I social media e i videogiochi collegati possono essere un potentissimo veicolo pubblicitario per il junk food ma, con la stessa efficacia, potrebbero essere utilizzati per far capire ai bambini e ai ragazzi quali sono le cause dell’obesità, e i rischi a essa associati. Questi luoghi virtuali non sono infatti negativi o positivi: dipende dall’uso che se ne fa.
Che sia così lo hanno mostrato ancora una volta due diversi lavori presentati al congresso europeo sull’obesità svoltosi nei giorni scorsi a Venezia. Il primo, composto da quattro parti, ha quantificato l’autentico diluvio di spot cui sono sottoposti gli utilizzatori di videogame più giovani, e le conseguenze di tale bombardamento, mentre il secondo ha mostrato le potenzialità degli stessi mezzi per fare educazione alimentare, oggi pochissimo sfruttate.
Giochi in cui la perdita (di salute) è assicurata
Il primo lavoro, presentato dai ricercatori dell’Università di Liverpool, era una sintesi di tre studi pubblicati su Appetite e Obesity Reviews dallo stesso gruppo. Nel loro insieme, queste ricerche mostrano una tendenza univoca, rafforzandosi le une con le altre. Per tutte, lo scopo era verificare la presenza e gli effetti delle pubblicità somministrate sotto varie forme nelle principali piattaforme social che trasmettono livestreaming (o VGLSP, da Videogame livestreaming platforms) utilizzate dai ragazzi fino ai 18 anni (considerando i dati di accesso, le chat più amate sono Twitch, con il 77% del mercato, in base al numero di ore viste, YouTube Gaming, con il 15%, e Facebook Gaming Live, con il 7%, per un totale di 30 miliardi di ore guardate nel 2023).
Gli studi
Nel primo studio si sono analizzate 52 trasmissioni di un’ora postate su Twich da influencer particolarmente popolari tra i ragazzi. In ogni ora c’erano 2,6 messaggi relativi al junk food, ciascuno della durata media di 20 minuti. Cioè, per ogni ora di Twich i ragazzi erano sottoposti a 52 minuti di suggerimenti alimentari sotto forma di banner continui e fissi, pop up, minifilmati o messaggi in sovra-impressione oltre al product placement, etc. In sette casi su dieci, i messaggi riguardavano junk food (definito come cibi e bevande con elevati contenuti di sale, zuccheri e grassi o HFSS), in otto su dieci prodotti noti per il brand, nel 62,4% energy drink, ma praticamente nessuno di questi messaggi era segnalato come pubblicità (assente in più del 97% dei casi).
Inoltre, per rendere gli spot irresistibili, gli influencer si servivano di diversi metodi quali la trasmissione in loop, non eliminabile, di banner (viste nel 44% degli spot), o l’uso di tecniche di product placement (scoperte nel 44% dei prodotti alimentari), oltre a offerte, loghi e slogan ripetuti ossessivamente.
Social e pubblicità
Il secondo studio è una metanalisi di quanto già uscito, al fine di verificare il rapporto tra esposizione alla pubblicità e propensione all’acquisto e al consumo. Il risultato è stato che la continua stimolazione induce un atteggiamento più positivo verso il cibo sponsorizzato, ed è collegata a un aumento di acquisti dei prodotti segnalati, che possono arrivare al raddoppio. Inoltre, il marketing veicolato dagli influencer e presente nei videogame è associato a un aumento nel consumo di HFSS di 37 calorie.
Gli studiosi hanno incentrato la terza ricerca, sulle risposte di circa 500 utilizzatori reali (età media: 16,8 anni) per verificare le associazioni tra il ricordo della pubblicità vista e, di nuovo, la propensione all’acquisto, e anche in questo caso il legame è apparso molto stretto.
Infine, nella quarta parte è stato fatto un test randomizzato e controllato su 91 ragazzi (età media: 17,8 anni), nel quale a una parte sono stati fatti osservare immagini di videogame di un finto Twitch con pubblicità di snack poco salutari, e a un’altra con pubblicità di prodotti non alimentari. Quindi, si è chiesto loro di scegliere uno snack per fare una pausa. Il risultato, in questo caso, è stato che coloro che erano stati esposti al videogioco con pubblicità di junk food hanno mostrato la stessa inclinazione all’acquisto o al consumo di junk food degli altri, forse perché lo stimolo è stato breve e statico (un fermo immagine non è dinamico e coinvolgente come un gioco).
Tutti questi risultati, secondo gli autori, spiegano perché è indispensabile e urgente porre un argine e se possibile vietare la maggior parte di queste forme di persuasione, le cui conseguenze si ripercuotono sulla salute dei più giovani.
Dottor Tik tok?
In aggiunta e in supporto alle limitazioni, si potrebbero usare i social per promuovere l’educazione alimentare, come suggerisce l’altro studio, anch’esso presentato a Venezia e condotto da ricercatori dell’UniCamillus International Medical University, che hanno analizzato quanto presente su un altro social amatissimo dai ragazzi, Tik Tok. Nello specifico hanno verificato che cosa era presente in tema di obesità (alimentazione, esercizio fisico e farmaci) in 108 video in lingua italiana postati tra il settembre 2021 e febbraio del 2024, e visti oltre 4,6 milioni di volte (ciascuno di essi in media da 42.000 utenti). Il pubblico era composto per il 57% da donne, e per il 4% (pari a circa 38.000 persone) da giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni.
A guidare la classifica sono stati i video sui farmaci, con circa 136.000 visualizzazioni a testa; il video più visto, sulla semaglutide (a conferma dell’enorme interesse verso questi farmaci), ha avuto poco meno di un milione di visualizzazioni. I video contro lo stigma associato all’obesità hanno attratto circa 23.500 persone, quelli su sane abitudini alimentari poco più di 10.200 e quelli nei quali era possibile porre domande a un esperto circa 2.000.
Questi numeri, secondo gli autori, fanno capire che ci sarebbe molto spazio per sfruttare Tik Tok per veicolare messaggi corretti e raggiungere anche i più giovani, con la giusta dose di creatività. In fondo, per trasmettere i messaggi più importanti sono sufficienti anche pochi secondi.
Inoltre, si potrebbe sfruttare l’effetto-community, perché probabilmente le storie più positive sarebbero apprezzate e ritrasmesse molte volte, alimentando quel cambiamento culturale che non è più rinviabile, visti i tassi di obesità.
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Giornalista scientifica