Galline ovaiole in un allevamento a terra; concept: uova

Le pratiche agricole intensive come l’allevamento e l’agricoltura, oltreché arrecare gravi danni all’ambiente, possono avere pesanti e dirette ripercussioni sulla salute umana. Lo suggeriscono due studi usciti in contemporanea, che riguardano aspetti diversi ma che giungono alla medesima conclusione, e per questo possono essere considerati due aspetti della medesima realtà.

Maiali, polli e… antibiotico-resistenza

Il primo, pubblicato su Biocontaminant dai ricercatori della Nanchang University cinese, analizza la situazione di una zona specifica, quella più grande lago di acqua dolce presente in Cina, il Poyang, sulle sponde del quale sono sorti allevamenti di maiali e polli, tra gli altri. Nello specifico, gli autori hanno controllato la presenza di: metalli pesanti (soprattutto rame e zinco), geni per la resistenza agli antibiotici e frammenti di geni chiamati elementi genetici mobili (MGE), noti per trasportare la resistenza da un ceppo all’altro.

Le analisi sono state fatte nel suolo di alcune zone prima e dopo l’insediamento di un allevamento. Il risultato è stato che laddove arrivano i maiali cresce molto in fretta la concentrazione di rame e zinco, spesso aggiunti ai mangimi, mentre quando a insediarsi sono i polli, fiorisce l’antibioticoresistenza, soprattutto perché le deiezioni dei volatili sono utilizzate come fertilizzante. Ma in esse ci sono tantissimi geni per la resistenza, che tornano al terreno e sono pronti ad attivarsi anche dopo l’essiccazione fatta per avere a disposizione una polvere fertilizzante. Negli allevamenti di polli l’indice di rischio (definito in base a parametri riconosciuti a livello internazionale), si è rivelato essere 941 volte più alto rispetto a prima dell’insediamento dell’allevamento, e addirittura 16.000 volte superiore a quello del terreno dove non vi erano mai stati polli.

Compaiono, inoltre, numerosi elementi genetici mobili, specifici per antibiotici assai comuni quali tetracicline e sulfonammidi, la cui circolazione potrebbe essere favorita dai metalli pesanti, anch’essi in aumento come nel caso dei maiali. Tutto ciò dimostra che è il sistema in sé a generare rischi, anche quando c’è un riutilizzo delle deiezioni che può essere considerato circolare e migliore rispetto ad altri puramente chimici.

trattore spargimento compost fertilizzante campi
L’incidenza del tumore è del 57% più alta rispetto alle aree dove non c’è un impiego così massiccio dei pesticidi

Orzo, mais e melanoma

Il secondo studio, pubblicato dai ricercatori dell’Università della Pennsylvania sul Journal of Clinical Oncology – Clinical Cancer Informatics, mette in evidenza il possibile legame tra impiego di pesticidi e incidenza di melanoma in chi risiede nelle zone irrorate, e non solo tra i lavoratori agricoli. Infatti i ricercatori hanno confrontato i dati dei registri tumori, per quanto riguarda il melanoma, delle 15 contee a maggiore vocazione agricola, con quelli sull’utilizzo di pesticidi ed erbicidi del periodo compreso tra il 2017 e il 2021.

Il risultato è stato abbastanza preoccupante. Nelle zone studiate, infatti, l’incidenza del tumore è stata del 57% più alta rispetto a quella di altre aree dello stato dove non c’è un impiego così massiccio dei pesticidi. Il fenomeno riguarda anche gli abitanti dei centri urbani, perché i fitofarmaci attraverso il suolo, l’acqua ma anche l’aria arrivano a tutti, entro un certo raggio. E questo conferma che l’esposizione al sole (tipica dei lavoratori agricoli, di per sé fattore di rischio) c’entra poco.

La relazione, poi, è lineare: per ogni 10% di terra coltivata in più si vede un aumento dei casi di melanoma del 14%, e per ogni 9% di uso di pesticidi in più un incremento del 13%. Tra l’altro, questo rafforza altri studi simili condotti in diversi paesi tra i quali l’Italia.

Tra i meccanismi ipotizzati ci sono un aumento della fotosensibilità (suscettibilità ai danni dei raggi UV) e un disturbo degli equilibri del sistema immunitario, danni ben noti dei fitofarmaci.

Agricoltura e allevamento: occorre una programmazione

In generale, però, sia l’allevamento che l’agricoltura intensivi hanno conseguenze più o meno dirette sulla salute degli esseri umani. Effetti di cui finora non si è tenuto conto a sufficienza, commentano gli autori di entrambi gli studi, e che invece dovrebbero rientrare nelle programmazioni della produzione alimentare, e nelle azioni dei legislatori.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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Domenico
Domenico
3 Dicembre 2025 14:06

Stanno facendo di tutto per arrivare a far si che i piccoli coltivatori in proprio vengano cancellati in nome del green. Ditelo agli amanti della soia i danni che fa la coltivazione intensiva ed isole distrutte ed abbandonate per certe coltivazioni. Si torni al piccolo ed al zonale. Prendetevi un pezzo di terra e zappate porca miseria. Auguri.

Roberto Pinton
Roberto Pinton
Reply to  Domenico
3 Dicembre 2025 19:26

Ha letto bene?
Gli studi citati sostengono l’ennesima evidenza che a essere pericolose (non solo rischiose) sono le pratiche agricole intensive e l’impiego massiccio dei pesticidi (ambedue tutt’altro che “green”) e non certo i piccoli agricoltori (il cui avversario non sono certamente le sempre più annacquate politiche green, al contrario).
E’ palese che l’impatto ambientale di un allevamento da 1 milione di suini (https://ilfattoalimentare.it/maiali-allevati-cina-26-piani-wuhan.html) è incommensurabilmente superiore a quello di un allevamento semibrado di una dozzina di capi, così come lo è quello di un allevamento di migliaia di volatili (di cui il pubblico scopre l’esistenza solo quando i media diffondono le notizie degli abbattimenti per ragioni sanitarie, https://ilfattoalimentare.it/influenza-aviaria-nello-stabilimento-eurovo-600-mila-galline-abbattute.html) rispetto a un allevamento rurale da 250 capi.

Dagli studi emerge proprio la necessità di riportare al “green” l’agricoltura, non certo di cancellare i piccoli coltivatori e allevatori.

Giulia
Giulia
Reply to  Roberto Pinton
4 Dicembre 2025 11:11

Questa contrapposizione tra piccoli allevamenti e allevamenti intensivi non ha affatto senso, i piccoli allevamenti sono meno efficienti, più a rischio dal punto di vista delle malattie infettive, meno conformi alle norme di biosicurezza. La soluzione non è sfruttare e uccidere animali in piccola scala, per dare da mangiare a nove miliardi di persone in questo modo l’inquinamento e i rischi crescerebbero. Tutelare gli animali, l’ambiente e la nostra salute si fa con il progresso, con tecniche di coltivazione che consentono di ridurre pesticidi e fertilizzanti, ottimizzando l’utilizzo degli spazi per lasciare posto agli ambienti naturali e soprattutto producendo cibo per gli esseri umani e non per gli animali allevati. Gli amanti della soia sono gli allevatori tutti, perché la soia viene coltivata per allevare gli animali in un sistema crudele e inefficiente. Da ogni branca della scienza ci arriva un messaggio sempre più forte e chiaro:più vegetale è, meglio è. Per la nostra salute, per l’ambiente e per gli animali.

Grazia
Grazia
4 Dicembre 2025 11:13

Io non dirò niente di nuovo,sono solo consapevole che ci stanno avvelenando ,non c’è più niente di sano ,sono arrivata al punto di aver paura di mangiare, anche bio ..e tutto x i profitti personali.Che ci faranno con tutti sti soldi, è un cane che si morde la coda ….

Francesco Borga
Francesco Borga
4 Dicembre 2025 12:09

Ad ogni azione(anche umana)corrisponde una reazione uguale e contraria . È una legge della fisica.Se sulla terra non esistesse l’uomo la terra sarebbe diversa…
Nel caso specifico basterebbe che l’uomo smettesse di alimentarsi…
Gli allevamenti protetti rispetto alla raccolta dei prodotti che la natura offre spontanei impedisce le desertificazione e la scomparsa di vita in vaste aree come già avvenuto nella storia.L’allevamento protetto grazie alla razionalizzazione d’uso dei mezzi di produzione ed alla possibilità di gestione dei sottoprodotti derivati permette di ridurre enormemente il danno ambientale….In valore assoluto la quantità di deiezioni che finiscono con l’appestare l’atmosfera x unità di alimento prodotto nell’allevamento protetto è minima,gestibile e riciclabile in confronto alla produzione degli animali selvatici o allo stato brado.Le grandi epizoozie non si generano negli allevamenti protetti, ma fra i selvatici che infettano gli animali domestici…(topi – salmonelle) (avifauna selvatica- influenzaaviare che colpisce galline,mucche, ..
..uomo) .Evitiamo le semplificazioni ideologiche:POICHÉ LA MAGGIORANZA DELLE MORTI AVVIENE A LETTO NON È CHE IL NON USARLO CI RENDE IMMORTALI…

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