Nei primi tre anni di applicazione, la soda tax di Berkeley, in California, può vantare un invidiabile successo: ha convinto i cittadini – soprattutto quelli più a rischio – a dimezzare il consumo di bevande dolci, e ad aumentare di un terzo quello di acqua.
Sono più che positivi i risultati ottenuti nella cittadina californiana tra il varo della norma, nel novembre 2014, e il 2017, stando a quanto appena pubblicato sull’American Journal of Public Health dai ricercatori dell’Università locale, che stanno monitorando la situazione. In base alle interviste fatte a oltre 2.500 persone delle più diverse appartenenze etniche nei quartieri più poveri della città, dove più alti sono i tassi di diabete, malattie cardiovascolari e obesità, e dove più martellante è la pubblicità delle soda, gli acquisti di soft drink sono calati del 52%. Si tratta di un valore più che doppio rispetto al 21% registrato nel 2015, a pochi mesi dall’entrata in vigore della legge, mentre quelli di acqua sono aumentati del 29%. I prodotti più penalizzati sono risultati essere la Coca e la Pepsi Cola, i tè e i caffè pronti e gli sport drink come il Gatorade.
Lo studio, pur presentando alcuni limiti metodologici quali il fatto di aver scelto una popolazione non rappresentativa di tutta la città, è tuttavia importante dal punto di vista politico, perché lo stato della California, come quello di Washington, nel 2018 ha approvato una legge che vieta l’introduzione di ulteriori tasse sulle bevande, mentre altre città come Seattle e Filadelfia le hanno approvate, e molte si apprestano a farlo.
Inoltre una conferma indiretta dell’efficacia del provvedimento arriva da città vicine come Oakland e San Francisco, che hanno autorizzato una soda tax solo – rispettivamente – nel 2017 e nel 2018, e fino ad allora non hanno fatto registrare variazioni nel consumo di soda, così come dal Messico, che sta conoscendo dinamiche molto simili e sta continuando a vedere effetti positivi crescenti nel tempo della soda tax introdotta anch’essa nel 2014.
Gli autori pongono inoltre l’accento sul fatto che i proventi della tassazione sono reinvestiti in iniziative per tutta la cittadinanza quali programmi educazionali, sportivi e di giardinaggio urbano, e nel sostegno alle organizzazioni no profit che promuovono un corretto stile di vita. “Più che la tassazione in sé” ha commentato Kristine Madsen, direttrice del Berkeley Food Institute, tra coloro che hanno condotto l’indagine “è importante il messaggio che essa veicola, e che nel tempo sta facendo comprendere ai cittadini quanto sia sbagliato bere ogni giorno bevande zuccherate. In più il ricavato contribuisce a pagare le cure per le malattie che queste stesse bibite provocano, che costano miliardi di dollari. Le soda invece costano pochissimo: se si tenesse conto dei costi sanitari costerebbero molto di più, e la tassazione è quindi una giusta forma di contribuzione alle spese sanitarie”. Infine, ha concluso Madsen “Non vogliamo far passare l’idea dello stato-balia, che decide al posto dei cittadini, ma solo porre fine all’epidemia di diabete e obesità, e fornire un contro messaggio rispetto a quello, potente, delle aziende e della loro pubblicità. Vogliamo fare tutto il possibile per rendere il cibo sano desiderabile e accessibile a tutti”.
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Giornalista scientifica
Berkeley è stata la prima città degli Usa a introdurre una soda tax, che è entrata in vigore nel marzo del 2015, dopo essere stata approvata con un referendum nel novembre precedente. La tassa è di un centesimo di dollaro su ogni 0,02 litri di bevande zuccherate e i proventi sono destinati alla promozione di “un’alimentazione corretta e la pratica di attività fisica a prezzi contenuti”. Qui trova due articoli sull’argomento: https://ilfattoalimentare.it/berkeley-soda-tax-bibite.html https://ilfattoalimentare.it/soda-tax-stati-uniti.html
I risultati ci sono e sono evidenti, ma non è chiaro come ci si è arrivati. Intanto non è chiaro DOVE si mette la tassa: sull’acquisto di zucchero, sul prodotto o al consumatore finale ( cambia molto) . Sembra sia stata applicata alla bottiglia o alla lattina e spiegherebbe il calo pressoché pari alla tassa. Non mi convincono nemmeno le motivazioni, qui bisogna capire bene e “clusterizzare” la clientela: quelli che mangiano e bevono peggio sono anche quelli che hanno meno risorse monetarie e sono i più attenti ai prezzi. Un aumento del prezzo 10% lo percepiscono immediatamente e non c’è spauracchio di malattie che tenga, è più forte il portafogli per loro. Immagino che sia invece ininfluente sui “ricchi” che per altro credo consumino meno di queste bevande.
E’ importante che funzioni è importantissimo capirne i meccanismi, perché replicata altrove potrebbe dare esiti incerti se non se ne comprende bene il funzionamento.
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Sono queste le tasse da mettere.
bisognerebbe inondare di questi dati i nostri governanti per sperare di sortirne qualche effetto positivo…
Due curiosità….
1) forse mi sono perso qualche articolo ma finora gli studi che leggo mi sembra siano quasi sempre riferiti al mondo americano/anglosassone… in Italia come siamo messi? Ci sono studi? Non mi sembra di vedere questo consumo smodato in linea di massima.
2) queste tasse colpiscono anche le bevande light? E se questo avviene…. perché? Non faranno bene, ma se il “nemico” sono gli zuccheri (ed in mancanza di studi unanimi che condannino gli edulcoranti) forse sono il “meno peggio” (un po’ come le sigarette elettriche al posto delle sigarette tradizionali…. non toglieranno il vizio ma almeno forse riducono un po’ i danni).
Saluti 🙂
Se scrive in redazione le invio il nostro e-book sulla sugar tax.