ciotole di poke con salmone cetriolo edamame ravanello e bacchette

Ricco di grassi, vitamine e minerali, l’avocado è accolto in tavola come un superfood, una definizione che, sebbene impropria (leggi articolo), ha contribuito a renderlo un frutto alla moda tanto da essergli dedicati piatti – come l’avocado toast – presenti in molti menu. Il suo successo, che porta a vendite record soprattutto nei Paesi dove non viene coltivato, collima però con il suo impatto ambientale. Le colture di avocado hanno un forte peso sulla questione del consumo d’acqua e di spazio. Secondo Water Footprint Network, per produrre un chilogrammo di avocado servono, infatti, circa 2000 litri d’acqua. Si tratta di una quantità che, se paragonata a quella necessaria per i pomodori (214 l/kg) o per le banane (790 l/kg), mostra subito il suo eccesso. Ponendo ancora l’accento sull’impronta ecologica, la Carbon Footprint Ltd stima che una confezione di due avocado di piccole dimensioni produca 846,36 grammi di CO2.

La denuncia dell’agrobusiness spietato

Un allarme sull’altissimo costo ambientale del frutto – oramai chiamato “l’oro verde” –  è stato lanciato anche attraverso The Avocados of Wrath. Si tratta del recente report curato da Grain, una rete di organizzazioni che lavora per sostenere i piccoli agricoltori e i movimenti sociali, e dalla realtà messicana Colectivo por la Autonomía. Il documento denuncia come la produzione e la vendita dell’avocado rappresentino il paradigma di un modello di agrobusiness sempre più spietato. Tanto da causare deforestazioni, deviazioni di corsi d’acqua, esclusione di modi non intensivi di fare agricoltura ed espulsioni dalla propria terra di intere comunità.

Dopo le banane e l’ananas, l’avocado è il terzo prodotto frutticolo più diffuso al mondo. Gli Stati Uniti e l’Europa sono i mercati maggiori e insieme raggiungono il 70% delle importazioni mondiali. Mentre i dieci Paesi maggiori produttori, che da soli fanno l’80% della produzione totale, sono: Messico, Colombia, Perù, Indonesia, Repubblica Dominicana, Kenya, Brasile, Haiti, Vietnam e Cile.

Più consumi più terra

Nel 2021 si è arrivati a fruttificare a livello globale 8,8 milioni di tonnellate di avocado, ma si stima che entro il 2030 si raggiungeranno i 12 milioni di tonnellate. Tale costante incremento di produzione richiederà sempre più terra da coltivare. Una previsione facile da immaginare se si pensa nel decennio 2011-2021 la superficie media coltivata è raddoppiata quasi in tutti i dieci maggiori Paesi, quadruplicata in Colombia, Haiti, Marocco e Repubblica Dominicana e quintuplicata nello Zimbabwe. A tale richiesta corrisponde anche un importante giro di affari. Nel 2021 il mercato di questo frutto valeva 14 miliardi di dollari e si pensa che entro il 2030 potrebbe raggiungere i 30 miliardi.

Grain riporta che i maggiori profitti vanno nelle tasche di pochi gruppi imprenditoriali che continuano a espandersi in nuovi Paesi. Le compagnie californiane Mission Produce e Calavo Growers, per esempio, sono entrambe quotate alla borsa di New York e l’ingresso di fondi pensione nel settore dell’avocado è oramai una realtà finanziaria.

avocado
L’avocado è indissolubilmente legato a deforestazione, sfruttamento scellerato di risorse idriche e uso eccessivo di agrotossine

Il caso del Messico

Per capire il rischio che si corre adottando il modello industriale di coltivazione dell’avocado, in The Avocados of Wrath si cita il caso del Messico, che, come maggiore esportatore del frutto, rappresenta il 40% della produzione totale. Quello messicano è un esempio chiaro sui problemi legati alla deforestazione, allo sfruttamento scellerato di risorse idriche e all’uso eccessivo di agrotossine. Nel 2021 il Messico ha prodotto circa 2,5 milioni di tonnellate di avocado. Nel decennio precedente quasi 100.000 ettari sono stati direttamente o indirettamente disboscati per tale scopo.

Secondo Grain e Colectivo por la Autonomía, inoltre, in Messico ogni ettaro coltivato ad avocado consuma circa 100.000 litri d’acqua al mese. Ma la questione non si limita al massiccio uso di questa risorsa poiché è l’intero ciclo dell’acqua a essere compromesso a causa della distruzione delle foreste. Infine, un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dal grosso impiego di pesticidi con la conseguente contaminazione della falda acquifera.

I consumi continuano a crescere

A fronte di tale peso ecologico, il consumo di avocado non mostra alcuna flessione. Nel 2021 nella sola Unione Europea, sono stati consumati oltre 690.000 tonnellate del frutto, consumi che si sono concentrati in Spagna, Francia, Germania, Olanda e Italia. Questi cinque Paesi accentrano oltre il 77% delle quantità in ingresso e, nello specifico, l’Italia registra il 6% delle importazioni europee. Il Centro Servizi Ortofruttiferi riporta che dal 2017 al 2022 i volumi di avocado che gli italiani hanno portato nelle proprie case sono più che triplicati, con un aumento del 35% tra il 2020 e il 2021. La costante crescita ha fatto sì che l’avocado diventasse un frutto esotico italiano. In Italia circa 300 ettari sono destinati alla coltura di frutta tropicale e diverse varietà di avocado crescono in Sicilia, terra che mostra caratteristiche adatte a questa coltura.

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roberto pinton
roberto pinton
9 Giugno 2023 16:54

Va segnalato che da una quindicina d’anni l’avocado (e da un po’ è arrivato pure il mango) si coltiva anche in Sicilia, si stima su circa 250 ettari.
E’ un’altra delle conseguenze della tropicalizzazione conseguente alla crisi climatica.

Va da sè che in Sicilia la piantumazione di avocado non comporta alcuna deforestazione: semplicemente rimpiazza vecchi impianti di agrumeto poco redditizi.
Le esigenze idriche sono sostanzialmente le stesse degli agrumi.

A chi si scandalizzasse, ricordo che oscilliamo regolarmente tra il secondo o terzo posto nella classifica mondiale dei produttori di kiwi (ne coltiviamo 26mila ettari, con Lazio ed Emilia Romagna in testa), i cui primi impianti in Italia risalgono a meno di 50 anni fa, con piante che arrivavano dalla Nuova Zelanda.

Francesco L.
Francesco L.
Reply to  roberto pinton
10 Giugno 2023 17:43

Le esigenze idriche di avocado e agrumi non sono affatto simili: circa 2000 lt/kg contro 500 lt/kg, basta perdere qualche minuto su siti indipendenti e collaborativi come waterfootprint.org. Ma sospetto che lei ne sia più che consapevole!

roberto pinton
roberto pinton
Reply to  Francesco L.
12 Giugno 2023 10:02

@Francesco L

Sospetta bene, conosco waterfootprint.org.
Per la frutta in genere il sito indica un consumo medio di 727 metri cubi/tonnellata (acque verdi), 147 (acque blu) e 93 (acque grigie), per un totale di 967 metri cubi/tonnellata, mentre per l’avocado ne indica 849 (acque verdi), 283 (acque blu), 849 (acqua grigia), per un totale di 1.981, il doppio.
Ma non dimentico il postulato di Trilussa sul mezzo pollo.

Sommaruga, R. e Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices 20: 48-53 (è la rivista dell’Agricultural Economics Society e della European Association of Agricultural Economists) rilevano che dal database mondiale disponibile per il periodo 1996-2005 l’impronta idrica verde media per l’avocado è sì di 849 metri cubi d’ acqua per tonnellata , ma con valori che oscillano da 31 a Santa Lucia (Caraibi) a 4.494 a Beja (Portogallo); l’impronta idrica blu è in media di 237 metri cubi a tonnellata, ma varia da 0 a Grenada e in alcune regioni del Guatemala a 2.295 nella regione cilena di Antofagasta, seguita da Tarapacá (2.196).

Dato che il tema era la produzione in Italia è concettualmente inopportuno far riferimento ai dati rilevati tra la Cordillera e la Pampa o in Algarve, ma anche a medie che ne siano influenzate.

Stante la limitatezza della produzione nazionale, tocca accontentarsi di rilevazioni aneddotiche puntuali: i produttori dell’area etnea (nella quale si concentra la piccola produzione) riferiscono che le precipitazioni naturali sono in grado di garantire la produzione, con l’eventuale ricorso a irrigazione di soccorso a goccia per un paio d’ore a settimana.

Ferma restando l’utilità di strumenti come le medie riportate da waterfootprint.org, utilissime a livello macro, ma del tutto inutili a livello micro, confermo quindi:
a) in Sicilia nessuno sta deforestando per piantumare avocado;
b) i 250 ettari di avocado non stanno affatto portando l’isola alla sete.

Francesco L.
Francesco L.
Reply to  roberto pinton
14 Giugno 2023 14:32

Sig. Pinton, concordo senza alcun dubbio sulla parziale utilità di molti dei valori numerici riportati nelle fonti che entrambi citiamo, così come non penso che 250 ettari dedicati all’avocado portino la Sicilia alla sete. Il pericolo, a mio avviso, è il non accendere un faro su una potenziale corsa alla conversione di superfici molto più significative senza che ci sia una regolazione e regolamentazione. Mi sembra del tutto evidente che il futuro, se lo si vuole un minimo sostenibile, impone una razionalizzazione e forse anche un certo ripensamento di colture, produzioni, metodi e tecnologie, in particolare in funzione delle disponibilità idriche.
Insomma, lasciare come siamo usi fare mano del tutto libera alle forze del mercato non è pensabile né auspicabile, pena replicare quello che già avviene in Cile, Perù e Messico.

giova
giova
Reply to  Francesco L.
29 Giugno 2023 11:48

Il tema comunque riguardava la produzione a livello mondiale, e qui va ribadito quanto scritto: deforestazione, uso enorme di acqua, emissioni in atmosfera per il trasporto aereo, ecc.
Ben venga la produzione pionieristica sicula, ma sono 250 ettari. Quanti italiani consumano invece quelli d’oltreoceano? E quindi contribuiscono ad impattare sulle risorse ecologiche dei luoghi, alimentando il mercato.