Dopo 15 anni di attesa, di battaglie e di discussioni, il 2 marzo stato approvato definitivamente anche da parte del Senato il Disegno di legge sulla “tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione” biologica italiana. La maggior parte delle associazioni del bio esultano: il nostro Paese ha finalmente una norma chiave per supportare la transizione ecologica e per sostenere l’intero comparto agroalimentare italiano. Quest’approvazione giunge in un momento strategico, nel quale le politiche Ue, con la strategia Farm to Fork, puntano a una crescita consistente del settore, che prevede, tra gli altri aspetti, il raggiungimento di almeno il 25% di superficie agricola bio entro il 2030.
La legge ha lo scopo di disciplinare e organizzare il settore e stabilisce la formazione di un Tavolo tecnico per la produzione bio e l’istituzione di un marchio biologico italiano. Vengono inoltre previsti degli strumenti di programmazione, ricerca e finanziamento, da definire attraverso un Piano d’azione nazionale con scadenza triennale. La norma contiene inoltre indicazioni riguardo alle sementi, l’istituzione di un fondo per lo sviluppo della produzione e di un sostegno da parte dello Stato per la ricerca e per la formazione professionale degli operatori. Si definiscono, infine, senza entrare troppo nel tecnico, le caratteristiche, le funzioni e le finalità dei distretti biologici e delle organizzazioni interprofessionali.
Quella che viene festeggiata come un obiettivo raggiunto rischia di essere però una ‘vittoria di Pirro’, soprattutto agli occhi di una parte del mondo del bio, quella dei piccoli produttori, dei pionieri del settore, permeati ancora dello spirito iniziale che li poneva come alternativi alla cultura agricola dominante. Archiviato il dibattito sul biodinamico, del quale abbiamo già parlato dopo la votazione alla Camera, gli argomenti del contendere sono ancora molti. Tra gli aspetti della nuova legge presentati come più importanti spicca l’obiettivo di creare un marchio nazionale del biologico. Si tratta però di un obiettivo in contraddizione con le normative europee.
“Pur essendo stata festeggiata come una grande vittoria– spiega Roberto Pinton, che si occupa di agricoltura biologica da oltre 40 anni – l’istituzione di un brand del biologico italiano, il cui logo dovrebbe essere individuato in un concorso di idee, sarà considerata illegittima da Bruxelles. Questa decisione contrasta infatti con il diritto dell’Unione europea, che vieta misure distorsive della concorrenza e aiuti di Stato in grado di favorirle. Non si possono destinare risorse pubbliche al rafforzamento della preferenza dei consumatori per i prodotti nazionali, è incompatibile con il Trattato sull’Unione europea. In uno studio dell’Inea (Istituto nazionale di economia agraria) del 2009, promosso e finanziato dal nostro stesso Mipaaf, si leggeva esplicitamente che ‘l’ammissibilità di marchi collettivi di natura pubblica è stata contestata in questi anni dalla Commissione europea e dalla stessa Corte di giustizia, laddove il loro uso risulti riservato alle sole imprese operanti in un territorio determinato, con conseguente ostacolo alla libera concorrenza’. Le uniche denominazioni ammesse in questo campo sono quelle previste dal Regolamento sulla protezione delle Indicazioni geografiche tipiche e delle Dop”.
È quindi un documento che porta la firma del nostro stesso ministero delle politiche agricole ad aver dichiarato, 13 anni fa, che favorire i prodotti nazionali costituirebbe un’azione in contrasto con le regole del libero commercio tra gli stati membri. Un altro punto spinoso, e significativo, per capire lo spirito della nuova normativa, riguarda la composizione del Tavolo che dovrà prendere le decisioni sul settore, delineando gli indirizzi e le priorità per il Piano d’azione. Questo sarà tenuto anche a esprimere pareri sui provvedimenti riguardo la produzione nazionale ed europea, proponendo interventi per l’organizzazione delle attività di promozione e individuando le strategie per favorire la conversione delle aziende.
Questo Tavolo non sarà composto esclusivamente da operatori ed esperti del biologico e dalle istituzioni, ma anche, in misura significativa, da rappresentanti delle associazioni dell’agricoltura convenzionale. “Sarà chiamato a decidere chi fino a poco fa era schierato apertamente in opposizione all’agricoltura biologica – prosegue Pinton – e ha esercitato pressioni per affossare la strategia Farm to Fork, spingendo invece per i nuovi Ogm, chiedendo premialità per l’agricoltura intensiva e industriale e per modelli agricoli con impatto negativo sulla biodiversità. Queste associazioni dell’agricoltura convenzionale, anche se insieme ad altri soggetti, dovranno valutare le priorità del Piano d’azione nazionale che definirà come raggiungere gli obiettivi europei e gli eventuali contributi che tutti gli operatori del bio dovranno versare per lo sviluppo di attività di promozione”.
L’Italia è il paese con il maggior numero di produttori biologici d’Europa, molti dei quali di piccole e medie dimensioni, ma fortemente innovativi e orientati al mondo e all’Unione europea. È proprio a questi operatori che la nuova normativa non sembra dare voce. “Il testo originale della legge definiva il biologico come ‘attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale’, una definizione importante, che poneva il settore in una posizione di grande rilievo – conclude Pinton –. Purtroppo anche questa parte è stata stralciata, con la derubricazione a semplice ‘comparto produttivo’. Mi auguro vivamente di essere smentito dai fatti, ma la sensazione, ora, è che questa sia una ‘vittoria’ svuotata di contenuti reali”.
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sarà molto interessante vedere cosa uscirà fuori dall’incontro tra produttori bio e convenzionali, per capire da che parte penderà la bilancia e anche il peso attuale di chi indirizza le scelte programmatiche.
Come la maggior parte delle leggi italiane è mal progettata e peggio scritta, ma un paio di centinaia di emendamenti e di circolari applicative la renderà certamente applicabile in barba all’Europa e soprattutto utile alle lobby BigBio che l’hanno promossa, con buona pace dei piccoli produttori.
Visto che esiste già un logo europeo per l’agricoltura biologica, perchè farne uno specifico perl ‘Italia ? Lo trovo molto provinciale oltre che in contrasto con le norme europee.