta cercando di aumentare le vendite in Cina, e anche altre hanno iniziato a entrare in quel mercato, considerato particolarmente promettente. 

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L’Oms denuncia l’aumento esponenziale del marketing personalizzato del latte in polvere sui social media

In generale, la promozione di latte in polvere, sconsigliata dall’Oms, è sempre più aggressiva e trova canali sempre nuovi. Tutto ciò contraddice l’impegno sottoscritto nel 1981 con il Codice internazionale per il marketing dei sostituti del latte materno, nel quale autorità sanitarie e aziende di quasi tutti i paesi del mondo si impegnavano a promuovere l’allattamento al seno e a non spingere per quello con latte artificiale. 

Da allora sono passati più di quarant’anni e si sentono tutti, come ha commentato Francesco Branca, direttore del Dipartimento di Nutrizione e sicurezza alimentare dell’Oms: basti pensare che nel momento della stesura del testo non esisteva ancora internet. Infatti, formalmente, la pubblicità veicolata via social non infrange alcun impegno. È quindi arrivato il momento di porvi mano, afferma Branca, e di elaborare una versione aggiornata per sostenere le madri, contrastare la narrazione che tende a scoraggiare l’allattamento al seno (a causa della quale molte donne si convincono, erroneamente, di non essere in grado di fornire ai figli tutto ciò di cui hanno bisogno) e costringere i produttori ad assumere impegni rigorosi, realistici e al passo con i tempi.

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L’Oms ha puntato l’attenzione anche sul ruolo dei social media e delle app di food delivery sulla crescita dei tassi di sovrappeso e obesità

Sui social e soprattutto sulle app punta il dito anche un altro rapporto dell’Ufficio regionale europeo dell’Oms (di cui abbiamo già parlato in questo articolo). Si tratta di un documento sull’obesità, considerata ormai una vera e propria epidemia e, quindi, un’emergenza cui porre rimedio con ogni mezzo. Nessuno dei paesi dell’area europea ha qualche speranza di raggiungere l’obiettivo prefissato per il 2025, e cioè lo stop alla crescita dell’obesità, mentre già oggi il 60% degli adulti e il 30% dei bambini è in sovrappeso o obeso. Se si cercano le cause, oltre alla vita più sedentaria e all’aumento di offerte di cibo e bevande spazzatura, secondo gli autori emerge con forza un altro colpevole: il mondo del delivery con le sue app. Mangiare alimenti non cucinati in casa, secondo diversi studi, fa aumentare l’assunzione di energia media giornaliera di 200 calorie, che nei bambini equivale ad aggiungere un giorno alla settimana, quanto a pasti. Ma le app hanno reso questa modalità sempre più diffusa e, con essa, hanno fatto crescere molto il consumo di alimenti ricchi di grassi, sale e zuccheri; al tempo stesso, hanno contribuito e contribuiscono ad aumentare il livello di sedentarietà: un mix micidiale per il peso. Molti paesi stanno cercando di prendere provvedimenti come le limitazioni alla pubblicità, il divieto di superofferte per i cibi poco sani e l’adozione di etichette nutrizionali fronte-pacco, ma bisognerebbe fare molto di più: anche utilizzando gli stessi strumenti, e cioè le app, per promuovere stili di vita più sani.

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