Sardine con sale in un piatto di vetro

I cambiamenti climatici stanno avendo effetti imprevisti sull’ambiente, gli animali e le colture, con ripercussioni non sempre note. Le sardine che da secoli nuotavano nelle acque del Giappone (Sardinops melanostictus), per la prima volta sono arrivate in California. Lo hanno iniziato a fare probabilmente nei primi anni venti, e sembra che si trovino bene, e che intendano restarci. Con quali conseguenze sulle specie autoctone per il momento nessuno lo sa. Le sardine giapponesi sono solo l’ultima delle specie che sta cambiando areale di diffusione grazie alla migrazione provocata dal riscaldamento del clima. Lo spostamento le rende, però, per definizione, specie “aliene”, cioè non autoctone, con effetti non sempre immediatamente visibili. I quali, quando lo diventano, possono essere troppo gravi per essere contrastati. È quanto accaduto, per esempio, con il granchio blu, specie autoctona del Nord America, diventata un flagello nelle acque del Mediterraneo.

Ma i cambiamenti possono essere anche positivi, come quello che è in corso in Etiopia, e che riguarda una specie altrove minacciata da una serie di cofattori negativi tra i quali lo stesso clima: il caffè.

Lo studio del NOAA

Nel caso delle sardine, a dimostrare la presenza della specie giapponese dall’altra parte del Pacifico, e cioè al largo della costa californiana, è stato uno studio appena pubblicato su Molecular Ecology dai ricercatori del NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration) di La Jolla, California, uno degli istituti di ricerca oceanografica più importanti del mondo, che analizza regolarmente i pesci presenti nelle acque della California (e non solo).

sardines on a fish market
Se la sardina giapponese si ambientasse particolarmente bene potrebbe rimpiazzare quella autoctona

Durante le campagne del 2021 e 2022, i ricercatori hanno raccolto 345 campioni, e hanno notato una differenza tra le due annate. Mentre nel 2021 tutte le sardine erano locali, cioè le Sardinops sagax, nel 2022 erano un misto di quelle autoctone e di quelle giapponesi, mai trovate prima in quelle acque. Per essere sicuri di non essersi imbattuti in una presenza casuale, l’anno seguente, il 2023, i ricercatori hanno prelevato 825 campioni e effettuato un’analisi genetica completa, perché le due specie sono indistinguibili a occhio nudo.

Il risultato ha confermato quanto scoperto un anno prima, e cioè che le sardine presenti erano sia californiane che giapponesi. Queste ultime erano in gran parte adulte, di età compresa tra uno e quattro anni, a riprova del fatto che avevano viaggiato. Le nuove arrivate, la cui presenza non era mai stata documentata prima a quelle latitudini, sembrano essere entrate a far parte stabilmente dell’ecosistema marino locale. Tra l’altro, i primi 700 campioni del 2024 sono già in fase di sequenziamento, e i risultati dovrebbero essere disponibili tra qualche settimana.

Ripercussioni sconosciute

Le due specie di sardine si sono separate geneticamente 2-300mila anni fa, e finora non si erano mai più incontrate, per la presenza di correnti fredde che impedivano la migrazione. Sono però molto simili, e la domanda è se, entrando in contatto, saranno capaci di ibridarsi, dando vita a una nuova specie. La questione più importante, però, riguarda l’eventuale aggressività della specie aliena: se la sardina giapponese si ambientasse particolarmente bene, potrebbe rimpiazzare quella autoctona, con ripercussioni su tutto l’ecosistema.

Più in generale, i pesci piccoli come le sardine sono considerate specie sentinella, perché sono quelli che per primi pagano le conseguenze dei cambiamenti ambientali. Stando a quanto osservato, non sembrano esserci dubbi sul fatto che l’aumento delle temperature del mare stia causando autentiche rivoluzioni marine.

Il caffè dell’Etiopia

Qualcosa di simile sta avvenendo anche in un Paese molto lontano dalla California e dal Giappone, l’Etiopia, e su una specie non animale ma vegetale. Anche lì il clima sta cambiando velocemente, con ripercussioni che riguardano soprattutto l’agricoltura e, in primo luogo, la pianta più importante: il caffè. Asnake Adane, ricercatore del Department of Geography and Environmental della Wollo University, ha pubblicato su PLoS One, un’analisi dei cambiamenti climatici in corso e di quelli che arriveranno, secondo due dei modelli meteorologici più accreditati, applicati alla situazione attuale delle colture di caffè, e i risultati hanno mostrato le potenzialità dei prossimi anni.

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I cambiamenti climatici potrebbero incrementare la produzione di caffè

Entro il 2080 la produzione di caffè – e, in primo luogo, della varietà arabica, la più pregiata e la più minacciata in diversi paesi – potrebbe aumentare dal 30 al 44%, a seconda del modello utilizzato. Le zone coltivabili si stanno spostando verso nord e verso ovest, e anche se nel frattempo alcune di esse, oggi coltivate, diventeranno sempre meno adatte al caffè, il bilancio finale potrebbe essere molto positivo, per un paese che ha poche risorse.

La coltivazione di caffè rappresenta lo strumento di sussistenza per il 20% della popolazione etiope, e più di un quarto del valore commerciale delle esportazioni. Tutto il settore potrebbe quindi crescere, a patto però che la produzione si riorganizzi, prevedendo i cambiamenti e predisponendoli a sfruttarli al meglio, e non a subirli. Negli ultimi 10-15 anni, purtroppo, non è stato fatto molto: anche se la produzione globale è aumentata di 3.600 tonnellate all’anno, quella per ettaro è scesa, ed è ora a 18,8 kg. E ciò significa che le aree coltivate sono aumentate, ma non la produttività.

Cambiamenti climatici e futuro

I cambiamenti climatici causeranno effetti di questo tipo in molti paesi, con zone che diventeranno coltivabili con piante prima incompatibili, e altre che non lo saranno più. I modelli esistono, così come le proposte scientificamente fondate per adattarsi nel migliore dei modi. Quello che latita, per ora, quasi ovunque, è la volontà politica di prendere atto della situazione, e cercare di governarla.

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