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Nel 1987, l’International Agency for Research on Cancer di Lione, agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha pubblicato un documento che classificava l’alcol, assunto in qualunque quantità, come cancerogeno certo (inserendolo nel gruppo 1). Da allora sono passati molti anni, ma il concetto che il consumo di bevande alcoliche possa favorire l’insorgenza di almeno sette tipi di tumore, nel frattempo dimostrato da dati inattaccabili, non è arrivato all’opinione pubblica, se non in minima parte.

Al contrario, i supposti benefici di piccole quantità sul sistema cardiovascolare (oggi messi fortemente in discussione) e l’idea – erronea – che esistano quantitativi sicuri sono stati diffusi e purtroppo ampiamente recepiti. Ciò accade perché il consumo di alcolici, oltre a fare parte di quasi tutte le culture da millenni, è sempre stato sostenuto dalle lobby dei produttori, in qualche caso dalle amministrazioni pubbliche, talvolta anche con potenti campagne di disinformazione.

Gruppo di amici che brinda con una birra Corona
Dagli Usa la proposto che le etichette di tutti gli alcolici riportino il rischio oncologico

Qualcosa, però, inizia a cambiare, come segnalano le statistiche sui ragazzi, che si stanno allontanando dagli alcolici in diversi Paesi, e dal successo dei vini e delle birre dealcolati, i cui mercati sono in crescita.

La svolta americana

Una spinta se non altro culturale potrebbe ora giungere dalla proposta appena formulata dal Surgeon General of the United States Vivek Murthy (una sorta di medico in capo, figura che non esiste in Italia), che ha reso noto un suo rapporto sull’argomento, che si conclude con la richiesta che le etichette delle confezioni di tutti gli alcolici riportino esplicitamente il rischio oncologico. Perché il consumo di alcol di qualunque tipo e in qualunque quantità fa aumentare il rischio di alcuni tumori tra i quali quello dell’esofago, quelli del cavo orale, quelli della laringe, quelli della laringe, quelli della mammella, quelli del fegato e quelli del colon retto, e i consumatori dovrebbero saperlo.

Meccanismo d’azione

Per quanto riguarda i meccanismi, uno di quelli considerati più probabili passa dal principale metabolita dell’alcol, l’acetaldeide, prodotta in quantità e responsabile di alterazioni del DNA delle cellule. Lo stesso danno si ottiene per l’aumento dello stress ossidativo delle cellule, altro effetto dell’etanolo. C’è poi un’azione degli estrogeni, che spiega l’aumento di rischio (tra i più certi) di tumore al seno per le donne, e quello sulla solubilità di altri cancerogeni come quelli delle sigarette, aumentata in presenza di alcol: un mix micidiale, che spiega perché non esistano dosi sicure, e perché vi siano dati di legami con molti altri tipi di tumore, oltre ai sette certi.

I danni dell’alcol

Alcuni esempi aiutano a capire quest’ultimo dato, che contraddice quanto sostenuto da anni anche in numerose linee guida. Tra chi beve due bicchieri di vino al giorno, i casi di tumore in più sono cinque su cento se donna, tre su cento se uomo con un incremento pari, rispettivamente, al 21,8 e al 13,1%. Nel caso del cancro al seno, l’aumento è di quattro casi su cento, per due bicchieri al giorno. Ma l’incremento del rischio si vede anche con meno di un bicchiere a settimana: è del 16,5% per le donne e del 10% per gli uomini, e non esiste dunque un dosaggio sicuro.

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Meno della metà dei cittadini statunitensi è consapevole della relazione tra alcol e tumori

Anche per quanto riguarda i supposti benefici sul cuore, numerosi studi condotti con metodologie più moderne di quelle degli anni scorsi hanno sfatato da tempo la credenza e, anzi, messo in evidenza che l’alcol aumenta il rischio di fibrillazione atriale, aritmie e altre patologie cardiovascolari.

La situazione negli USA e in altri paesi

Secondo l’American Institute for Cancer Research, anche se l’alcol è direttamente responsabile di circa 100.000 casi di tumore all’anno e di 20.000 decessi per cancro, meno della metà dei cittadini statunitensi è consapevole della relazione tra alcol e tumori. Per questo bisogna cambiare radicalmente atteggiamento.

Al momento, e dal 1988, le etichette degli alcolici negli Usa recano solo una scritta relativa alle donne in gravidanza, alla guida e all’uso di macchinari. Sul cancro neppure un accenno. Da qui la necessità di cambiare, anche se la proposta di Murthy, per essere tradotta in regola dovrà comunque diventare una legge approvata dal congresso, e non è affatto detto che ciò accada. Le lobby dei produttori sono molto forti, e anche se Trump non beve e il prossimo ministro della salute Robert Kennedy è da anni un ex alcolista, la richiesta di Murthy potrebbe non essere esaudita.

Va detto che gli USA non sono gli unici a ignorare volutamente i rischi oncologici dell’alcol. Attualmente, 47 Paesi recano qualche dicitura in etichetta, ma quasi nessuno di essi fa riferimento ai tumori. Solo la Corea del Sud ha un avviso sul tumore al fegato, mentre l’Irlanda dovrebbe introdurne uno sui tumori in generale dal 2026. E talvolta sono gli stessi governi a mettersi di traverso, come ha fatto quello dello Yukon canadese, che ha bloccato uno studio sull’impatto di etichette specifiche sui consumi.

La proposta susciterà comunque un acceso dibattito che, a prescindere dalle decisioni finali, potrebbe contribuire ad aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica, non solo negli USA.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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