Il Parlamento europeo ha salvato i burger vegani e ha respinto tutti e quattro gli emendamenti relativi al divieto di chiamare i prodotti vegetali sostitutivi della carne con nomi quali burger, salsicce, salame, carpaccio e mortadella che, con diverse sfumature e approcci più o meno drastici, puntavano a modificare profondamente la vendita dei surrogati vegetali. I produttori dovranno indicare chiaramente che l’alimento non contiene carne, ma nulla di più.
Si conclude così, almeno per il momento, la guerra ai burger vegani dichiarata dai produttori di carne, rappresentati da Copa-Cogeca (unione delle associazioni europee di agricoltori e allevatori) e sostenuti da diversi gruppi parlamentari europei, anche attraverso la campagna mediatica Ceci n’est pas une steak. Se gli emendamenti fossero stati approvati, avrebbero costretto i produttori delle cosiddette fake meat e dei surrogati vegetali, a trovare denominazioni fantasiose per le loro proposte. I quali, probabilmente, non avrebbero scoraggiato la quantità crescente di consumatori che cercano alternative vegetali alla carne, e non avrebbero rallentato la crescita di un mercato che sta conoscendo un momento d’oro.
Ha vinto, insieme a quella dei produttori, anche la linea di alcune associazioni ambientaliste, come Greenpeace, secondo cui le fake meat rispondono agli obiettivi green che la stessa Europa si è data, tra i quali vi è la promozione di un minor consumo di carne e uno maggiore di prodotti a base vegetale. Anche i consumatori, avevano sottolineato le stesse obiezioni nelle ultime settimane: sono in grado di capire la natura di un alimento a base vegetale e nessuno può confondere prodotto chiamati burger vegani con uno di carne, mentre, al contrario, trovare nomi come “dischi vegetali” avrebbe, questo sì, confuso le idee.
Naturalmente dietro le motivazioni teoriche, lo scontro è di tipo economico e tuttora non privo di contraddizioni. Da una parte i produttori di carne, filiera in crisi, cercano di proteggere la loro fetta di mercato e si appellano anche a una sentenza della Corte Europea di Giustizia del 2019 in cui si stabiliva che un prodotto a base vegetale non può avere una denominazione attribuita di solito ai prodotti con proteine animali.
Dall’altra le aziende che hanno dato vita al nuovo mercato dal valore di 4,6 miliardi di dollari, e quelle che via via, sempre più numerose, si stanno aggiungendo, stanno cercando di non compromettere la fase espansiva, e sono ormai sostenute anche da alcuni big del settore. Dopo i fondatori Beyond Meat e Impossible Meat, e dopo Nestlè, Kellog’s, Findus e Unilver, infatti, anche le catene del fast food come McDonald’s (ma non in Italia) e Burger Kings si sono buttate a capofitto sui prodotti vegan, che in quattro anni dovrebbero alimentare un mercato ancora più grande, da 6 miliardi di dollari. E hanno quindi interesse a proteggere il settore.
Ulteriore stretta, invece, per la normativa sui sostituti di latte e derivati, che devono avere una denominazione diversa da quella dei prodotti tradizionali e che ora non possono usare nemmeno termini come “sostituto dello yogurt” o “imitazione di formaggio”. Sul suo sito, Greenpeace ha commentato: “sempre più persone mangiano più prodotti di origine vegetale e passano ad alternative di carne e latticini, per la loro salute e per l’ambiente, e continueranno a chiamare i surrogati dei latticini “yogurt” e “formaggio” in ogni caso”
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Giornalista scientifica
Speriamo in un provvedimento legislativo nazionale come è avvenuto in Francia e Spagna.
Tra l’altro rischiamo pure la beffa che, trattandosi di alimenti ultraprocessati i cui consumi energetici per produrli non sono per niente sostenibili, di vederceli classificare con l’etichetta a semaforo tra i prodotti più “salutari” della carne
Purtroppo il nostro governo sembra avviato a lasciarsi imporre passivamente l’etichetta semaforo, per la quale gli stessi che hanno ottenuto di poter continuare a ingannare il consumatore con falsi nomi stanno facendo una campagna ossessiva perché premia i loro prodotti ultra-trasformati e che contengono dozzine di additivi, addensanti, coloranti, conservanti, emulsionanti, stabilizzanti…
L’etichetta italiana a batteria, molto più completa e difficile da ingannare, e che ha solo bisogno di un po’ di colore per renderla più immediatamente comprensibile e di un peso di riferimento fisso obbligatorio, ad esempio per 100 grammi di prodotto e non per “porzione” di fantasia decisa arbitrariamente da ogni singolo produttore, sembra ferma al palo nel disinteresse generale.
Ha vinto ancora una volta il grande business (Beyond Meat, Impossible Meat, Nestlè, Kellog’s, Findus, Unilver, McDonald’s, Burger Kings e chissà quanti altri) sul consumatore, che si troverà ancora prodotti con etichette truffaldine che strilleranno HAMBURGER! in caratteri di scatola, con la foto di un sugoso vero hamburger di carne autentica e la scritta, piccolissima e in un posto poco visibile, “la foto rappresenta solo un suggerimento di preparazione” e la confessione che è un pastone di soia eccetera e di carne non ce n’è neppure una traccia scritta con noncuranza deliberata in modo che si trovino solo se si cercano con attenzione, rispettando la legge, per carità, ma contando sul fatto che il consumatore va di fretta e non si accorgerà del trucco.
C’è solo da sperare che venga rispettata rigidamente almeno la separazione netta tra i reparti, in modo che il consumatore sappia di trovarsi davanti a prodotti che con la carne non hanno nulla a che fare, che da una parte farà contento chi la carne non la vuole neppure vedere ma al contempo proteggerà chi invece vuole portare a casa il prodotto autentico che sta cercando.
ben detto!
Ma speriamo che prima di tutto i colossi della carne di animale inizino ad allargarsi ai prodotti vegetariani e/o vegani, ma che sia ben indicato che nel burger o nelle polpette che compro NON c’è traccia dei resti di un povero animale!!!!
Rimango basito della scarsa opinione che si manifesta riguardo il consumatore medio, consoderandolo un beota che compra un hamburger di soia o seitan nel reparto “alimenti vegetariani” pensando che sia carne solo perchè c’è scritto hamburger e per l’immagie sulla confezione…
Dovrà stare attento allora anche a non farsi ingannare dal salame di cioccolato e dal latte di mandorle!
Probabilmente tu hai un sacco di tempo e al super passeggi tranquillo con su le cuffiette, leggendo a fondo tutte le etichette senza guardarti in giro, ma la stragrande maggioranza delle persone si fionda al super uscendo dal lavoro per fare una spesa veloce prima di tornare a casa, dove c’è il resto della famiglia che a differenza di quella del Mulino Bianco non sta correndo felice per i prati ma vuole cenare e poi farsi i fatti suoi.
Di conseguenza afferra le cose che gli servono, badando a non spendere troppo e a non dimenticare nulla, e la prima cosa che guarda è la foto in etichetta, e spesso sbaglia: mai visto tutta la roba abbandonata fuori posto o presso le casse? Non è vandalismo, è che han preso una cosa per l’altra ma se ne sono resi conto prima di pagarla e portarla a casa.
E non si tratta di essere cretini come dici tu, se il tuo “salame al cioccolato” e il “latte di mandorle” non ingannano nessuno quando sono nel reparto pasticceria possono invece finire nel carrello per distrazione se si trovano sullo scaffale “offerte” o peggio in quelli salumeria o latticini.
Per questo auspicavo che il prodotti di soli vegetali ma con etichetta falsa uguale a quelli a base di carne oltre a riportare in modo evidente la scritta NON CONTIENE CARNE o simili sia PER LEGGE, e non a piacere del venditore, TENUTA RIGOROSAMENTE SEPARATA E MESSA NEL REPARTO VERDURE, dove chi è vegetariano potrà comprarseli tranquillo, e chi va nel reparto macelleria non se li trova tra le mani per sbaglio.
Prova a leggere la discussione che c’è qui su un etichetta che ha ingannato una signora dice lei: https://ilfattoalimentare.it/esselunga-macinato-di-suino.html e vedi quanti pensano che il consumatore non legge bene le etichette e che devono essere più chiare e non meno come dici tu!
Primo: la cosa fondamentale prima di acquistare qualsiasi alimento è leggere almeno gli ingredienti in etichetta. Praticamente tutte le informazioni necessarie sono nella lista ingredienti. Anche questo sito è pieno di lamentele di consumatori che se avessero letto la lista ingredienti e le informazioni minime obbligatorie, ad esempio l’origine dove prevista, avrebbero evitato l’acquisto e la successiva lamentela. Secondo: in Italia siamo sempre particolarmente efficienti ad emanare norme aggiuntive che hanno l’unico risultato di aumentare complicazioni e costi degli operatori italiani, ma che non si applicano ai prodotti ottenuti nel resto d’Europa. Quindi il bel risultato che si ottiene tutte le volte è che l’impresa italiana deve gestire maggiori informazioni in etichetta, separazione delle materie prime, analisi ecc., invece il produttore estero arriva nel nostro supermercato con lo stesso prodotto, meno informazioni (superflue) e minori costi. Sarebbe ora che i politici italiani capissero quali sono le materie di competenza comunitaria, e la piantassero di sbandierare come vittorie gli sciocchi provvedimenti nazionali, che poi spesso vengono aboliti e sanzionati perché non conformi al diritto comunitario. Questo non vuol dire che bisogna rinunciare alle proprie prerogative, ma che se si ritiene necessaria una battaglia politica su un argomento, questa va fatta in sede UE, dove l’Italia dispone di decine di europarlamentari lautamente pagati che spesso brillano soprattutto per assenza e incompetenza.
Terzo: se la maggior parte dei consumatori non guardano nemmeno gli ingredienti, aggiungere ulteriori informazioni come etichette nutrizionali, a semaforo, a batteria, ecc. diventa solo causa di maggiore confusione.
Quarto: tutto questo stracciarsi le vesti per il burger vegano lo comprendo poco. Se un consumatore lo acquista per sbaglio, i casi sono due: o gli piace e magari torna ad acquistarlo, o si accorge dell’errore ed impara a leggere l’etichetta prima di acquistare. Pensare che milioni di persone se lo mangino senza accorgersi che non è carne grazie all’etichetta “fraudolenta” mi sembra abbastanza ridicolo.
Saluti a tutti
Valerio:
“Primo: la cosa fondamentale prima di acquistare qualsiasi alimento è leggere almeno gli ingredienti in etichetta.”
Quale parte di “avere fretta” ti sfugge? Non sono confezioni di strani prodotti sconosciuti che possono contenere chissacosa, leggi “hamburger”, guardi la data di scadenza, metti nel carrello. Fine.
“Secondo: in Italia siamo sempre particolarmente efficienti ad emanare norme aggiuntive”
Se quelle europee non tutelano il consumatore, deogratia! ben vengano!
“Terzo: se la maggior parte dei consumatori non guardano nemmeno gli ingredienti, aggiungere ulteriori informazioni come etichette nutrizionali, a semaforo, a batteria, ecc. diventa solo causa di maggiore confusione.”
Vero nel caso di un’etichetta rozza come il “semaforo”, che usa parametri fuorvianti favorendo gli alimenti ultratrasformati, falso nel caso della “batteria” che di fatto sostituisce la descrizione dettagliata scritta dietro in piccolo
“Quarto: tutto questo stracciarsi le vesti per il burger vegano lo comprendo poco. Se un consumatore lo acquista per sbaglio, i casi sono due”
No, il caso è uno solo, il consumatore è stato ingannato, volontariamente o involontariamente.
E questo non deve avvenire.
Caro Mauro, non so che supermercati frequenti e a che ora, ma io tutta ‘sta gente di corsa che arraffa velocemente prodotti da mettere nel carrello per poi fiondarsi alla cassa, non ne ho mai vista.
E faccio la spesa una volta alla settimana, tutte le settimana, da anni…
Non ho neanche mai visto prodotti vegetariani nel reparto macelleria e viceversa…
Beato te che hai tutto il tempo del mondo e vai al centro commerciale per passarlo in qualche modo, ma la gente normale ha una vita fuori dal super, va quando può, di solito dopo il lavoro e prima di andare a casa a portare fuori il cane, preparare la cena, occuparsi dei bambini, mettere su la lavatrice, e basta guardare tutta la roba abbandonata nei pressi della cassa per rendersi conto che mettono nel carrello in fretta e in modo automatico, senza cercare in borsa gli occhiali “daperdavicino”per leggere le scritte minuscole, e se hanno tempo si fanno venire dei dubbi. Che tu non hai, fortunatamente, e con la tua vista acuta puoi leggere con calma anche i più piccoli dettagli.
Per Mauro: se dai per scontato che tanto la gente non sappia leggere e afferri le confezioni a caso, qualsiasi informazione aggiuntiva è inutile.
Aggiungo un’altra informazione che forse vi sfugge, per i tifosi di etichette a semaforo, batteria, nutrizionali, di origine, ecc. ecc. ecc.: in etichetta si può scrivere qualunque cosa, che poi sia vera è tutto un altro paio di maniche. I controlli sulle informazioni in etichetta sono abbastanza rari rispetto al volume di referenze in circolazione, anche perché il personale delle aziende sanitarie locali, che esegue la maggior parte delle ispezioni nelle aziende, si occupa dii igiene degli alimenti e ha scarsa conoscenza e formazione in materia di etichettatura, ICQRF ha poco personale e lo riserva alle verifiche sulle principali filiere regolamentate, come vitivinicolo, DOP e biologico, e altri organi di controllo come i Carabinieri NAS operano principalmente in seguito a emergenze o denunce. Dato che mi occupo di agroalimentare da qualche annetto, vi posso tranquillamente dire che molte etichette di alimenti in commercio sono sbagliate, incomplete o irregolari, e in vari casi mi è capitato di segnalarle alle aziende produttrici, che erano appena passate indenni dalle ispezioni delle autorità pubbliche. Più si aggiungono obblighi e specifiche, più si ottiene il risultato che le grandi aziende si possono permettere di pagare le sanzioni per pubblicità ingannevole per le loro affermazioni “borderline”, tanto il ritorno di vendite è superiore al microscopico danno arrecato dalla sanzione, mentre tanti produttori artigianali sbagliano le etichette per ignoranza perché non possono permettersi una squadra di avvocati specializzati in etichettatura degli alimenti.
Valerio
“se dai per scontato che tanto la gente non sappia leggere e afferri le confezioni a caso, qualsiasi informazione aggiuntiva è inutile”
Ti sfugge che l’etichetta semaforo/batteria non sarebbe una delle tante informazioni pubblicitarie fuorvianti ma un segnale chiaro e leggibile di cosa contenga quel prodotto dal punto di vista nutrizionale, in una forma immediata e intuitiva che semplifica la scelta e può rimandare la lettura attenta dei dettagli scritti in piccolo sul retro alle serate sul divano.
“in etichetta si può scrivere qualunque cosa, che poi sia vera è tutto un altro paio di maniche”
Prendendo per buona la tua esperienza sul campo, che i produttori possano scrivere sull’etichetta l’oroscopo invece dell’elenco ingredienti francamente lo credo poco realistico… che poi giochino sui decimali o sull’ordine dei componenti, confidando che se vengono beccati pagheranno due lire, è possibile, ma vale il rischio di vedere il loro marchio sputtanato sui giornali?
Che poi occorra un avvocato per redigere un’etichetta mi pare una sparata un po’ grossa, il piccolo produttore non ha che da prendere a modello l’etichetta di un prodotto analogo, che sia già sul mercato da tempo e quindi verisimilmente passato ai controlli, modificando i componenti in base alla sua ricetta… sistema rozzo ma funzionale.
Mauro, si vede che hai visto pochi stabilimenti alimentari, ma soprattutto non hai mai avuto occasione di confrontare quanto scritto in etichetta con quanto realmente utilizzato nel processo di produzione, e non hai idea di quante norme, soprattutto in Italia, ci siano sugli alimenti. Tanto per fare un esempio: nei prodotti regolamentati DOP/IGP/biologico il Ministero Politiche Agricole vuole comparire in etichetta con un’apposita dicitura. Peccato che la sigla del Ministero fosse MiPAAF, poi nel primo governo Conte è stato accorpato il Turismo, per cui la sigla è diventata MIPAAFT, poi nel secondo governo Conte hanno ridato al turismo un ministero separato, e la sigla è tornata MiPAAF nel giro di un anno circa. Con appositi decreti ministeriali è stato richiesto ai produttori di rifare tutte le volte le etichette di tutti i prodotti interessati con la nuova sigla. Inoltre in Italia ad esempio sui prodotti biologici ma non solo, sono richieste dai decreti ministeriali informazioni aggiuntive rispetto a quelle previste nel resto d’Europa, per cui il produttore italiano che vende anche in altri paesi deve progettare e realizzare etichette differenti per lo stesso prodotto. Abbiamo norme che valgono solo in Italia per panettoni e pandori, insaccati, farine, derivati del pomodoro, latte, pasta, ecc. ecc. Ci sono norme sulle dimensioni dei caratteri utilizzabili, dei loghi ufficiali, dei colori, e che ti dicono in quale lato della confezione devono stare certe indicazioni. Aziende straniere sono state sanzionate perché sulla confezione di una pizza surgelata hanno messo l’immagine di una pizza con pomodoro rosso, mozzarella bianca e basilico verde, che è stato ritenuto un richiamo fraudolento alla bandiera italiana, ma di che colori dovevano farla la pizza? Aziende italiane sanzionate perché hanno arrotondato gli spigoli di un logo ufficiale che nei regolamenti europei o decreti ministeriali erano spigoli vivi, ecc. ecc. ecc. Alcuni semplici esempi di etichette sbagliate riscontrati per esperienza diretta sul campo: stabilimento di produzione in etichetta sbagliato perché ci si è trasferiti ma ci sono decine di migliaia di imballi prestampati da smaltire; elenco ingredienti sbagliato perché è cambiata la ricetta ma ci sono decine di migliaia di imballi prestampati da smaltire; elenco ingredienti sbagliato perché non sono stati presi in considerazione tutti gli ingredienti presenti nelle materie prime; dichiarazioni di origine sbagliate perché è stato indicato il paese del fornitore e non il paese di produzione dell’alimento, che era un altro; dichiarazioni di origine sbagliate perché non si è in grado di gestire una variazione continua delle etichette in base all’origine degli ingredienti che arrivano tutti i giorni; ordine degli ingredienti in etichetta sbagliato per problemi di calcolo delle quantità in ingresso (non sempre è facile quando hai ad esempio ingredienti liquidi, solidi, gassosi con unità di misura e sistemi di misurazione differenti), o perché è meglio mettere prima gli ingredienti di richiamo anche se in realtà sono presenti in quantità minore; assenza di informazioni sugli allergeni perché non sono stati presi in considerazione tutti gli allergeni potenzialmente presenti in tutti gli ingredienti impiegati e provenienti da decine di fornitori diversi; lotto sbagliato perché si continua a riportare un lotto materia prima che in realtà è terminato; informazioni nutrizionali sbagliate perché vengono utilizzati valori medi da bibliografia e non quelli molto variabili delle materie prime impiegate, ecc. ecc. ecc. Ti garantisco che le aziende che se lo possono permettere valutano le etichette con uno studio legale specializzato, e a volte non basta. Poi se in tutto questo tu che sai tutto pensi che basti copiare l’etichetta di un concorrente… rimani pure a pontificare qui, che fai meno danni!
Essendo nell’ambiente, concordo con Valerio.
Fare un’etichetta alimentare in Italia è complicatissimo, ci vogliono degli avvocati per quante norme ci sono da leggere, capire ed applicare…
Sinceramente mi sfugge tutta questa polemica/diatriba circa il nome…
Da sempre il cervello umano lavora “per analogia” e quando si imbatte in qualcosa di nuovo cerca di “etichettarlo” con quanto di piu` simile il suo bagaglio mnemonico/culturale gli offre.
E questo in tutti i campi.
@Mauro, ammettiamo pure che per distrazione/fretta un consumatore acquisti un burger vegetale per sbaglio (errori al supermercato ne abbiamo fatti tutti, almeno io di sicuro…) che tragedia sara`mai? Se proprio non vuole mangiarlo lo butta altrimenti lo cuoce e lo assaggia, dopodiche` se non gli e` piaciuto la volta dopo stara` piu` attento nell’acquisto o, se gli piace, lo comprera` ancora… o forse e` proprio questo che alcuni temono?
@Roberto, mi risulta che i “latti vegetali” (soia, riso, mandorla) non possano gia` piu` chiamarsi “latte di” bensi` “bevanda al” Altra assurdita` secondo me perche` poi tutti, ma proprio tutti, continuiamo a chiamarli latte di mandorla etc… etc…
Speriamo almeno nel “salame di cioccolato” e nel “cappon magro” prima che ci cambino il nome anche a quelli… 🙂
G.
A me sembra che non sia una polemica sterile, se le grandi industrie come Kellog e Nestlè vogliono quei nomi hanno i loro motivi e certamente non sono salutistici o altruistici ma solamente commerciali, diamogli un bel nome che gli faccia pensare di mangiare carne e vendiamogli verdura che ci costa un terzo o credi che lo facciano pechè di colpo sono diventati dei benefattori dell’umanità?? possibile che ci cascate tutti?? e comunque se ha ragione Valerio e le etichette sono tutte false allora aggiungere un inganno sull’unica parola vera hamburger è tutto a loro vantaggio, che senso ha dire “ma se lo compra per sbaglio lo butta”, glielo paghi tu? io non di sicuro!!!! e poi basta con le scemenze sul salame al cioccolato che mica lo cerchi in salumeria, ma dove avete la testa, allora le lingue di gatto le cercate dalle gattare al parco????
Giuseppe (l’altro)
Giorgio scusa ma perche` secondo te chi c’e` dietro l’unione delle associazioni europee di agricoltori e allevatori che si e` e` battuta tanto per contrastare il nome “burger vegetale”? Altre multinazionali ovviamente!
Il cui unico interesse e` non perdere quote di mercato nel caso il consumatore preferisse (x moda o scelta consapevole) non acquistare piu` i loro prodotti.
La frase sul gettare il prodotto era ovviamente un estremizzazione, se un consumatore si sente ingannato dopo l’acquisto di un burger vegetale (che per inciso non ho mai visto nel bancone macelleria di nessun supermercato, anzi finora li ho sempre visti “isolati” quasi a sottolineare il loro aspetto “premium”) puo` sempre tornare al punto vendita a lamentarsi e chiedere un cambio/rimborso oppure… assaggiarlo e magari scoprire che gli piace pure!
Tu non hai mai acquistato qualcosa scoprendo poi che non era esattamente quello che volevi?
Tempo fa ho comprato per sbaglio un litro di latte di soia (pardon… bevanda alla soia), stessa corsia del latte “vero”, packaging identico a parte la scritta, l’abbiamo bevuto ovviamente, a me non e` piaciuto per niente mentre a mia moglie e` piaciuto tanto che adesso beve solo quello!
E ricordo ancora quando molti molti anni fa comprai senza fare troppa attenzione una cola con l’etichetta rossa convinto fosse Coca e invece era un “clone” del supermercato con somma arrabbiatura di mia figlia e dei suoi amichetti. A mia moglie successe la stessa cosa con la Nutella.
Morale? Dopo questi episodi si sta piu` attenti e finisce li`, amen.
Non capisco l’accanimento sul nome, tutto qui:
-se un consumatore e` distratto non sara` certo il nome a rendere la sua scelta consapevole, comprera` d’impulso quel pacchetto in cui intravede del macinato color rosso-bruno sia se sopra c’e` scritto “burger vegetale” sia se sopra c’e` scritto “preparato vegetale a base di…”
-se un consumatore e` attento il problema alla base non si pone
Cordialita`
Giuseppe
Temo che qualcuno qui se ne dovrà fare una ragione e mettersi l’anima in pace.
Per troppo tempo se n’è fatta a sproposito una questione di vita o di morte con generalizzazioni troppo affrettate.
Mi verrebbe da pensare che a qualcuno dia fastidio che qualcun altro possa comperare sostituti della carne. Additivi sono presenti in tutti i cibi pronti, a prescindere dalla presenza di carne o meno.
L’esperienza insegna che questi additivi, in prodotti venduti in supermercati bio, sono praticamente assenti.
E vi prego, niente anatemi populistici sui prodotti bio. Se uno sceglie di rifornirsi di questi, non ha certo bisogno di essere “catechizzato” a ritornare a fare la spesa “normale”.
Comunque vorrei tranquillizzare tutti: i prodotti vegetali (burger, polpette ecc) sono posizionati molto lontani dal reparto della carne, in tutti i supermercati. Spesso sono in reparti dedicati, a volta sono vicino al formaggio.
La possibilità che qualcuno si confonda è quanto mai remota…
Ma vorrei ben vedere specialmente con la paura che hanno i vegani di vedere prodotti con carne vicino ai loro ma è una scelta del super non un obligo di legge quindi niente ci mette al sicuro domani di non trovare tra le offerte treperdue in mezzo ai corridoi o alle casse prodotti che sembrano una cosa e sono un altra, dev’essere il legislatore a vietarlo in modo chiaro per legge non che fanno come vogliono!!