cacao cioccolato

cacao semi sacco maniCargill, uno dei maggiori produttori mondiali di cioccolato, ha annunciato un piano d’azione strategico, denominato Protect our Planet, per porre fine alla deforestazione nella propria catena di approvvigionamento entro il 2030 e ridurre l’impatto ambientale delle proprie produzioni, garantendo così i futuri mezzi di sussistenza ai piccoli coltivatori di cacao che fanno parte della catena di fornitura nei cinque paesi interessati dalle sue operazioni: Ghana, Costa d’Avorio, Camerun, Brasile e Indonesia. 

In Ghana e Costa d’Avorio, che sono i due Paesi leader nella coltivazione di cacao, di cui coprono circa il 90% del commercio mondiale, Cargill si impegna da subito a “non convertire ulteriormente” alcuna area forestale per la produzione di cacao.

Per impedire che cacao e altri ingredienti del cioccolato provenienti da aree deforestate entrino nella propria catena di fornitura, Cargill si impegna a mappare il 100% delle aziende agricole da cui si approvvigiona direttamente, utilizzando anche la geolocalizzazione per monitorare il rischio di deforestazione, oltre che le tecnologie di tracciabilità come i codici a barre sui sacchi di cacao, per assicurarsi che non provengano da aree protette.

Tuttavia, Cargill non si approvvigiona solo direttamente dai coltivatori di cacao ma anche indirettamente. In questo caso la catena di fornitura è caratterizzata da molti passaggi, sui quali la compagnia statunitense si impegna ad esercitare un maggior controllo, attraverso un coinvolgimento dei fornitori e un innalzamento degli standard, affinché i coltivatori di cacao possano guadagnarsi da vivere senza danneggiare l’ambiente e adottino pratiche più ecologiche ed efficienti, favorendo il rimboschimento e il miglioramento della biodiversità. Cargill farà un rapporto annuale sui progressi e i risultati della sua nuova politica.

Spoon filled with cocoa
Il colosso statunitense Cargill ha annunciato lo stop immediato alla deforestazione in Ghana e Costa d’Avorio per le piantagioni di cacao

I nuovi impegni di Cargill sono arrivati a poca distanza dalla pubblicazione di un dossier dell’organizzazione statunitense Mighty Earth che ha documentato il mancato rispetto degli impegni assunti dalle industrie del cacao e del cioccolato alla fine del 2017, in occasione della 23^ Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop23) svoltasi a Bonn, insieme ai rappresentanti di Ghana e Costa d’Avorio, per porre fine alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani nella filiera.

Il cacao africano proviene in gran parte da piantagioni all’interno di parchi nazionali e aree protette, con l’utilizzo di molti pesticidi, ampio sfruttamento del lavoro minorile e un reddito medio dei lavoratori inferiore a un euro al giorno. A partire dalla sua indipendenza, ottenuta nel 1960, la Costa d’Avorio ha perso circa il 90% delle sue foreste, portando alcune specie, come l’elefante delle foreste e gli scimpanzé, sull’orlo dell’estinzione. In Ghana invece la deforestazione legata alla coltivazione del cacao è stata così ampia che il Paese potrebbe perdere tutte le sue foreste all’esterno delle aree protette.

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Renato Casaioli
Renato Casaioli
10 Febbraio 2019 14:04

“Il caso africano”, è il risultato di questo liberismo, di questo modello di globalizzazione, che senza dubbio ha fatto pagare il prezzo più alto al Continente nero. Il cacao, ma anche il Coltan, così come lo sfruttamento delle risorse di legname, il petrolio e molto altro ancora, ne sono una inequivocabile conferma.
L’Africa come scrigno di materie prime da rapinare dunque. La produzione industriale poi, delocalizzata dove la manodopera costa nulla. Tutto questo personalmente l’ho sempre chiamato riedizione di un neo colonialismo, con la differenza rispetto al passato, che vedeva protagonisti solo la vecchia Europa e gli Stati uniti, irrompere come grande protagonista globale la Cina.
La globalizzazione ha prodotto una crisi di identità a milioni di persone soprattutto in Occidente attraverso la pratica della desertificazione industriale, aprendo la strada ad una instabilità economica delle medesime. Una politica miope, priva di pensiero critico, assoggettata da anni agli interessi delle grandi multinazionali, non trova di meglio che un riproporre un nazionalismo attraverso la rimessa in auge dei dazi e altre scemenze del genere. Quando al contrario è una battaglia per l’estensione e l’affermazione dei Diritti, della democrazia, dello Stato di Diritto, la strada certamente tortuosa e lunga, ma l’unica che può portare alla nascita di un modello di cooperazione internazionale, che spodesti sempre più questa globalizzazione.

Costante
Costante
12 Febbraio 2019 15:47

Era ora che qualcuno se ne accorgesse, ma buttarsi così a lungo sulle coltivazioni di palme da olio, molto meno impattanti , serviva a sviare l’attenzione dal grosso dell’iceberg. Cargill intelligentemente ha preso l’iniziativa, anche per togliere spazio ai francesi, e per anticipare in Africa i cinesi.