Mucche e aria condizionata: un sistema di ventilatori e spruzzi d’acqua per combattere il caldo estivo negli allevamenti intensivi di vacche da latte. Per il Ciwf non è abbastanza
Mucche e aria condizionata: un sistema di ventilatori e spruzzi d’acqua per combattere il caldo estivo negli allevamenti intensivi di vacche da latte. Per il Ciwf non è abbastanza
Paola Emilia Cicerone 6 Giugno 2017Anche le vacche da latte soffrono il caldo, in particolare all’interno degli allevamenti intensivi, e garantire loro una temperatura accettabile serve a mantenerle in salute e farle produrre di più. Il problema emerge, evidentemente, soprattutto nei paesi caldi, e non è un caso che proprio in Israele sia nata la Cow Cooling Solutions, una società fondata dall’agronomo Israel Flamenbaum che studia impianti di raffreddamento per le strutture che ospitano questi animali. Un modello esportato anche all’estero, e in Italia, dove a richiedere la consulenza di Flamenbaum all’inizio del 2016 sono stati due grandi allevamenti di proprietà della Benetton, Maccarese e Cirio.
L’idea, come spiega lo stesso Flamenbaum in un articolo pubblicato sulla rivista Ruminantia, era quella di potenziare i sistemi di raffrescamento esistenti, ottimizzandone l’efficacia. “Il contatto con Flamenbaum è nato grazie all’Università di Viterbo dove si trova il centro di riferimento europeo per lo stress da caldo”, spiega Matteo Boggian, uno dei responsabili dell’azienda di Maccarese che ospita oltre 3.600 animali e 1.300 vacche frisone in mungitura, e fornisce tra l’altro il latte alla centrale del latte di Roma. “La sua esperienza ci è sembrata subito interessante, perché Israele è il paese che ha gli allevamenti di vacche da latte più produttivi nonostante le alte temperature sei mesi l’anno” prosegue Boggian. Il problema è che le vacche sono animali che non sudano ed emettono il calore attraverso la respirazione. ”La produzione di latte è un processo energetico che per definizione genera calore, e quindi gli animali per compensare tendono a produrre meno nella stagione calda” prosegue l’esperto.
La soluzione è stata quella di ricreare le condizioni climatiche della stagione fredda, aumentando il numero di ventilatori disponibili e rinfrescando gli animali mentre mangiano ma anche prima o dopo la mungitura con spruzzi di acqua alternati a getti d’aria. Una soluzione che si è tradotta in una maggiore redditività, sia in termini di produzione di latte che di fertilità. Secondo i dati forniti da Flamenbaum, l’aumento di produzione di latte a Maccarese si aggira intorno al 10/15 % rispetto a stalle che non dispongono di sistemi per rinfrescare gli animali, e anche il tasso di concepimento aumenta, soprattutto nei mesi estivi, tra il 10 e il 17%. Non molto diversi i risultati ottenuti all’Azienda Agricola Cirio, un altro allevamento situato in provincia di Caserta con 1.500 vacche in mungitura: anche in questo caso sono stati potenziati gli impianti di raffrescamento presenti e ne è stato razionalizzato l’uso. Ottenendo vantaggi che ripagano il costo delle installazioni: “L’importante – spiega Boggian – è avere un impianto efficiente che limita il consumo d’acqua ed energia per ottener li massimo rendimento, riducendo gli sprechi: in questo modo si spendono circa 40 euro all’anno per animale”.
E anche se l’articolo dell’esperto israeliano curiosamente non fa nessun riferimento al benessere animale, all’atto pratico sembra che i vantaggi per la salute delle vacche ci siano: “Abbassando la temperatura ci sono meno disturbi legati ad alterazioni del metabolismo, come problemi digestivi, problemi podali o mastiti”, spiega Boggian, mentre lo stesso Flamenbaum rileva come le migliori condizioni di vita degli animali si riflettano anche sulla qualità del latte. E i dati riaccendono qualche polemica: “Gli allevamenti intensivi sono molto criticati, ma se sono gestiti correttamente gli animali stanno bene”, sottolinea Boggian.
C’è però chi non è d’accordo: “Va specificato che provvedere alla ventilazione e all’installazione delle docce può essere positivo in un sistema che ha già una buona gestione del benessere delle vacche, le alleva in piccoli gruppi e assicura un ampio accesso all’esterno in paddock con zone ombreggiate – spiega la presidente di CIWF Italia Anna Maria Pisapia – ma come CIWF Italia non supportiamo sistemi ‘a pascolo zero’, specialmente quelli con migliaia di vacche”. La ventilazione e le docce possono ridurre la sofferenza da calore degli animali in sistemi sovraffollati, ma questo non basta a rendere questi sistemi accettabili: “Con l’accesso al pascolo, le vacche possono esprimere un loro comportamento naturale, riposano meglio e sono meno aggressive, – conclude Pisapia – di conseguenza si hanno livelli più bassi di zoppìe, patologie degli zoccoli, lesioni del garretto, mastiti, malattie dell’utero e mortalità rispetto a quando le vacche sono tenute sempre al coperto” .
© Riproduzione riservata
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal). Clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264
indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare. Clicca qui
giornalista scientifica
Rendiamoci conto, purtroppo, che agli allevatori industriali interessano i massimi risultati produttivi con la minore spesa. E’ un principio economico scientificamente corretto e difficilmente attaccabile.
Per il benessere animale, il principio suddetto può coincidere solo in minima parte, che è quella legata alla produttività del latte, ma si scontra con il fine ultimo (o primo) dell’allevamento.
Il principio della massima produttività prevede lo sfruttamento massimo degli animali finché produttivi, per poi mandarli al macello, cosa inaccettabile per il principio di un sano e longevo benessere degli animali.
Quindi la speranza di conciliare i due principi in un minimo comune multiplo, è limitata solamente alla riduzione delle condizioni di forte disagio degli animali, che causano riduzione della produzione lattea.
Anche se tragico ammetterlo, per tutto il resto non esiste possibilità di comprensione, ne collaborazione.
Già il latte prodotto in Italia non è (e spesso qualitativamente) quantitativamente sufficiente, per numero di allevamenti di dimensioni economicamente ottimali, produttività bassa ed a costi generalmente superiori al centro-nord Europa. Vogliamo seguire progresso, scienza e tecnologia o tornare al medioevo ? Sarà solo poco, costoso, igienicamente incerto, ma sicuramente tutto “bio”.