Quest’estate il mondo è stato colpito da una siccità senza precedenti, che ha messo in crisi l’agricoltura danneggiando molte coltivazioni, in particolare quelle cerealicole alla base dell’alimentazione in molti paesi, come il riso. La ricerca è quindi costretta a impegnarsi per selezionare nuove varietà resistenti agli stress climatici – siccità ma anche alluvioni – e metodi di coltivazione in grado di fare fronte all’emergenza, come si sta facendo soprattutto in Cina e nelle Filippine.
“Quello della siccità per il riso è un problema recente: in passato era limitato ad alcune zone, mentre nel 2022 è esploso in tutta la sua gravità – spiega Luigi Tamborini, ricercatore del Crea – nel nostro paese il 30% circa delle superfici coltivate a riso è stato abbandonato perché era impossibile irrigarlo. Ora dobbiamo ancora capire la resa delle aree che sono state coltivate avendo a disposizione acqua non in modo continuativo”. Un problema serio, perché l’Italia è di gran lunga il principale produttore europeo di questo cereale: “Noi produciamo il 50% del riso europeo: si tratta di risi di qualità ma anche per produzioni specifiche come il sushi, o da insalata”, spiega Marco Romani, dirigente del Dipartimento di Agronomia dell’Ente Risi.
E anche in Italia si cominciano a sperimentare sistemi di irrigazione mirata sviluppati in paesi come Israele dove il problema dell’approvvigionamento idrico esiste da sempre. Come sta facendo un’azienda agricola ferrarese che ha deciso di testare un sistema di coltivazione a secco, in cui i campi sono irrigati grazie a un impianto automatizzato che gestisce una rete di tubi sotterranei. In questo modo l’acqua nel terreno arriva fino alle radici delle piante di riso, assicurando un notevole risparmio idrico.
“La cosa più importante da fare ora è ragionare su una miglior gestione dell’acqua disponibile, – spiega Romani. – Oggi per esempio si sta riproponendo lo stoccaggio precoce dell’acqua in modo che le risaie rimangano sommerse durante l’inverno, insieme a un programma di diluizione del periodo di semina”. Il dibattito è aperto anche su un sistema di coltivazione sempre più diffuso, definito ‘in asciutta’, in cui il riso è seminato interrato a file e sommerso un mese più tardi: “È un sistema praticabile in terreni adatti, sabbiosi come quelli lombardi, e permette una maggiore densità iniziale delle piante che sono piantate in modo più regolare rispetto alla tradizionale semina in acqua”, spiega Romani. Anche se oggi si sta rivalutando il metodo tradizionale, che permette in alternanza alla semina in asciutta, un controllo integrato delle infestanti.
Senza dimenticare che la coltivazione in asciutta porta a concentrare la richiesta di acqua in giugno, quando comincia il caldo e anche i problemi di siccità si aggravano, mentre la semina in acqua richiede maggiori risorse idriche in primavera, “quando la disponibilità è migliore, considerando anche le esigenze delle altre colture, – ricorda Tamborini. – Tenendo presente che il riso non è una vera e propria pianta acquatica, anche se tradizionalmente era coltivato in terreni paludosi bonificati: l’acqua serve soprattutto come volano termico per mantenere costante la temperatura della pianta. Inoltre l’acqua utilizzata rimane nel sistema, passa da una risaia all’altra e quella che non è dispersa nell’aria in seguito all’evaporazione finisce nei fiumi”. Quella effettivamente consumata è l’acqua che si disperde in atmosfera, una quantità che non varia molto con i diversi sistemi di coltivazione. Si calcola che per un ettaro occorrano 15/20mila metri cubi di acqua, che permette in genere di produrre 7 tonnellate di risone (riso grezzo completo di tutte le sue parti, compreso lo strato più esterno chiamato lolla) corrispondenti a poco più di 4 tonnellate di riso bianco.
In ogni caso il problema della siccità è destinato ad aggravarsi nei prossimi anni e chi lavora sul miglioramento genetico del riso dovrà occuparsene. Anche se molte delle ricerche in corso riguardano la creazione di organismi geneticamente modificati, che in Italia non potrebbero essere coltivati, mentre è ancora aperto il dibattito sulla possibilità di effettuare editing genetico con tecnologia Cispr. Non mancano anche proposte originali, come un recente studio giapponese che propone di trattare i terreni con piccolissime quantità di etanolo per proteggere le piante dalla siccità.
Più realistiche le sperimentazioni su varietà di riso che possono essere coltivate in acqua salmastra: un progetto su cui si sta lavorando anche in Italia, all’interno del progetto di ricerca internazionale Neurice realizzato grazie a fondi europei, assieme a Francia e Spagna. “Per essere messa in commercio, una varietà agricola deve fare due anni di prove ed essere iscritta al registro nazionale gestito dal ministero dell’Agricoltura e le cui prove sperimentali sono eseguite o coordinate dal Crea Difesa e Certificazione, – spiega Tamborini. – Per quanto riguarda il riso, una varietà dichiarata come resistente alla coltivazione in ambienti salini è ora al secondo anno di sperimentazione”, quindi vicina alla commercializzazione. Questo tipo di coltivazione interessa in particolare i paesi asiatici, dove sono diffuse le risaie costiere, mentre in Italia riguarda solo alcune zone come il delta del Po – dove la risalita di acqua salmastra, il cosiddetto cuneo salino, è aumentata in seguito alla siccità – o in misura minore alcune aree del grossetano o, piccoli territori in Sardegna.
In generale, si sta lavorando per selezionare varietà con un apparato radicale più robusto, che resistano meglio agli stress climatici. Senza dimenticare che ci sono altri problemi da affrontare, come la fertilità dei suoli: “L’aumento di temperatura accresce anche il degrado della sostanza organica del suolo (l’insieme dei composti organici presenti nel terreno, di origine sia animale che vegetale, fondamentali per lo sviluppo delle piante, ndr), che deve essere rimpiazzata, – conclude Romani. – Stiamo lavorando per incoraggiare l’utilizzo di colture di leguminose che sono poi interrate prima della coltivazione del riso per arricchire il terreno di sostanza organica”.
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