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Lo spreco alimentare si riscontra soprattutto nella prima parte della filiera alimentare e nella ristorazione collettiva

Come più volte ha scritto Il Fatto Alimentare, il problema dello spreco alimentare si riscontra soprattutto nella prima parte della filiera alimentare  (nelle fasi di raccolta, stoccaggio e selezione  delle materie prime) e nella ristorazione scolastica (dove lo spreco raggiunge spesso il  50%. Di seguito pubblichiamo un’indagine sullo spreco condotta gruppo di studio dell’Az. USL 3 Pistoia e dall’Università degli Studi di Firenze, in due scuole primarie della provincia di Pistoia. Il campione non è certo rappresentativo della realtà nazionale, ma si somma ai pochi dati a disposizione  e conferma  l’esistenza di un problema difficile da risolvere per quel 53,4% (oltre 3 milioni) di iscritti alla scuola d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, che pranza a scuola ogni giorno.

Stime ufficiali sugli sprechi alimentari sono quasi del tutto inesistenti e, laddove disponibili, di difficile comparazione per l’eterogeneità dei dati raccolti e per l’assenza di una definizione condivisa dei termini “spreco” e “scarto” per misurare i parametri in maniera univoca. L’esperienza pilota nelle scuole della provincia di Pistoia si basa su 9 rilevazioni.

 

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Su 786 pasti distribuiti in 9 giorni circa il 20% è risultato sprecato

Per la classificazione dei rifiuti alimentari sono state adottate le seguenti definizioni:

· Spreco: alimenti avviati alla distribuzione che non sono stati distribuiti e quindi potenzialmente riutilizzabili.

· Scarto: alimenti somministrati agli utenti che non sono stati consumati (lasciati nel piatto) e che non risultano pertanto riutilizzabili per l’alimentazione umana.

· Rifiuto: somma degli sprechi e degli scarti. La valutazione degli sprechi e degli scarti è stata effettuata tramite pesatura diretta delle singole preparazioni o dei prodotti  (primo piatto, secondo piatto, contorno pane).

 

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Il problema spreco/scarto alimentare nella ristorazione scolastica non può continuare a essere ignorata

Durante i 9 giorni di osservazione sono stati monitorati 786 pasti (735 somministrati ai bambini e 51 agli insegnanti). La quantità complessiva di cibo consegnata nelle due scuole è stata di circa 425 kg e circa il 20% è risultato sprecato. In termini assoluti ciò equivale a oltre 200 g di rifiuti  per ogni pasto.

Nelle due scuole indagate, le percentuali di spreco e di scarto sono fortemente variabili (dall’11,9%  al 27,5% per lo spreco e dal 15% e 34,3% per lo scarto) e sono correlate alla preparazione.  Il contorno è il piatto più  sprecato e lo scarto arriva al 57%. Anche il pane viene  scartato (15%) e soprattutto sprecato (30%).

A Milano (vedi articolo) considerando che il peso medio di un pasto è di 480 g, la quantità di cibo avanzata si è ridotta da 130 a 115 grammi, il livello di rifiuto è pari al 25% e si deve considerare un buon risultato.

Il problema non può essere ignorato. Il fenomeno comporta costi economici, nutrizionali, ambientali e sociali importanti che si potrebbero evitare attraverso una diversa governance.

 Sara Rossi

© Riproduzione riservata

Foto: iStockphoto.com

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MAurizio
MAurizio
17 Gennaio 2015 12:45

LO spreco è “intrinseco” nel concetto di mensa, almeno in quelle a menù fisso e con le porzioni già fatte. Mai stati in un ospedale ? Nella spazzatura finisce una parte ancora maggiore del cibo distribuito. Sia perchè da malati comunque si mangia meno, sia perchè a tanti il cibo non piace, preferendo consumare alimenti portati da casa o presi al bar e interi vassoi finiscono nella spazzatura.
Nel caso dei bambini, che TUTTI “finiscano” il piatto, della mensa scolastica perdippiù, mi sembra particolarmente utopistico. Casomai bisogna vigilare che il fenomeno non assuma dimensioni “eccessive”, cosa che potrebbe essere segno di cattiva qualità dei pasti, ovvero di menù non adeguati: anni fa ci furono polemiche a Roma perchè i menù “etnici” che dovevano “educare” i bambini al multiculturalismo finivano in buona parte nel secchio – viceversa i bambini “non italici” che hnno esigenze alimentari condizionate dalle tradizioni o fa motivi religiosi respingevano parte dei cibi anche solo per il sospetto che non fossero “idonei”. Ma più banalmente, nella scuola dell’0infanzia, ci sono piatti “da grandicelli” che i più piccoli, se non imboccati non riescono a consumare.
Poi c’è la questione delle porzioni: ricordo che tanti anni fa, le suore spagnole che erano ben attente a non sprecare cibo, a mio fratello che frequentava le elemantari davano MEZZO panino e solo se lo finiva tutto poteva ottenere l’altro mezzo 🙂