Il virus Piscine orthoreovirus (PRV), che danneggia reni e fegato dei salmoni e ne compromette la riproduzione, negli anni ha fatto il giro del mondo utilizzando le acquacolture come mezzo di amplificazione. È questa l’importante scoperta pubblicata su Science Advances da un team internazionale di ricercatori dell’Università canadese della Columbia Britannica (UBC) insieme con la Strategic Salmon Health Initiative (SSHI), che ha affiancato un’accurata indagine genetica a una epidemiologica sul campo, per comprendere le cause e le origini della presenza massiccia di PRV, ormai ubiquitario nelle acque della costa pacifica canadese.
In particolare, stando a quanto ricostruito, le prime segnalazioni sono avvenute in Norvegia. Quindi il virus si è diffuso nell’Atlantico, e con le importazioni di uova per l’acquacoltura è arrivato fino alla Columbia Britannica canadese, sulla costa del Pacifico, e da lì è giunto in Cile. Un altro ceppo di PRV si è spostato direttamente dalla Norvegia al Cile.
Il trasferimento di virus, inoltre, secondo i ricercatori, è avvenuto originariamente dagli esemplari allevati a quelli selvatici, e non viceversa: lo dimostrano i dati genetici di 86 virus, che mostrano come i ceppi canadesi si sono evoluti rispetto al PRV originario isolato in Norvegia circa 30 anni fa. Ma anche quelli epidemiologici vanno nella stessa direzione. Le infezioni dei salmoni selvatici infatti sono aumentate significativamente in vicinanza degli allevamenti e via via che cresceva il loro numero, in maniera direttamente proporzionale.
Tutto ciò sembra mettere finalmente ordine in un ambito in cui ci sono state molte ipotesi e pochissime certezze, e in cui si tendeva ad attribuire la responsabilità primaria agli allevamenti canadesi, e non a quelli norvegesi. Con questo studio, condotto con un approccio del tutto simile a quello che si sta utilizzando per sequenziare e tracciare il Sars-CoV-2 e le sue varianti, invece è arrivata un’interpretazione degli avvenimenti che lascia ben poco spazio alle ipotesi, perché i geni e l’andamento della malattia descrivono un quadro coerente e dimostrabile. Inoltre, altri studi hanno permesso di capire che, oltre ai già noti danni su reni e fegato, il PRV – la cui capacità di provocare malattie era stata messa in dubbio negli anni passati – ha effetti anche sui vasi e sul sangue, ed è sicuramente un patogeno aggressivo per i salmoni.
Lo studio, in conseguenza di tutto ciò, pone pesanti interrogativi sui rischi legati alle acquacolture in generale e sugli individui messi in allevamento, soprattutto quando provenienti da zone dove è stato segnalato un certo patogeno. Ma anche sulle strategie preventive messe in atto per contenere il diffondersi delle infezioni negli animali selvatici e su altri aspetti che in tutta evidenza non sono stati tenuti nella giusta considerazione in passato. E mostra ancora una volta la necessità di progettare allevamenti diversi da quelli attuali, che prevedano obbligatoriamente la netta separazione tra animali allevati e cugini selvatici, e l’impossibilità di scambi di materiali genetici e di microrganismi patogeni tra gli uni e gli altri.
© Riproduzione riservata Foto: stock.adobe.com; GJ Mordecai et al, Science Advances 2021
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Giornalista scientifica
Sono curioso di sapere se questo virus può essere dannoso anche all’uomo, una volta che consuma il salmone che spesso va mangiato crudo.
Vorrei saperlo anch’io se ci fà male, visto che lo mangio almeno 2/3 volte/mese, principalmente fresco cotto e d’estate anche crudo affumicato!
Non può esistere pesca sostenibile, acquacoltura sostenibile, allevamenti iittici sostenibili, quando gran parte dei 7,8 miliardi di abitanti del pianeta reclama, pretende e consuma smodatamente più del necessario.
Fino a che non si innescheranno stravolgimenti ambientali, climatici, pandemici irreversibili predominerà esclusivamente la logica del profitto ad ogni costo, il più becero sfruttamento delle risorse del pianeta, il mero tornaconto personale e i posti di lavoro da preservare.
Buongiorno, esattamente in accordo con lei Sig. Claudio.