In questi giorni è in discussione al Senato, dopo essere stata approvata alla Camera, la prima legge quadro italiana sull’agricoltura biologica per la quale si registra un accordo da parte di quasi tutte le forze politiche. La norma considera la produzione biologica un’attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale, in quanto settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e sulla salvaguardia della biodiversità, che concorre alla tutela della salute e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra.
Una voce contraria è quella di Elena Cattaneo, senatrice a vita, che nei giorni scorsi ha risposto a un’intervista su Il sole 24 ore, in cui definisce il biologico una favola “bella ma impossibile” e rilancia la lettera che il 9 gennaio scorso è stata indirizzata a tutti i senatori della Repubblica e che della legge chiede il ritiro, firmata da oltre 400 tra Agronomi, ricercatori e docenti universitari. Elena Cattaneo è una farmacologa e biologa, che ha condotto numerose campagne contro il biologico che considera un inganno per i consumatori affascinati dalla “favola” del “naturale=buono” e costretti a pagare “prezzi fino al 100% superiori”.
Il testo sulla produzione agricola con metodo biologico (leggi qui) presentato nel marzo 2017 scorso dalla deputata Pd, Maria Chiara Gadda, è stato approvato a dicembre 2018 dalla Camera e ora è al vaglio del Senato. Tra i punti più significativi, c’è l’introduzione di un piano nazionale delle sementi biologiche.
A sostegno dalla ricerca e della promozione per l’agricoltura biologica, si sono schierati diversi scienziati che hanno pubblicato un contributo sul tema e che in questi giorni di discussione in parlamento, stanno cercando adesioni per sostenere il dibattito scientifico (ad oggi sono 470 firmatari – le adesioni si comunicano a paolo.barberi@santannapisa.it).
“In merito al disegno di legge attualmente in discussione – si legge nel comunicato – e alle critiche espresse in diverse occasione dai detrattori dell’agricoltura biologica (senatrice Cattaneo in testa), non condividendo molte di queste dichiarazioni, abbiamo deciso, come “Gruppo di docenti per la Libertà della Scienza”, di riprendere e affrontare alcuni temi controversi per un approfondimento scientifico. Con questo nostro contributo intendiamo ribadire la validità dell’agricoltura biologica, senza togliere nulla ad altri modelli di agricoltura che si sforzino nella ricerca di sistemi di gestione e pratiche più sostenibili. Intendiamo ribadire anche l’importanza di discutere di questi temi – di cruciale importanza per il futuro non solo dei sistemi agro-alimentari ma dell’intera umanità – con serietà, evitando posizioni ideologiche di parte e approcci pseudo-scientifici.”
Per approfondire la proposta di legge e le caratteristiche dell’agricoltura biologica abbiamo chiesto a Roberto Pinton, segretario di AssoBio, di rispondere alla nota di Elena Cattaneo.
Come sarebbe bello se l’uomo (o la donna) di scienza che, pur di non scontentare l’intervistatore, fosse giunto alla determinazione di rispondere su argomenti estranei alle sue competenze, chiedesse un po’ di tempo e lo dedicasse a un rapido excursus di quanto la scienza esprime sul tema o di cosa sta accadendo intorno a sé…
A basarsi su propri appunti polverosi (o su quelli premurosamente forniti da occasionali conoscenti) non sempre si fa un affare: c’è il rischio di inciampare in svarioni e papere, come accade a Elena Cattaneo nei suoi interventi a ripetizione sulla produzione biologica.
Il testo di legge in materia di agricoltura biologica ora all’esame del Senato è stato approvato dalla Camera a larga maggioranza dopo aver acquisito il parere favorevole di tutte le otto commissioni parlamentari competenti, e ha ricevuto il plauso di numerose organizzazioni (tra loro anche l’ANCI, l’associazione dei Comuni italiani). Elena Cattaneo ritiene che sia la maggioranza dei deputati che chi ha espresso apprezzamento sia stato preso da un abbaglio, “sposando irragionevolmente una narrazione bucolica ed elitaria” diffusa dalla potente lobby del biologico.
Che tra chi ha benedetto il testo approvato si annoverino Coldiretti e Agrinsieme (il coordinamento che rappresenta le aziende e le cooperative di Cia, Confagricoltura, Copagri, Alleanza delle cooperative agroalimentari), il che sta dire la totalità del settore agricolo nazionale, che chiede al Senato di accelerare l’iter di approvazione, a nulla sembra contare per Elena Cattaneo, convinta com’è di essere il legittimo rappresentante di un intero settore produttivo che, da parte sua, ignora di averle conferito tale mandato.
Se avesse consultato il Rapporto nazionale Pesticidi nelle acque che l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) redige sulla base delle informazioni fornite da 21 Agenzie Regionali (ARPA) e Provinciali (APPA) per la protezione dell’ambiente, saprebbe che ci sono pesticidi nel 67,0% dei punti di campionamento delle acque superficiali e nel 33,5% di quelle sotterranee (con anche 55 sostanze diverse in un singolo campione): “In alcune Regioni la presenza dei pesticidi è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 90% punti delle acque superficiali in Friuli Venezia Giulia, provincia di Bolzano, Piemonte e Veneto, e più dell’80% dei punti in Emilia Romagna e Toscana. Supera il 70% in Lombardia e provincia di Trento”.
Saprebbe che il 23.9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e l’8,3% delle acque sotterranee presentano concentrazioni superiori ai limiti ambientali.
Saprebbe anche che le sostanze più rinvenute sono i diserbanti, ma anche che “rispetto al passato è aumentata significativamente la presenza di fungicidi e insetticidi, soprattutto nelle acque sotterranee“, una frase che preoccupa per essere un “taglia e incolla” presente in ogni edizione del rapporto.
Alle acque superficiali e profonde nessuno deve aver spiegato la pur affascinante tesi che l’attuale agricoltura convenzionale costituisca il metodo che inquina meno.
Se avesse gettato un’occhiata anche distratta a quanto prodotto dalla FAO (non un’organizzazione di luddisti, proprio l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) in occasione del 2015 anno internazionale del suolo, saprebbe che circa metà dei suoli europei ha un basso contenuto di sostanza organica, principalmente nella nostra Europa del sud, e che circa 80% dei suoli italiani ha un contenuto di carbonio organico inferiore al 2%, con una grande percentuale con valori inferiori a 1%.
Saprebbe che il declino della materia organica si traduce in un suolo degradato e che senza sostanza organica non esiste suolo, ma solo sedimento non consolidato.
Se avesse buttato un occhio sui dati ISTAT saprebbe che nel 2016 in Italia sono state vendute 125mila tonnellate di prodotti fitosanitari, per una spesa da parte degli agricoltori pari a 950 milioni (oltre a 1,57 miliardi in fertilizzanti, stante la perdita di fertilità organica dei suoli).
Nel 2006 la spesa per fertilizzanti era stata di 694 milioni e quella per pesticidi di circa 1 miliardo: in dieci anni la spesa per i primi è aumentata di oltre il 50%, quella per i secondi del 45%.
Il nostro Paese è fra i maggiori consumatori di pesticidi a livello europeo: dall’ultimo report dell’Agenzia europea per l’ambiente risulta che il consumo di principi attivi nella UE è mediamente di 3,8 chili per ettaro, ma in Italia sale a 5,7; se tra il biennio 2011-13 e quello 2014-15 la vendita di pesticidi nei Paesi europei è scesa di oltre il 50%, da noi è aumentata del 7,9%.
Se, pur da senatrice, avesse consultato l’elaborazione dell’Ufficio studi della Camera dei deputati, avrebbe cognizione che il settore biologico, che copre il 15.4% della superficie agricola italiana, ha ricevuto solo il 2,9% delle risorse destinate all’agricoltura, tra fondi europei e nazionali e potrebbe chiedersi se non si tratti di uno squilibrio da correggere.
Avesse letto i giornali di recente, saprebbe che, come risulta dal rapporto presentato a febbraio da Legambiente sui dati forniti da Arpa, Asl e Istituti Zooprofilattici Sperimentali, contiene residui di pesticidi il 63.9% dei campioni di frutta prelevati sul mercato italiano, il che li rende non idonei all’alimentazione dell’infanzia, mentre l’1,7% presenta dosaggi che li rende non idonei all’uso alimentare in genere, anche per un adulto in salute. Saprebbe che il 40.2% dei campioni presentava residui di più pesticidi diversi (il record va a un campione di peperoni con residui di 25 sostanze chimiche di sintesi).
Saprebbe anche che per il rapporto 2019 del think tank Institut du développement durable et des relations internationales (IDDRI) un’Europa agro-ecologica può soddisfare la domanda di cibo attraverso una dieta sana, rispondendo al contempo ai cambiamenti climatici, eliminando i pesticidi e salvaguardando la biodiversità, concentrandosi sulla trasformazione delle risorse naturali anziché sugli input esterni.
Non ignorerebbe nemmeno che il primo marzo l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha dato il via al decennio per il Ripristino dell’Ecosistema: gran parte della superficie agricola del pianeta mostra un calo della produttività con perdite di fertilità legate a erosione, impoverimento delle risorse e inquinamento, un degrado che mina le condizioni di vita di miliardi di persone e costa circa il 10% del PIL globale in termini di perdita di servizi ecosistemici.
Saprebbe che il rapporto Planetary Health Diet, curato dalla commissione Eat-Lancet, sollecita sforzi nazionali e internazionali per diffondere diete sane e ri-orientare le priorità dell’agricoltura: devono passare dalla produzione di gradi quantità di cibo alla produzione di cibo sano.
Sulle rese (“fino al 50% in meno”?), se avesse sfogliato i Proceedings della Royal Society si sarebbe potuta imbattere nella metanalisi “Diversification practices reduce organic to conventional yield gap” su un dataset di 115 studi con più di 1.000 osservazioni, le cui conclusioni sono che le rese produttive biologiche sono inferiori a quelle convenzionali del 19,2% (± 3,7%), ma che, grazie a consociazioni e rotazioni colturali, il divario di resa si riduce sensibilmente (9 ± 4% e 8 ± 3%).
Lo studio raccomanda adeguati investimenti nella ricerca agro-ecologica per migliorare ulteriormente i sistemi di gestione biologici per ridurre ancora, se non eliminare, il divario di resa per le diverse colture o regioni, gli stessi investimenti in ricerca che Elena Cattaneo si è fatta un punto d’onore di ostacolare, preferendo lo statu quo che vede le risorse destinate sostanzialmente solo all’agricoltura convenzionale, alcuni effetti negativi della quale vediamo sulla contaminazione di acque e derrate.
L’insigne farmacologa sostiene che chiunque scelga un approccio agro-ecologico è guidato non dalla ricerca scientifica, ma dall’ideologia, ma dal canto suo ignora bellamente o snobba la letteratura scientifica prodotta in materia di agricoltura biologica e si addossa l’onere di impedirne l’ulteriore sviluppo e avanzamento, un atteggiamento davvero curioso.
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Ho la profonda convinzione che essere bravi tecnici e ricercatori in un determinato campo non significhi necessariamente essere saggi e lungimiranti.
Questo della Cattaneo ne è l’esempio eclatante, ma penso ci sia di più di sola mancanza di lungimiranza e saggezza oggettiva, qui c’è accanimento ed ostinazione non spiegabile con parametri oggettivi e razionali, ma forse come strategia politica a favore di una corrente di produttori che vedono il bio come una seria minaccia ai loro business.
Il settore biologico italiano ed europeo è in costante crescita da molti anni e rappresenta una rivalsa alla politica dei prezzi da fame dei prodotti convenzionali di larga diffusione, tanto che con il metodo bio si riescono a recuperare anche territori abbandonati a se stessi dalla mancanza di margini operativi se coltivati in modo convenzionale.
L’apprezzamento dei consumatori, per un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e degli animali è in continua crescita, oltre alla fiducia ben riposta in questi alimenti, ritenuti più sicuri per la salute rispetto ai prodotti contaminati da svariate sostanze chimiche anche se nei limiti di legge.
In definitiva credo che la Cattaneo sappia benissimo cosa rappresenta il progresso bio nella produzione degli alimenti e ne teme e combatte politicamente la concorrenza ai suoi rappresentati di specifici settori produttivi; ma un conto è fare lecita politica, altro conto è divulgare molto discutibili pareri e fuorvianti notizie, approfittando della notorietà del personaggio e dell’amplificazione dei media.
Non dimentichiamo che il prodotto proveniente dall’agricoltura biologica oltre ad essere più sano ha maggiori valori nutrizionali e quindi ne giova la salute e una minore necessita’ di consumo. E poi lo sfruttamento dei terreni che si perpetua con l’agricoltura convenzionale sta portando lentamente alla desertificazione degli stessi che difficilmente si potranno riportare alla precedentr fertilita’. L’agricoltura biologica è il perfetto connubio tra le tecniche agronomiche del passato piene delle antiche conoscenze dell’uomo e la moderna agricoltura.
Promuovere uno stile di vita sano non può essere sinonimo di inganno. Il prodotto biologico oltre ad essere più sano a livello ideologico lo è anche e sopratutto sulla carta, avendo dei valori nutrizionali molto più alti rispetto ad un tipo di prodotto non biologico. Prima che sia troppo tardi il mondo deve capire che così stiamo lentamente (ma neanche troppo)bruciando le nostre risorse. Grazie.
Può citare fonti di questo maggiore valore nutrizionale del bio? A me non risulta. Ci sono invece ricerche ed articoli che dicono che tale differenza non c’è.Ad esempio senza tanto sforzo credo si possa trovare quanto pubblicato dalla rivista dei consumatori Altroconsumo.
Nessun dubbio invece sul bio nei confronti del rispetto per l’ambiente
Il Valore del bio non è da ricercare nella presenza di una vitamina in più o in meno ma nella filosofia generale , nell’assenza di contaminanti chimici e antiparassitari, nel rispetto dell’ambiente, nell’adozione di regole sul benessere animale. Se non si apprezzano questi elementi ma si vanno a cercare le vitamine siamo fritti. Per quanto riguarda la posizione di Altroconsumo diciamo che non siamo molto d’accordo e che la nostra posizione è diversa.
Non lo deve spiegare a me, è il sig. Amigra che lo afferma. Quanto alla posizione di Altroconsumo, relativamente alla ricerca citata, è solo una posizione “scientifica”. La scienza si basa su dati, non su emozioni: loro hanno commentato la ricerca, su quei dati la posizione scientifica è quella.
Il mio orto dovrebbe essere bio, compost fatto in casa, nessun antiparassitario o anticrittogamico.
Peccato che il mio raccolto sia decimato dalla peronospora e dai 1000 insetti nuovi felicemente approdati qui negli ultimi anni.
I cosiddetti insetticidi “bio” non funzionano, quelli che funzionano non sono bio e necessitano di apposito patentino per essere usati, quindi mi chiedo quanto sia veramente bio quello che ci vendono come tale.
Non siamo degli illusi che stanno vivendo un sogno impossibile?
L’agricoltura bio non è sempre una passeggiata come tutte le cose richiede competenze e programmazione
Concordo con quanto scrive il Direttore.
Comunque signora Elisa anche io nel mio orto ho abbastanza i suoi stessi problemi (infatti coltivo pochissimo, preferisco le piante da fiore). Per esempio con lumache e limacce è molto complicato.
Però esistono prodotti bio efficaci. Tra gli insetticidi, l’azadiractina dovrebbe essere valida. Credo anche il piretro naturale sia usabile nel bio: va bene per gli afidi, certo va ripetuta perché non ha effetto residuo. Peraltro, io faccio diverso: anche nel mio orto uso prodotti convenzionali, ovviamente quelli acquistabili senza patentino. Mi creda, non è il suo orto, difeso con lo spruzzino, che inquina il mondo! Usi quindi prodotti efficaci, secondo le istruzioni indicate, sospendendo tot giorni prima della raccolta, e vedrà che mangia perfino le fragole (sempre se non ci pensano prima i merli…).
Peraltro, sono in argomento per segnalare quella che è la mia contestazione principale verso il sistema dei pesticidi usabili nel bio, cioè il rifiuto assoluto dei prodotti di sintesi. E’ una logica di scelta assolutamente irrazionale ed ascientifica. Ormai molti pesticidi di sintesi sono prodotti molto specifici, quindi che colpiscono delle cose e non delle altre, sono prodotti organici che quindi per loro natura si degradano più o meno velocemente. Cosa che invece non fa il classico fungicide biologico, il rame, metallo soggetto ad accumulo.
Allora, io che ritengo di avere un approccio scientifico, o almeno lo perseguo, preferirei che il bio cambiasse ed il pesticida fosse valutato per quello che è, e non per come viene prodotto. Che impatto ambientale ha? Può essere prodotto in sicurezza (intendo anche per i lavoratori)? Distribuito senza avvelenare l’agricoltore? Rispetta gli insetti utili? Come si comporta nella falda? Ha effetti sull’organismo umano? Quanto ci mette a degradarsi?
Si possono decidere tutti i più restrittivi criteri che si vogliono, mettere tutti i paletti: dopodiché chi se ne frega se è di sintesi: se rispetta i paletti dati ed è addirittura migliore dei vecchi rame e zolfo, perché no? Saluti
Ho letto alcuni interessanti approfondimenti di esperti relativamente al mondo del biologico e all attuale ddl in senato (alcuni riportati sul blog agrariansciences) e francamente mi trovo d accordo con chi nutre seri dubbi sulla questione.
Sono un agronomo da quasi quarant’anni, vivo in campagna e sono figlio di agricoltori. Fornisco consulenze sia ad aziende convenzionali che ad aziende biologiche. A mio parere l’articolo è fuorviante, perché riporta un elenco di criticità ambientali assolutamente reali, ma poi lascia intendere che la soluzione dei problemi sia convertire tutta l’agricoltura al metodo biologico. Non è così, purtroppo. Piuttosto perché nessun politico o associazione ha sostenuto la vendita dei fitofarmaci dietro prescrizione di un tecnico abilitato? Per quanto riguarda, le rese chi conosce la materia non può essere così generico e parlare di cali di produzione del 20% , perchè le colture sono molte diverse per esigenze nutrizionali, suscettività alle patologie, …. Avete mai visto un campo di mais biologico? O la barbabietola biologica? Purtroppo problemi complessi non hanno soluzioni semplici.
Condivido pienamente le affermazioni di Alberto. Non condivido, invece, gli apprezzamenti ironici e talvolta persino offensivi di Roberto Pinton nei confronti della Prof.ssa Elena Cattaneo. Tali apprezzamenti sminuiscono l’immagine del Segretario di Assobio e adombrano sospetti sui suoi reali interessi. Le criticità elencate per l’ennesima volta dal Pinton le conosco benissimo anch’io, come probabilmente le conosce anche la persona oggetto delle sue invettive. Sul problema ecologico e sulle conseguenze sulla salute degli esseri umani come pure sulla necessità di intervenire urgentemente, ma non solo nel settore agroalimentare, siamo tutti d’accordo, salvo becere e strumentali stonature. Chiedo scusa anticipatamente se mi appello all’anedottica personale ma per chiarire meglio il mio pensiero vorrei che si sapesse che io, negli anni ’60, fresco di laurea in Scienze Agrarie, ho chiesto a tutta la mia famiglia (moglie,figlia e miei genitori) di trasferirsi da Milano in piena campagna per respirare un’aria migliore e mangiare verdura, frutta e carne prodotta nel mio orto e nel mio cortile (pollame vario, congli e persino capre). Da allora ho operato nel settore agroalimentare per quarant’anni fedele a questa mia identità e ancora oggi mi chiedo, come Alberto, perché mai in tutto questo tempo non è stata trasferita per legge a professionisti specializzati la responsabilità ed il controllo dei trattamenti con fitofarmaci analogamente a quanto vige per i medicinali utillizzati in zootecnia (alla stesura delle prime norme in questa materia ho partecipato attivamente) e, in un certo senso, anche per quelli destinati agli esseri umani. Ciò premesso, attualmente sono solo un consumatore che pratica, come sempre, uina dieta basata per l’80% su frutta e verdura acquistata sul mercato e mi fido delle norme vigenti in materia di residui e dei controlli espletati sull’intera filiera produttiva proprio nello stesso modo in cui molti di noi si fidano ad entrare in autostrada per percorrere qualche centinaio di Kilometri sperando di arrivare a destinazione e ritornare incolumi nonostante la consapevolezza che esiste il pericolo di incappare in un incidente, per lo più con gravi conseguenze. Per questo non ho mai creduto nell’autoreferente “biologico”, perché quello che viene proposto come il “meglio” non ha alcun fondamento scientifico perché lo si possa affermare. Già l’aggettivo che lo distingue è equivoco perché, secondo il significato etimologico ogni discorso attinente alla vita è “biologiico”, e, quindi, non si vede come si possa applicarlo, per esempio, ad una pera per distinguerla da un’altra, apparentemente uguale, sulla base di un diverso processo produttivo che, comunque, sempre biologico è in quanto non è chimico, meccanico o altro. In secondo luogo, se veramente tale meraviglioso prodotto fosse la panacea di tutti i mali non si vede perché debba essere appannaggio esclusivo di pochi, i più abbienti, e non, invece, garantito per legge a tutti i cittadini. In realtà la differenza non è tanto nella qualità del prodotto finale, anche se la merce etichettata come “biologica” spesso ha un aspetto peggiore ed un prezzo maggiore rispetto a quella non etichettata come tale, ma sta nel processo produttivo che risolverebbe tutte le criticità sapientemente elencate dal solerte Segretario di Assobio. Ma allora il problema assume una rilevanza ed una portata tale la cui soluzione non può essere trovata in un sussudio per i volonterosi produttori o nella manipolazione delle scelte del consumatore finale ma bensì attentamente regolamentata e controllata dalle istituzioni non solo a livello nazionale ma bensì a livello mondiale, come è stato già fatto per il DDt e come si propone di fare per la plastica e per numerose altre drammatiche emergenze ambientali magistralmente richiamate all’attenzione dell’opinione pubblica dai giovani del Friday Day.
Mi dispiace deluderla ma esistono le barbabietole da zucchero biologiche…..
http://www.coprob.com/barbabietolabio/
Con cordialità
Daniele
Un tecnico esperto come lei preparato anche in agricoltura biologica, dimostra di essere stato anche lungimirante e saggio nella scelta professionale.
Spero lo sia anche nel credere a quello che lei stesso afferma e che non ci sono soluzioni semplici per problemi complessi e che non esiste il tutto bio o niente bio.
Le scelte e le soluzioni vanno adattate ai terreni/territori e soprattutto alle stagioni contingenti, usando in modo accorto anche presidi convenzionali per salvare le colture in pericolo, senza possibilmente contaminare il raccolto certificabile.
Con la possibilità ultima, di commercializzare comunque un raccolto salvato se non certificabile bio, come prodotto convenzionale e recuperando le spese sostenute.
In definitiva il bio è una scelta lungimirante per preservare terreno, vegetali, ambiente, animali e per ultimo della catena ma primo per importanza e complessità la salute delle persone, in un ambiente naturale da dove proviene la vita sulla Terra.
È la Cattaneo che sembra avere soluzioni semplici semplici: bloccare l’agricoltura biologica e favorire solo l’agricoltura che contamina le falde e i prodotti. Tutti devono tenere presente la complessità, pure lei.
sulle invettive della Cattaneo
https://ytali.com/2019/02/08/elena-cattaneo-larte-del-comunicare/
https://ytali.com/2018/12/14/biologico-perche-elena-cattaneo-sbaglia/
Al di là di entrare nel merito di quanto dichiarato da Elena Cattaneo, sembra di essere nel paese delle meraviglie e che tutti si beino nell’illusione che il biologico significhi l’eliminazione di qualsiasi intervento esterno da parte dell’uomo che non sia quello di potare le piante, arare la terra, e mungere le vacche…
Chi compra Bio, pagandolo profumatamente, è consapevole del fatto che (e cito il testo della legge quadro):
– è ammesso l’uso di concimi ed ammendanti autorizzati
– è ammesso l’uso di fitosanitari autorizzati
– è ammesso l’ingresso di animali che non arrivano dal circuito bio dopo un periodo di “conversione”
– è ammessa l’inseminazione artificiale
– è consentito l’uso di medicinali veterinari allopatici di sinesi chimica, compresi gli antibiotici (anche se solo in caso di necessità)
La cosa più orripilante è probabilmente la possibilità di prevedere la contemporaneità di metodo produttivo all’interno della stessa azienda
La realtà è che l’unica agricoltura possibile è quella sostenibile, quindi tollerata dal territorio che la circonda e su cui fa valere i propri effetti positivi.
Il resto è marketing.
Ma l’elenco da lei proposto non mi sembra così scandaloso
mi deve scusare, mi è scappato un punto interrogativo….
Chi compra Bio, pagandolo profumatamente, è consapevole del fatto che (……)?
Sono convinto che questo elenco sia molto più che scandaloso per la maggior parte delle persone che acquistano Bio.
Rimane inoltre il punto, su cui la ricerca scientifica si è più volte espressa, che non vi è alcuna evidenza che un prodotto Bio abbia alcun tipo di proprietà nutrizionali, sensoriali o altro che ne giustifichino il suo utilizzo in vece del “fratello chimico”
Non vorrei essere frainteso, come detto in precedenza sono assolutamente d’accordo che l’agricoltura debba tornare ad essere un’attività legata alla terra e non all’industria, non sono assolutamente convinto che la soluzione sia il biologico.
Ho la vaga impressione che lei condivida con altri critici a priori del bio, l’idea che i consumatori siano dei beati/beoti illusi sognatori.
Guardi che sbaglia di grosso e se c’è una parte di popolazione italiana, europea ed anche mondiale ben informata e motivata nelle scelte alimentari ed ambientali è proprio il mondo bio-ecologico, comprese le migliaia di giovani imprenditori formati ed informati che stanno investendo nell’agricoltura bio di cui lei è consulente.
Nessun intervento nel bio e tutto o quasi consentito nel convenzionale, fa il paio con la convinzione del tutto bio o niente bio. Assolutismi usati come alibi per confondere le idee dei non informati.
La sen. Cattaneo è davvero convinta di quello che proclama? Sono talmente evidenti i benefici dell’agricoltura biologica che mi stupisce che una donna di scienza affermi il contrario della realtà. Forse le “lobby” dell’agricol-tura convenzionale sono più forti di quelle della biologica?
Buongiorno a tutti,
le differenze nutrizionali cominciano ad evidenziarsi, non tanto nel contenuto assoluto di qualche vitamina e minerale, quanto piuttosto nel contenuto di sostanze fitochimiche, ad azione antiossidante e non solo, responsabili, in buona parte, degli effetti salutistici dei prodotti alimentari, soprattutto quelli vegetali.
Segnalo solo alcuni lavori “riassuntivi”:
1) https://www.cambridge.org/core/journals/british-journal-of-nutrition/article/composition-differences-between-organic-and-conventional-meat-a-systematic-literature-review-and-metaanalysis/B333BC0DD4B23193DDFA2273649AE0EE
2) https://www.cambridge.org/core/journals/british-journal-of-nutrition/article/higher-antioxidant-and-lower-cadmium-concentrations-and-lower-incidence-of-pesticide-residues-in-organically-grown-crops-a-systematic-literature-review-and-metaanalyses/33F09637EAE6C4ED119E0C4BFFE2D5B1
saluti
Certo certo, come i mitici “superfood”, bacche di goji, curcuma, zenzero, quinoa oggi, domani chissà cosa, tutti comunque rigorosamente sopra i 20 euro al chilo.. In settimana a Tutta Salute ne ha parlato una nutrizionista.
Aggiungo che sul sito di AssoBio a pagina https://www.assobio.it/category/pdf-scaricabili/ sono disponibili per il download decine di articoli pubblicati sulle principali riviste scientifiche.
Tra questi, segnalo
– Higher antioxidant and lower cadmium concentrations and lower incidence of pesticide residues in organically grown crops: a systematic literature review and meta-analyses
– Nutritional quality and safety of organic food. A review
– Comparison of nutritional quality between conventional and organic dairy products: a meta-analysis
– Organic food and impact on human health: Assessing the status quo and prospects of research
– Organically versus Conventionally Grown Produce: Common Production Inputs, Nutritional Quality, and Nitrogen Delivery between the Two Systems
– Meta-analysis poster Newcastle University
– Key Insecticides Disrupt Brain Development at Very Low Doses
Ma, come già scritto da Roberto La Pira, la questione non è una o due vitamine in più, è l’approccio complessivo alla produzione agroalimentare.
I nutrizionisti ci ricordano che gli alimenti non andrebbero trattati come medicinali. Direi che oggi invece è proprio così. Non mangiamo mele o pesche o pane, ma “pillole”.
Questo tipo di approccio si presta a parecchie interessate manipolazioni. Io sono astemio (nessun sacrificio: il vino non mi piace) ma tutti conosciamo la favoletta del vino che pulisce le arterie, grazie al resveratrolo. Che è vero: peccato che per avere lo stesso effetto di una singola pillola di statina, ne occorrerebbero dei litri. Ma state tranquilli che quando in tv c’è un produttore di vino, non mancherà di ricordarlo.
La maggior parte di noi sono convinti che un amaro faccia digerire, o il vino riscaldi: inutile che gli specialisti spieghino che non è così.
In settimana a Mi Manda Rai3 hanno fatto vedere come si degusta la grappa. Nessun cenno al fatto che i superalcolici andrebbero banditi, essendo veleni, proprio sul piano tecnico. Ah già, ma se è “di quella buona” allora i 50 gradi non fanno male. Quanta confusione sotto il cielo.
Io faccio una cosa molto più semplice. Certo, mi informo, ma la mia prima regola è: mangia variato. Le 5 dosi al giorno di frutta.. o l’uovo si, una volta a settimana.. li lascio a chi ci riesce
Articoli che per lo più si riferiscono alla presenza ed effetti di pesticidi… mi scusi, ma per capire che le coltivazioni convenzionali hanno maggiori residui di pesticidi, non c’era bisogno di illustri scienziati. Quanto a quelli sugli elementi nutritivi, stavo cercando di postare la traduzione automatica di questo
Profiles of Organic Food Consumers in a Large Sample of French Adults: Results from the Nutrinet-Sante´ Cohort Study
ma purtroppo ho avuto dei problemi e ora sono al lavoro. Diciamo che quello non è molto lontano dal concetto che ho altrove postato sul vino che pulisce le arterie.
A mio avviso la Cattaneo non ha tutti i torti nel proporre una visione del bio come prodotto del marketing. Effettivamente la maggior parte dei consumatori non conosce le regolamentazioni del bio e sopratutto non ha idea di cosa sia una pianta, di cosa sia un agroecosistema e di cosa sia la fisiologia e patologia vegetale.
Da studentessa di scienze agrarie vorrei far notare che quello che oggi passa per “biologico” non è sinonimo di sostenibilità, al contrario è scientificamente dimostrato che sia totalmente insostenibile su larga scala. Faccio un esempio molto pratico: vietato l’uso di mangimi ogm in allevamento. Fantastico, non è sostenibile. non esistono abbastanza graminacee non ogm al mondo. neanche se l’italia importasse tutto il grano non gm dell’universo potremmo soddisfare il bisogno di una delle nostre tante aziende come Aia o Amadori.
Il biologico è una vera e propria strategia di marketing che riesce ad attrarre ogni persona piena di buon senso e desiderosa di fare del bene, ma ignorante nel settore. Anche io prima di studiare per 3 anni questo mondo ero una fautrice del bio, compravo anche la carta igienica bio. Ora posso dire che è una meravigliosa favoletta nata per fare soldi e cavalcare la paura della gente.
L’unica possibilità di essere sostenibili è quella di affidarci alla ricerca e alle tecnologie: insetticidi e pesticidi di ultima generazione e dati solo ed esclusivamente da persone esperte e formate, OGM di ultima generazione (sì, i fautori del bio sono contro gli OGM. non sanno cosa sono e non lo sanno neanche i comuni mortali perchè nessuno fa informazione al riguardo, è troppo sconveniente a livello politico ed economico dire la verità. gli ogm possono portare ad un’agricoltura veramente biologica, sono la base della sostenibilità), scelta del metodo di coltivazione più adeguato; per quanto riguarda il campo animale bisogna assolutamente eliminare gli allevamenti intensivi e puntare ad una gestione molto simile a quella del biologico ma che si avvicini più al caro vecchio pascolo affiancato da stalle sempre più innovative..
questi sono solo alcuni esempi di tutto il vero mondo dell’agricoltura che però, mi rendo conto, sconosciuto ai più.
Ma quando non c’erano gli ogm come si faceva? E poi ci sono oltre 400 scienziati che la pensano diversamente e alcuni hanno fatto studi in agraria.Mi sembra troppo facile liquidare tutto con una questione di mkt
Quando non c’erano gli OGM, non s’era 7 miliardi come oggi.. Comunque L’OGM non è un fine: è un mezzo. Serve a diminuire drasticamente i tempi di selezione di varietà con certe caratteristiche, che prima si facevano in campo con tempi di 20-30 anni.
Inoltre, dopo oltre 20 anni, abbiamo chiarito i due dubbi maggiori posti dagli OGM: sono tollerati dall’organismo umano? Che succede mettendo un gene animale in una pianta?
L’esperienza ci ha detto che sono uguali agli altri prodotti, e che i geni non sono animali o vegetali: non è nato alcun mostro.
Negli anni abbiamo avuto piante a rischio. Sembrava che la banana Cavendish stesse per estinguersi, un batterio sta uccidendo i cipressi, abbiamo il problema Zylella: se la soluzione fossero piante OGM, che facciamo, ci rinunciamo? Questo è davvero oscurantismo.
Ma già, noi preferiamo coltivare “grani antichi” (sono varietà dell’epoca fascista per lo più) da 8-15 quintali ad ha, invece delle moderne varietà da 60-80, quando il vero problema non è la varietà, ma la raffinazione: se usiamo farine poco raffinate, anche le varietà moderne produttive sono salutari (tralascio per brevità la questione glutine: se troppo non va bene, possiamo usare grani moderni con meno glutine)
Sulla questione degli OGM devo aggiungere. All’inizio uno dei rischi era il fatto che la tecnica era alla portata solo dei grossi laboratori delle multinazionali. Oggi, e chiedo alla studentessa Michela se sbaglio, non è così. Sono alla portata di qualunque laboratorio universitario. In particolare la CRISP, che se non sbaglio non è nemmeno rilevabile, cioè non si può scoprire se un seme è stato ottenuto per via naturale o tramite Crisp: se così è, la battaglia contro gli OGM è persa…
Il fatto che la tecnica sia facile comporta che vi sono meno rischi che sia in mano a soli pochi produttori. Inoltre, le nostre Università possono orientare la ricerca verso i nostri obiettivi, per es. piante che richiedano meno acqua, invece che su altri che possono interessare di più per dire i venditori di diserbante.
Detto questo, a me interessa L’OGM quando è superiore al prodotto standard, non è che ci sono innamorato eh
Giudico vergognosa questa reazione nei confronti di una delle nostre migliori scienziate, solo perché ha espresso una sua autorevole opinione, che si può non condividere, ma che non è corretto attaccare con i toni usati. Non si può additare la senatrice come una nemica del bio e, quindi, della salute del pianeta. È un atteggiamento davvero scioccamente riduttivo e non intellettualmente onesto. Darle dell’incompetente mi sembra davvero troppo. Se il bio venisse fatto come nell’immaginario di molti consumatori torneremmo cent’anni indietro, cioè alla fame, almeno per molti.
Diciamo che una delle nostre migliori scienziate non necessariamente deve conoscere tutti i settori della scienza
Non mi è chiaro in cosa consiste l’opposizione alla Cattaneo. L’approccio del biologico è certo necessario e benvenuto per diminuire l’impatto del suo antagonista storico che produce residui dannosi, ma ad oggi mi vien da dire che il bio non è ingrado di cambiare la situazione, ma semmai di non peggiorarla (che va benissimo) … però vorrei sapere dove il bio trova terreni e falde adeguati alle logiche di salvaguardia dell’ambiente. Insomma questo battibecco fra pro e contro mi sembra sia capace di provocare solo poca chiarezza su cosa sia opportuno fare. Chiedo a La Pira di pubblicare un articolo che metta in chiaro (se possibile) la faccenda e disegnando pro e contro sul piano del possibile. Grazie
Veramente dare dell’ignorante a una persona, stimata in tutto il mondo come scienziata, solo perché si permette di esprimere un parere diverso da quello dell’Assobio, ed ignorare le ragioni esposte da Alberto, da Rossella, da Simona, da Osvaldo F. e anche da me che non si uniscono al coro dei plaudenti, mi sorprende e mi fa pensar male. Io ho il massimo rispetto di tutti gli imprenditori seri che onestamente si impegnano nella ricerca di nuiove strategie operative nel settore delle produzioni agroalimentari ma vorrei che altrettanto rispetto fosse riservato alle persone che, pur conscendo le gravi criticità emergenti nel settore, ritengono che il bio non sia lo strumento più adatto per risolverle, almeno nelle forme in cui viene proposto attualmente. Inoltre attribuire da anni al bio la qualifica di “più salutare” semplicemente in base a valutazioni preconcette senza una sufficiente, e sottolineo sufficiente, validazione scientifica non solo può suscitare la contrarietà di una grande scienziata ma è una grave scorrettezza nei confronti di una enorme platea di imprenditori che forniscono alimenti in regola con i parametri stabiliti dalle norme vigenti in materia della tutela della salute del consumatore e si nega la validità di decenni di studi e ricerche scentifiche che hanno supportato la definizione di tali parametri. Se poi dietro al bio si nasconde l’ennesima furbata ispirata da interessi di tuttaltro carattere, mi arrendo e mi rimprovero per la mia ingenuità.
Ho letto con molto intreresse il dibattito alimentato dall’interessante articolo. Credo però che la Prof.ssa Cattaneo che è una farmacologa impegnata nella ricerca delle cellule staminali e delle malattie neurodegenerative (CV http://www.anisn.it/matita_allegati/pdf/elena_cattaneo.pdf, http://www.unimi.it/chiedove/cv/elena_cattaneo.pdf) non dovrebbe utilizzare la sua posizione per sentenziare su un tema che non ha mai studiato. Semmai gli saranno ben noti gli effetti nocivi sulla salute dei fitofarmaci (pesticidi) sulla salute umana e in particolare il loro coinvolgimento nelle malattie neurodegenerative, oltre che nei tumori. Pertanto se parla lo fa in veste di senatrice e quindi politica.
Nessuno penso metta in dubbio che l’agricoltura ha fatto passi da gigante anche per l’introduzione dei fitofarmaci, ma viviamo in un periodo storico dove dobbiamo per forza ri-pensare al futuro variando a 360° tutti i nostri comportamenti ed abitudini. Mi pare utile evidenziare che i cosiddetti prodotti biologici, in virtù del fatto che non contengono pesticidi o li contengono in misura molto inferiore, sono più ricchi di antiossidanti che possono aiutare a prevenire diverse malattie degenerative.
Buongiorno,
vorrei solo invitare alla moderazione. Non è con l’invettiva o l’ironia che si fa buona informazione. Mi dispiace che una testata come la vostra propronga, tra molti interventi di livello e diverse occasioni di vera informazione, uno stile così vicino ai social più popolari. Che lo facciano anche al gorverno non credo sia una buona spiegazione.
Alla scienza si risponde con la scienza (o è proprio la scienza che si vuole delegittimare?): nessuno ha finora misurato, in modo incontrovertibile, prestazioni superiori della modalità di coltivazione come da legislazione che regola la produzione biologica. Né in termini di salute dei cittadini, né del pianeta.
Se così non fosse vi prego di segnalarmi le ricerche – serie – attualmente disponibili.
Vi prego, non alimentate duelli fini a sé stessi, fate informazione.
Grazie
Mi scusi signor Oliviero. Io sono un pro-OGM e seguace del metodo scientifico che lei richiama.
Direi che non c’è bisogno di ricerche per comprendere che per quanto riguarda l’ambiente la coltivazione (e anche l’allevamento, aggiungerei) bio è di gran lunga più adeguata. Ogni tecnico agricolo per gli studi che ha fatto conosce bene la questione della sostanza organica, dei problemi della monocoltura, della rotazione ecc. ecc.: imparagonabile. Per non parlare del numero di trattamenti pesticidi richiesti dall’agricoltura convenzionale rispetto alla bio. Stiamo parlando anche di 20-30 trattamenti a stagione. Gli stessi agricoltori convenzionali se possibile ne farebbero volentieri a meno, visto che vivono e respirano su quell’ambiente.
Spero che chi prende le difese della politica senatrice Cattaneo (la ricercatrice è altra persona), sia cosciente che le critiche della stessa al metodo biologico (che erroneamente e consapevolmente confonde con quello biodinamico), siano motivate in modo palese dalla sua promozione convinta per il metodo ed i prodotti OGM.
Essendo logico e scontato che i due metodi colturali sono incompatibili, in quanto le coltivazioni OGM “inquinano” di tracce genetiche tutte le altre coltivazioni in un ampio raggio territoriale, dovendo e volendo promuovere e spingere verso la direzione genetica modificata delle colture, deve fare opera preventiva di disinformazione di massa verso le coltivazioni biologiche “nemiche” perché potenziali danneggiate.
Per nostra fortuna la Comunità Europea non ha fiducia nell’agricoltura OGM, in quanto non economicamente vantaggiosa nei nostri territori, la battaglia per farli passare nonostante l’antieconomicità e la dannosità per tutti gli altri metodi colturali, è diventata scorretta ed aggressiva.
Chi è consapevole di questa situazione e si schiera con le posizioni della Cattaneo, ne condivide le convinzioni errate ed antieconomiche della scelta OGM in Italia ed in Europa, al di là dei pregi o dei limiti dell’agricoltura biologica e/o convenzionale.