Quando si parla di rispetto dell’ambiente, la gestione dei rifiuti di plastica, e in generale dei contenitori monouso, è uno dei problemi più sentiti. D’altra parte, i cibi pronti sono così pratici: salumi già affettati, nella busta che li mantiene freschi; panini e piadine, nella propria confezione; merendine, frutta secca o cracker, pronti per uno spuntino, racchiusi in un sacchetto. Spesso poi carote, pomodori, mele e altri prodotti ortofrutticoli, sono venduti già confezionati, dentro a vaschette o sacchetti. E lo stesso accade quando acquistiamo prodotti di gastronomia al banco servito: melanzane alla parmigiana, polpette al sugo oppure olive, sono protetti da vaschette di plastica. Tornare a preparare le merende in casa, o acquistare prodotti sfusi, in alcuni casi è possibile, ma non pare applicabile su larga scala, perché è troppo difficile rinunciare alla praticità del cibo pronto confezionato. Per far fronte al problema della plastica monouso sono state varate specifiche norme a livello europeo, ma la situazione è ancora piuttosto confusa e, almeno per ora, non pare che queste abbiano prodotto cambiamenti importanti.
“Il sistema più efficace per affrontare il problema dei rifiuti di plastica, è iniziare a produrne meno. – Dice Donatella Pavan, fra i fondatori dell’associazione milanese Giacimenti Urbani – Per cominciare ad andare in questa direzione, a Milano è partito il progetto NoPlà, facciamo esercizio contro la plastica monouso, che ci vede collaborare con la catena NaturaSì: dall’inizio di febbraio fino a fine luglio, nei 13 punti vendita cittadini, è possibile richiedere, gratuitamente, un kit di quattro contenitori da utilizzare, lavare e usare di nuovo, quando acquistiamo prodotti alimentari sfusi, come salumi, formaggi o prodotti di gastronomia. È un passo piccolo ma può essere significativo e il peso di questa scelta sarà valutato da esperti dell’Università degli Studi Milano-Bicocca, considerando il numero di passaggi alle casse di questi contenitori.”
“Finora sono stati distribuiti circa 500 kit – continua Pavan – e ci auguriamo che questo progetto possa essere la prima di una serie di azioni destinate a ridurre l’utilizzo di imballaggi in plastica monouso, un ‘flagello’ cui sembra che nemmeno la normativa europea possa porre un freno.”
Oltre a questa iniziativa, nata grazie al bando di Fondazione Cariplo Plastic Challenge 2019, bisogna ricordare il progetto ReCircle, di cui parliamo con Danilo Boni, di Switch on Lab, start-up che si occupa di sostenibilità. “Il nostro progetto si concentra sui contenitori monouso utilizzati nei locali, per distribuire alimenti e bevande. – Spiega Boni. – E mira a sostituirli con contenitori riutilizzabili.”
L’impatto dei contenitori monouso è evidente, se pensiamo ad attività che fanno largo uso del takeaway, come i locali specializzati in pokè o in insalate, per non parlare della pizza. Il problema però è trasversale e interessa numerose tipologie di locali, pensiamo per esempio ai contenitori per l’asporto di bevande, le insalate di frutta o alcuni dolci. A volte i contenitori utilizzati sono di carta o di materiale compostabile, in ogni caso di tratta di uno spreco di risorse, inoltre ci sono pareri discordi sull’effettiva sostenibilità della bioplastica e dei contenitori di carta, quando questi sono prodotti con carta accoppiata ad un film plastico, anche se molto sottile. Insomma, la quota di rifiuti che entrano nella raccolta differenziata continua ad aumentare, ma non aumenta di pari passo l’effettivo tasso di riciclo dei materiali.
“Noi proponiamo ai ristoratori kit di contenitori riutilizzabili da mettere a disposizione dei clienti. – Continua Boni – Questi avrebbero così la possibilità di scegliere un contenitore, realizzato in plastica resistente, per il cibo solido o per le bevande, dietro cauzione di 10 o 5 €, rispettivamente. I contenitori hanno forma e dimensioni diverse a seconda dell’alimento cui sono destinati e sono disponibili anche contenitori per la pizza. Una volta vuoto, potrebbero lavarlo e riutilizzarlo, nello stesso locale o in uno qualsiasi di quelli che fanno parte del circuito. In ogni momento sarebbe possibile restituire i contenitori in uno dei locali aderenti, e recuperare in questo modo la cauzione versata.”
Detta così, non sembra un’idea semplice da mettere in atto…quanti di noi sono disposti a portare con sé ciotole e bicchieri da utilizzare per l’asporto di cibi e bevande? “In realtà questo modello è praticabile, e non lontano da noi sta diventando una consuetudine. – Fa notare Boni – In Svizzera, il progetto ReCircle, con le modalità appena viste, coinvolge oltre 2mila locali. Per andare in questa direzione è necessario lavorare su due livelli: da un lato bisogna diffondere questo progetto, e sensibilizzare i consumatori, dall’altro però sono necessarie norme a sostegno del riutilizzo. In Germania, per esempio, dal primo gennaio di quest’anno, le attività che utilizzano contenitori in plastica monouso, devono offrire anche l’alternativa riutilizzabile.”
A chi conviene questa scelta? “Per i consumatori si tratta essenzialmente di una scelta in difesa dell’ambiente. – Dice Boni – Per i ristoratori, invece, puntare sui contenitori riutilizzabili può diventare conveniente perché risparmiano sull’acquisto di contenitori monouso, e sarebbe ancora più conveniente se l’imposta sui rifiuti fosse ‘puntuale’. Cioè tenesse conto dell’effettivo carico di rifiuti prodotto, e non fosse basata, come è ora, sulla metratura e sulla tipologia dell’attività.” Insomma, oltre alla borraccia, cui ci siamo abituati rapidamente, in un futuro prossimo, potremmo utilizzare i nostri contenitori anche per l’asporto di alimenti e bevande.
© Riproduzione riservata Foto: NoPlà, reCircle
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Un bel dilemma rinunciare a tante pigre comodità, l’usa e getta di qualsiasi composizione è quasi irrinunciabile……..ci sono articoli più maneggevoli di altri ma si potrebbe sopravvivere, tra l’altro anche rinunciando a contenitori di plastica.
Per esempio al mercatino pesano della frutta e verdura da molti anni ormai non consumo sacchetti vari di carta e plastica, e ho visto molti altri fare altrettanto, usando sportine di materiali che durano moltissimi anni.
Nel tempo poi ho collezionato contenitori di vetro impilabili anche da frigo e con pochissimo lavoro in più riesco a gestire tutto, non è così difficile da fare, e altrettanto si può con moltissimi altri acquisti.
La GDO e i medio/grandi distributori non sono d’accordo e così le buone iniziative rimangono nel cassetto.
Mi domando perché non usare la carta oleata quando per esempio si compra un etto di ricotta come una volta.Perche devo tornare a casa con un borsone di contenitori che mi consumano acqua per il risciacquo più un sacco enorme di plastica.
Le soluzioni proposte sono senza dubbio lodevoli ma non assolvono all’aspetto igienico dell’utilizzo dei contenitori demandando la pulizia degli stessi ai consumatori ed ai gestori dei punti vendita. nel caso di contaminazioni chi risponde? Di chi la responsabilità dell’inconveniente?
Voglio sottolineare inoltre che, leggendo i vostri articoli, non viene costantemente evidenziata la mancata educazione dei consumatori che sono gli artefici primi dell’inquinamento ambientale delle città o zone verdi. Nell’articolo si è fatto cenno alla Svizzera ma sarebbe utile che noi stessi fossimo più svizzeri nella gestione degli imballaggi.
Concordo in tutto, se il consumatore disattento lava male il contenitore, ci alleva salmonella o listeria lasciandolo nel bagagliaio al sole, se le fa riempire di nuovo, e finisce al Pronto Soccorso… va nei guai il negoziante che gliel’ha dato la prima volta, quello che glielo riempie la seconda, il produttore del contenitore, o paga lo Stato (noi)?
E comunque fissarsi sui contenitori da asporto maschera il vero problema, le stoviglie monouso, che sono la vera peste, andrebbero semplicemente VIETATE (inutile cambiare materiale, tutti hanno costi in acqua, energie, risorse, inquinamento): usate i maledetti piatti e posate normali, se ci tenete all’ambiente!
Gentile Mario, la gestione domestica di questi contenitori non ha niente di diverso dalla gestione delle borracce che portiamo con noi, o dei contenitore che utilizziamo in casa per conservare gli alimenti in frigorifero. Solo noi siamo responsabili dell’igiene delle nostre stoviglie. Per quanto riguarda le stoviglie monouso, non credo che sia un’abitudine molto diffusa, ma sono d’accordo che sia da limitare in modo drastico.
Gentile Giorgio, ha ragione: se smaltissimo in modo corretto i contenitori, anziché abbandonarli in giro, questi non arriverebbero in mare. Ma sarebbe comunque un carico importante di materiale da eliminare o, quando possibile, riciclare. Meglio quindi produrre meno rifiuti. Per quanto riguarda l’aspetto igienico, questo non è un problema, perché ogni persona dovrebbe riutilizzare i propri contenitori, non è previsto che ogni volta vengano riconsegnati al punto vendita. O meglio, quando vengono riconsegnati sono igienizzati in modo specifico, ma in generale l’idea sarebbe che ognuno utilizzi i propri per tante volte, portandoli con sè, come ci portiamo le borse per fare la spesa.
Ah ah ah , in Italia la vedo dura.
Sono l’unico che dal mio ortofrutta siciliano qui in Veneto, riutilizza i sacchettini/buste di carta (tanto frutta e verdura, li lavo sempre con amuchina o al massimo bicarbonato, e le buste cartacee sono di buona qualità e resistenti), oltre alla borsa apposita per riporre i suddetti.
All’inizio mi prendeva in giro, dopo un po’ ha capito, e gli piacerebbe che ci fosse più gente come me.
Noi usavamo le borse per la spesa in tessuto lavabili e riutilizzabili anni fa, quando qui erano un miraggio.
D’altronde, essendo cittadini d’oltralpe, per noi era la normalità.
Penso che ci sia un problema igienico nel riutilizzo di contenitori che non possono essere lavato ad alte temperature e poi va calcolato l enorme consumo di acqua che ne scaturisce. Forse l uso della carta al posto della plastica sarebbe un passaggio intermedio idoneo.
Per fare i prodotti in carta serve acqua comunque, ma va calcolato il rapporto costo e beneficio delle due opzioni
Il sig. GIORGIO BOTTINI ha centrato il problema: di chi la responsabilità in caso di contaminazioni dei cibi?
Quando facevo l’apicoltore, a volte i privati venivano a comprare il miele sfuso utilizzando i propri contenitori salvo poi avere lamentele, in alcuni casi, che il miele aveva un cattivo odore o altro.
Da allora abbiamo venduto il miele SOLO con barattoli e coperchi nuovi e controllati.
Dove lavoro ora, in tutt’altro ambito, abbiamo aumentato tantissimo il materiale usa e getta perchè più economico e sicuro rispetto a far lavare, da apposito personale, contenitori riutilizzabili.