L’Efsa ha pubblicato un parere sulla sicurezza della carne frollata, in cui si legge che il trattamento non presenta particolari rischi microbiologici rispetto alla carne fresca, purché la conservazione in cella frigorifero sia effettuata in condizioni controllate. La frollatura ha lo scopo di migliorare le caratteristiche organolettiche della carne. Si tratta di un processo di “maturazione controllata” (ne abbiamo parlato qui e qui), ed è basato su una prolungata conservazione a bassa temperatura. In questo modo entrano in azione i naturali enzimi contenuti nella carne che iniziano a idrolizzare le proteine del collagene e delle fibre muscolari, migliorandone la texture e il sapore.
La procedura richiede tempi più lunghi e tecnologie specifiche rispetto alla macellazione ordinaria perché bisogna assicurare durante la conservazione in cella il controllo costante di temperatura, umidità e ventilazione. Per questo motivo la frollatura si applica solo su alcuni tagli selezionati, provenienti da razze pregiate. Il processo prevede una conservazione in celle per un periodo variabile da 15 a 30 giorni, e può durare anche di più. L’intervallo può variare anche in relazione alla dimensione del taglio di carne, alla razza e al contenuto di grasso. La differenza con la procedura di macellazione e sezionamento per la produzione di carne standard è notevole. La carne arriva sui banchi frigorifero dei supermercati e delle macellerie a distanza di 48 – 72 ore dalla macellazione. Si tratta del tempo minimo necessario per ottenere il corretto raffreddamento e la naturale acidificazione del muscolo che si trasforma in carne.
La frollatura si ottiene attraverso due sistemi. Il primo, denominato “dry-aging”, prevede che i tagli selezionati vengano trasferiti in cella frigorifero ad una temperatura compresa tra 0,5° e + 3 C°, in condizioni di bassa umidità e alta ventilazione, per almeno 15 giorni, ma può arrivare a 30. In questo modo si ottiene il massimo effetto fra la naturale acidificazione lattica e la proteolisi enzimatica, aumentando la tenerezza ed esaltando il sapore. Il processo comporta un aggravio economico che incide in modo sensibile sul prezzo finale. Basti pensare che la carcassa durante la sosta in cella può perdere sino a 10 % del peso. Si devono poi considerare i costi dovuti allo stoccaggio prolungato e le perdite dovute alla rifilatura superficiale, fatta in macelleria prima della vendita per eliminare le parti imbrunite.
Il secondo sistema denominato “wet-aging” prevede che le carni siano confezionate sottovuoto e conservate in celle frigorifero tradizionali. Anche in questo caso la frollatura può durare circa 15 – 30 giorni. La conservazione sottovuoto consente una prolungamento della shelf-life che può arrivare a 120 giorni, grazie all’effetto protettivo del confezionamento. Il taglio di carne confezionato si può conservare nel frigorifero di casa avendo l’accortezza di controllare la temperatura (4-5°C) e di rispettare la data di scadenza. È altresì consentito il congelamento, purché effettuato prima della scadenza e in condizioni ottimali di conservazione. Con il sistema “wet aging” la perdita di peso è inferiore e non è necessaria la rifilatura superficiale.
Come fa il consumatore a sapere che tipo di carne sta acquistando? “Quando la carne è sottoposta a frollatura – spiega Giovanni Sorlini responsabile assicurazione qualità Inalca – le informazioni sui tempi e sulle modalità del trattamento vengono indicate in etichetta. Una descrizione chiara è necessaria per informare il consumatore sulle caratteristiche di un prodotto di elevata qualità destinato alla fascia alta del mercato. Oltre alle modalità, è opportuno riportare sull’etichetta la razza, l’origine, la provenienza degli animali, le modalità di allevamento e il tipo di alimentazione. Queste informazioni devono essere certificate tramite un disciplinare riconosciuto ed autorizzato dal ministero dell’Agricoltura. Un buon taglio di carne frollata – continua Sorlini – deve presentarsi di colore più scuro rispetto al rosso brillante tipico delle carni tradizionali e avere una buona presenza di grasso. È importante sottolineare che il processo di frollatura deve avvenire in condizioni standardizzate e controllate – come ha chiarito l’Efsa in una recente pubblicazione. In altre parole, non è sufficiente che il singolo operatore conservi la carne in cella frigorifero per qualche giorno per venderla genericamente come frollata. Occorrono procedure di trattamento standardizzate e documentate, oltre ad un’etichettatura chiara e completa”
C’è di più: per essere di qualità superiore e distintivi rispetto ai tagli tradizionali, i tagli devono provenire da animali con una crescita ottimale, per cui deve esserci una presenza abbondante del grasso di copertura e anche la parte di grasso contenuta all’interno dei fasci muscolari deve essere visibile e distribuita in modo uniforme. Meglio se ottenuti da animali di sesso femminile e di età superiore ai 24 mesi. “In Italia – continua Sorlini – le carni frollate sono destinate al circuito della ristorazione e provengono da Paesi vocati a questo tipo di allevamenti come Polonia, Stati Uniti, o Australia. Anche in Italia abbiamo circuiti adeguati, ma non sono sufficienti a soddisfare la domanda“. Per il momento la carne frollata si trova soprattutto nei ristoranti specializzati e nelle steak-house, anche se la grande distribuzione sta allestendo linee dedicate già presenti negli scaffali delle grandi insegne.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
“non è sufficiente che il singolo operatore conservi la carne in cella frigorifero per qualche giorno per venderla genericamente come frollata. Occorrono procedure di trattamento standardizzate e documentate, oltre ad un’etichettatura chiara e completa”.
Molti decenni fa, macellai competenti, praticavano la frollatura. Forse con sistemi non controllati o mal controllati, ma con buoni risultati.
Interessante anche sapere che la seconda metodica – quella del sottovuoto – è a portata del consumatore medio.
articolo molto interessante